La tortura della ricerca italiana

Di Pietro Piccinini
12 Marzo 2020
Giuseppe Remuzzi viviseziona le bugie alla base dell’«assurda» legge contro la sperimentazione animale. «I primati ci aiuteranno a trovare un vaccino per il Covid-19. A oggi non abbiamo alternative»
Animalisti in protesta contro la sperimentazione animale

Articolo tratto dal numero di marzo 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

Quando furono approvate, nel 2014, le nuove regole sulla sperimentazione animale in Italia scatenarono la ribellione del mondo della ricerca. Al grido di “stop vivisezione” – slogan disonesto che riesumava una pratica seppellita da tempo nel nostro paese – gli animalisti avevano ottenuto il loro scopo: il testo avrebbe dovuto limitarsi a recepire le disposizioni della direttiva europea 2010/63, ma alla fine saltò fuori una legge piena di proibizioni e arzigogoli burocratici che andavano ben oltre i dettami di Bruxelles, tanto da tagliare fuori di fatto i nostri laboratori e atenei da tutti i bandi comunitari per qualunque ricerca basata sulla sperimentazione animale, in pratica vietandola sul territorio nazionale. 

Nei successivi sei anni, spaventati dalla minaccia di una sanzione europea per i limiti inopinatamente introdotti (in particolare il divieto di utilizzare animali per fare ricerca sugli xenotrapianti e sulle sostanze che creano dipendenze), i governi di Roma hanno scongiurato l’entrata in vigore dei paletti più rigidi a furia di deroghe triennali. E la guerra civile tra animalisti e scienziati era stata quasi dimenticata. Adesso tuttavia ci risiamo: scaduta la precedente deroga il 31 dicembre scorso, l’esecutivo M5s-Pd ne ha infilata una nuova nel decreto Milleproroghe, che però dura soltanto un anno. Troppo poco per evitare che la ricerca italiana sia messa fuori corso in Europa. Illustri scienziati, premi Nobel, rettori delle più importanti università italiane negli scorsi mesi hanno chiesto in molte salse al governo di non cedere al «violento attacco alla ricerca biomedica» da parte di un gruppo di pressione che rappresenta «meno del 3 per cento della popolazione». Tutto inutile. 

Il 19 febbraio, giorno dell’approvazione alla Camera del Milleproroghe, Giuseppe Remuzzi, uno dei maggiori divulgatori scientifici italiani (scrive anche per il Corriere della Sera), direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, ha firmato insieme al fondatore del centro, Silvio Garattini, e ad altri titolati colleghi una nota per tornare a denunciare le «assurdità» della legge e la pavida risposta del ministero a «questi insensati divieti». 

Professor Remuzzi, Che cosa c’è di assurdo nella legge?

Ci sono alcuni divieti che sono assolutamente assurdi poiché non migliorano in alcun modo il benessere degli animali e anzi, in alcuni casi lo peggiorano. Un esempio per tutti: l’articolo 10, comma 5, recita che «è vietato l’allevamento di cani, gatti e primati non umani per le finalità di cui al presente decreto», ma queste stesse specie possono essere utilizzate. Il risultato è che gli animali dovranno essere acquistati all’estero e trasportati fino in Italia, con grave disagio per gli stessi! Pensiamo ad esempio ai primati non umani che daranno un contributo enorme in questi giorni a mettere a punto un vaccino per Covid-19; i nostri allevamenti sono stati chiusi, quindi dovranno essere acquistati all’estero e trasportati fino in Italia! Chi, inoltre, garantirà per la qualità degli allevamenti all’estero? 

Perché l’Europa vuole multarci? La ritiene una giusta punizione?

Le direttive europee, una volta emanate, devono essere recepite dagli Stati membri in maniera completa, altrimenti non hanno senso. Se ogni Stato si sentisse libero di recepire le direttive a proprio piacimento, queste sarebbero totalmente inutili. La comunità europea quindi deve sanzionare chi non recepisce in modo corretto le direttive e va così ad introdurre delle importanti disparità tra gli Stati membri.

Molti ricercatori ripetono (e spesso lamentano) che l’Italia ha già oggi regole più stringenti sulla sperimentazione animale rispetto al resto d’Europa. Lo crede anche lei?

In alcuni casi sì, le regole imposte dal decreto legislativo 26/2014 sono insensatamente stringenti, cioè non comportano un miglioramento delle condizioni degli animali e bloccano il lavoro dei nostri ricercatori. L’esperienza è diretta e quotidiana ed è quindi necessario riallineare la nostra normativa a quella vigente in tutta Europa.

