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Il simil-golpe di Kais Saied in Tunisia

Il presidente si è sentito abbastanza forte per fare la sua mossa contando sull’appoggio popolare. I tunisini sono convinti infatti che serva un uomo forte per guidare il paese

Rodolfo Casadei
28/07/2021 - 2:00
Esteri
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Un manifestante tunisino protesta davanti al Parlamento di Tunisi

Era un epilogo annunciato l’atto di imperio con cui il presidente tunisino Kais Saied ha esautorato governo e parlamento lunedì 26 luglio.

Primo paese a entrare nei turbini della Primavera araba (dicembre 2010) e primo a liberarsi dell’autocrate al potere (nel gennaio 2011 il presidente superpoliziotto Ben Ali fu costretto a fuggire in Arabia Saudita, dove è morto due anni fa), non ha saputo mantenere le promesse della sua Rivoluzione dei Gelsomini.

Dieci anni dopo la defenestrazione di Ben Ali, la Tunisia è di fatto l’unica democrazia del mondo arabo, ma è anche il paese arabo col più alto tasso di mortalità da Covid-19, quello con la più forte instabilità dell’esecutivo (11 governi diversi in 10 anni, parlamento frammentato fra 20 partiti diversi), un tasso di disoccupazione giovanile altissimo (36,5 per cento), l’esplosione del debito pubblico combinata con l’incapacità di concludere un accordo col Fondo monetario internazionale (Fmi) per i 4 miliardi di dollari di prestito di cui ha bisogno per ripartire dopo che la pandemia ha provocato un crollo del Pil nazionale dell’8,8 per cento lo scorso anno, proteste popolari legate alla crisi economica che vanno avanti dal gennaio scorso e un braccio di ferro fra governo, parlamento e capo dello Stato che aveva raggiunto il punto di non ritorno.

Dal 2020, inoltre, la Tunisia è il paese di origine della maggioranza assoluta (circa 60 per cento) dei migranti che attraversano clandestinamente il Mediterraneo per approdare in Italia.

È un golpe o no?

Si tratta di un golpe o di un provvedimento compatibile con la costituzione del paese (approvata nel 2014)? Ovviamente la risposta differisce a seconda che si dia retta al capo dello Stato e ai suoi sostenitori (il più importante dei quali è la Cgtt, il principale sindacato tunisino) oppure i partiti rappresentati in parlamento.

Invece a livello internazionale si preferisce assumere posizioni sfumate, come quella che la Ue ha ufficializzato attraverso il suo Alto Rappresentante, Josep Borrell: «L’Unione europea segue con la massima attenzione gli sviluppi in Tunisia. Le radici democratiche del Paese, il rispetto dello Stato di diritto, della Costituzione e del quadro legislativo devono essere preservati rimanendo attenti ai desideri e alle aspirazioni del popolo tunisino. Chiediamo pertanto il prima possibile il ripristino della stabilità istituzionale, e in particolare la ripresa dell’attività parlamentare, il rispetto dei diritti fondamentali e l’astensione da ogni forma di violenza».

La Ue chiede il ripristino non dell’ordine istituzionale – il che implicherebbe la convinzione che sia stato infranto – ma della stabilità istituzionale, cosa evidentemente diversa. Forse perché è difficile stabilire se l’ordine istituzionale sia stato davvero violato.

Covid e crisi politica

Saied giustifica il licenziamento dell’esecutivo e la sospensione dell’attività del parlamento in forza dell’articolo 80 della Costituzione, che recita così: «In caso di pericolo imminente che minacci le istituzioni della nazione e la sicurezza e l’indipendenza del paese e ostacoli il funzionamento regolare dei poteri pubblici, il Presidente della Repubblica può prendere le misure rese necessarie da questa situazione eccezionale (…). Queste misure cessano di avere effetto nel momento in cui cessano le circostanze che le hanno generate. Il Presidente della Repubblica indirizza un messaggio a questo riguardo al popolo».

