«Le sanzioni sul petrolio russo avranno conseguenze gravi per l’Italia»

Di Leone Grotti
01 Giugno 2022
«Il prezzo dell’energia aumenterà, insieme all’inflazione, e la sostenibilità del nostro debito pubblico sarà a rischio. Nel breve periodo, inoltre, Mosca ci guadagnerà. L’Ue deve intervenire subito». Intervista all’esperto Gianclaudio Torlizzi
Un impianto di estrazione del petrolio dell'azienda russa Lukoil

Un impianto di estrazione del petrolio dell'azienda russa Lukoil

Dal punto di vista politico, l’embargo sul petrolio russo «rappresenta un salto di qualità sul fronte della coesione dell’Unione Europea», ma da quello economico «avrà ripercussioni gravi», soprattutto per l’Italia. Le sanzioni infatti, spiega a Tempi Giancluadio Torlizzi, fondatore di T-Commodity ed esperto del mercato dell’energia, nel breve termine «rafforzeranno il governo di Mosca e danneggeranno l’economia europea».

La Russia esporta in Europa circa 1,2 milioni di barili di petrolio al giorno. E l’equivalente di altri 600 mila scorre attraverso gli oleodotti. Come può un taglio delle forniture favorire il Cremlino?

Basta guardare la bilancia commerciale russa, che da gennaio ad aprile ha fatto registrare un surplus di 96 miliardi, quattro volte più alto rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. La Russia infatti non starà a guardare e compenserà l’impatto dell’embargo tagliando la produzione di petrolio, facendo aumentare i prezzi. Anche se l’embargo entrerà in vigore solo a gennaio, il Brent è già salito oltre i 120 dollari al barile e potrebbe anche arrivare a 150. Oggi, infatti, assistiamo a un rallentamento dell’economia cinese, ma quando il Dragone accelererà di nuovo vedremo un nuovo rialzo dei prezzi di energia e materie prime.

Le sanzioni europee, dunque, non danneggiano la Russia?

Non sto dicendo questo, è fuori di dubbio che nel lungo periodo Mosca ne uscirà danneggiata. Il punto è: l’Unione Europea può sostenere altri due anni di prezzi dell’energia e delle materie prime al rialzo? Io vedo profilarsi un rischio.

Quale?

Nel breve periodo, a subire il contraccolpo più forte delle sanzioni saranno i paesi europei: aumento dei prezzi dell’energia, delle materie prime e aumento dell’inflazione. Nel lungo periodo pagherà anche la Russia, ma alcune sanzioni potrebbero essere ritirate in seguito a un accordo di pace con l’Ucraina nell’ambito della cessazione delle ostilità.

Rischiamo di rimetterci solo noi?

C’è questo rischio e l’Unione Europea deve prendere le adeguate contromisure. L’embargo farà aumentare l’inflazione e paesi come l’Italia soffriranno a causa dell’innalzamento del costo del debito pubblico. Mi sorprende che davanti a questi scenari non sia già stato avviato un dibattito affinché la Banca centrale europea si doti di un backstop, uno strumento finanziario per contenere l’ampliamento degli spread. La Bce dovrà restringere la politica monetaria per far fronte all’inflazione, ma deve mantenere sotto controllo gli spread o il nostro paese si troverà in forte difficoltà. C’è poi un altro elemento, che nessuno considera.

Quale?

La volatilità dei prezzi provocherà quella che io chiamo “la Lehman Brothers delle materie prime”. A fronte di costi sempre più alti, gli intermediari finanziari, come banche o assicuratori del credito, chiederanno alle imprese margini di garanzia sempre più ampi che le Pmi italiane faticheranno a soddisfare. Di conseguenza, le nostre aziende rischiano di trovarsi davanti a grandi problemi finanziari di liquidità.

Quando il conflitto in Ucraina terminerà i prezzi però si abbasseranno.

Questo è quello che credono in tanti, ma è sbagliato. L’aumento dei prezzi di energia e materie prime è iniziato prima della guerra, vi hanno contribuito la pandemia ma anche le zelanti politiche climatiche dell’Unione Europea che impediscono all’offerta di aggiustarsi alla domanda. Queste politiche già erano irrazionali due anni fa, a mio avviso, ma ora dopo lo scoppio della guerra sono anacronistiche. Mi riferisco soprattutto all’enfasi di chi vorrebbe sostituire i combustibili fossili russi con le rinnovabili, che ci farebbero cadere in braccio alla Cina, che controlla tutta la filiera.

L’Europa però non poteva certo lasciare mano libera alla Russia.

Attenzione: io non sto dicendo che l’Ue ha sbagliato a opporsi con convinzione a Mosca. Sottolineo che quando si approvano sanzioni importanti, come quelle sul petrolio, bisogna essere consapevoli del loro impatto e trovare soluzioni per non mettere in crisi le aziende. Ecco perché parlo della necessità di contenere gli spread, da parte della Bce, e di rivedere le politiche climatiche, da parte della Commissione europea. L’inflazione infatti non scenderà mai se non si permette all’offerta di aumentare adeguandosi alla domanda.

L’Italia copre con le importazioni di petrolio russo il 12,5 per cento del suo fabbisogno. Riuscirà a trovare nuovi fornitori?

Rispetto al gas è più semplice e non penso ci saranno grandi criticità. Mi piacerebbe però sapere che cosa intende fare il governo con la raffineria della Lukoil in Sicilia.

Si parla di diecimila posti di lavoro a rischio.

Senza il petrolio russo che cosa succederà, verrà fermata la produzione? A me non dispiacerebbe una nazionalizzazione temporanea dell’impianto, ma sarà il governo a valutare. Di sicuro, in qualche modo bisogna intervenire.

E la Germania? Manterrà la promessa fatta ai partner europei di non utilizzare il petrolio russo che continuerà a fluire attraverso l’oleodotto Druzhna, che rifornisce anche l’Ungheria?

Voglio sperare di sì, ma Berlino ha davanti a sé cinque anni molto problematici. Due degli elementi che hanno permesso il boom economico tedesco – l’energia a basso costo dalla Russia e filiere lunghe – non ci saranno più. Il governo di Olaf Scholz dovrà portare avanti una profonda ristrutturazione del suo sistema produttivo. Potrebbe anche giovarne il nostro paese: le Pmi italiane, grazie a filiere più corte, potrebbero diventare i nuovi fornitori di molte aziende europee che negli anni hanno preferito compagnie asiatiche, ma che ora si troveranno in difficoltà.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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