L’incapacità del governo di far fronte all’epidemia da Covid-19 (grave disorganizzazione del programma di vaccinazioni, mancanza di ossigeno nei reparti che ricoverano i malati, sovraffollamento delle unità di terapia intensiva) e l’indisponibilità del governo di coalizione di Hichem Mechichi a ritirare le nomine degli 11 ministri che il presidente si è rifiutato di accettare nel gennaio scorso (denunciando conflitti di interesse e casi di corruzione fra i nomi a lui sottoposti) rappresenterebbero la situazione eccezionale che richiede l’intervento del Presidente.

Capo del governo e del parlamento fanno presente però che Saied non ha rispettato la lettera dell’articolo, che prevede che le misure eccezionali siano prese «dopo consultazione col capo del governo e col presidente del Parlamento e dopo averne informato il presidente della Corte costituzionale». Corte costituzionale che ha l’ultima parola sullo stato d’eccezione, perché «trenta giorni dopo l’entrata in vigore di queste misure, e su richiesta del presidente del Parlamento o di trenta deputati, la questione è portata davanti alla Corte costituzionale, che deve stabilire se la situazione eccezionale persiste».

La Corte Costituzionale non c’è

Per la sua decisione Saied non si è consultato con i capi del governo e del parlamento, tanto meno ne ha informato la Corte costituzionale. Ma quest’ultima defaillance ha una inattaccabile giustificazione: a sette anni dall’approvazione della nuova costituzione tunisina, la Corte costituzionale non è stata ancora istituita! La Costituzione stabilisce che i dodici membri della Corte siano nominati dal Capo dello Stato, dal Parlamento e dal Consiglio superiore della magistratura.

Fino ad oggi ciò non è stato possibile perché in Parlamento non si è riusciti a raggiungere la maggioranza di 145 voti (su 217 parlamentari) necessaria per la ratifica dei giudici di nomina parlamentare. Tentativi da parte del presidente del Parlamento, l’islamista Rachid Gannouchi, di cambiare la normativa per abbassare il quorum a 131 sono stati rintuzzati dal presidente Saied in persona.

Il partito islamista in piazza

Al di là delle schermaglie sulle procedure costituzionali, Saied si è sentito abbastanza forte per fare la sua mossa contando sull’appoggio popolare.

A protestare in piazza contro la messa in mora di governo e parlamento sono praticamente solo i sostenitori di Ennhada, il partito islamista moderato che rappresenta il principale gruppo parlamentare (quasi un quarto dei deputati) e l’anno scorso nei sondaggi raccoglieva il 23 per cento delle intenzioni di voto, ma che nelle manifestazioni popolari di quest’anno è il bersaglio delle proteste contro le inefficienze del governo.

Non ci sono stati arresti di manifestanti fino ad oggi, né l’ex capo del governo e i parlamentari hanno patito restrizioni alla loro libertà personale, tranne quella di non poter entrare in parlamento e nella sede del governo.

Una democrazia senza partiti

Due anni fa Saied, giurista e commentatore televisivo indipendente dai partiti, è stato eletto sorprendentemente presidente al secondo turno con una valanga di consensi (72,7 per cento dei voti espressi) proprio perché ha promesso di mettere fine all’instabilità politica riducendo i poteri del parlamento e rafforzando quelli del presidente, che in base alla Costituzione è il referente ultimo per la Difesa e la sicurezza interna, e ha il potere di sciogliere il governo.

Nello stesso mese di ottobre 2019 i tunisini hanno eletto capo dello Stato e deputati del Parlamento. Mentre i votanti del secondo turno delle presidenziali sono stati il 56,8 per cento degli aventi diritto, quelli delle elezioni politiche sono stati appena il 41,7 per cento, ben 26,7 punti in meno delle precedenti elezioni parlamentari del 2014.

Da allora l’insofferenza per i partiti è andata crescendo, mentre Saied non perdeva occasione per andare allo scontro con Mechichi e Ghannouchi. Oggi la democrazia senza partiti che è nei progetti del capo dello Stato e la convinzione della maggioranza dei tunisini di avere bisogno di un uomo forte al comando sembrano avere trovato uno sbocco politico gravido di conseguenze.

Foto Ansa

Tags: primavera arabaTunisia
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