A settembre è stato lanciato un manifesto (“Salviamo la ricerca biomedica italiana”) firmato in meno di tre mesi da quasi 22 mila persone, tra cui moltissimi ricercatori di primo piano e almeno tre premi Nobel, proprio per chiedere che i nuovi divieti sulla sperimentazione animale non entrassero in vigore il 1° gennaio 2020. Poi è arrivata l’ulteriore deroga di appena un anno. Lei aveva sottoscritto il manifesto? Il mondo della ricerca non è stato preso in considerazione? 

Sì, certo, io e tutti i colleghi dell’Istituto Mario Negri abbiamo sottoscritto il manifesto che, purtroppo, non è stato preso in seria considerazione dal ministero della Salute. La proroga di un solo anno dei divieti non serve a nulla poiché i progetti di ricerca hanno tempi molto più lunghi; inoltre questa proroga non chiude il contenzioso con la Commissione europea e, anzi, evidenzia ulteriormente la necessità di un intervento rapido.

Avete trovato validi interlocutori negli ultimi governi? 

Alcuni validi interlocutori ci sono stati e ci sono tuttora, ma in questo ambito la lobby animalista è molto potente. Abbiamo partecipato a tutti i tavoli di lavoro sui metodi alternativi (pochissimi) alla sperimentazione animale e i risultati sono disponibili a tutti. Purtroppo ad oggi non esiste la possibilità di eliminare l’utilizzo del modello animale se non si vuole testare direttamente nell’uomo. Questi dati però, contenuti in un rapporto del Centro di referenza nazionale sui metodi alternativi, non vengono tenuti nella giusta considerazione proprio per la fortissima pressione delle lobby animaliste.

Che cosa si sarebbe persa l’umanità senza sperimentazione animale?

Praticamente tutto in ambito biomedico, quindi farmaci, dispositivi biomedici, tecniche chirurgiche, trapianti, sicurezza alimentare. I modelli animali sono fondamentali nella ricerca cosiddetta “di base”, cioè quella che indaga i meccanismi alla base del funzionamento degli organismi viventi e sono tuttora necessari per studiare gli effetti tossici delle sostanze assunte cronicamente. Anche i dispositivi biomedici, ad esempio i pacemakers, hanno avuto e hanno tuttora bisogno di essere testati su modelli animali prima di essere impiantati in un uomo. 

E che cosa rischia di perdere l’Italia con i nuovi divieti? 

Tutta la ricerca sui meccanismi d’azione delle sostanze d’abuso, quelle che ogni giorno mettono in pericolo la vita dei nostri ragazzi (e non solo) e che cambiano in continuazione proprio per sfuggire ai controlli che vengono messi in atto dalle autorità. Così come la ricerca che potrebbe portare domani ad avere organi originati da cellule staminali del paziente, fatti crescere in una specie animale diversa e poi trapiantati nel paziente stesso, risolvendo così il gravissimo problema della carenza di organi per i trapianti.

Gli animalisti gridano: stop vivisezione, basta con la tortura degli animali. Si è mai sentito un torturatore? Lei e i suoi colleghi non avete problemi di coscienza?

Saremmo felici se non dovessimo ricorrere agli animali e facciamo di tutto per evitarlo. Non solo, ma si ricorre agli animali sempre solo e quando non se ne può fare a meno. Tutto il resto lo facciamo con simulazioni e cellule in coltura. I nostri stabulari sono come le sale operatorie degli uomini: stesse precauzioni, stesse sterilità, stesse attenzioni e gli animali vengono sottoposti alle migliori terapie possibili. Usando gli stessi strumenti che utilizziamo in clinica: ecocardiografi, Tac, Pet, risonanza magnetica, eccetera. 

Per avere a cuore e promuovere il benessere degli animali bisogna essere animalisti e battersi contro la sperimentazione animale?

Assolutamente no! Bisogna essere persone serie e capire che l’unica cosa ragionevole oggi è garantire il miglior trattamento possibile a quegli animali che ancora dobbiamo utilizzare in ricerca per curare i nostri pazienti (umani e non umani). Questo vuol dire applicare correttamente le normative europee e mondiali sulla protezione degli animali, non mentire dicendo che potremmo farne a meno. Questo non giova a nessuno.

Si è mai chiesto che diritto abbiamo noi uomini di usare gli animali per i nostri esperimenti?

Questo è un discorso molto ampio che richiederebbe una trattazione complessa. Mi limiterei a dire che il rapporto tra l’uomo e l’animale è oggi improntato sulla consapevolezza che l’uomo ha il dovere morale di non far soffrire gli animali inutilmente ma, cionondimeno, ha la responsabilità di proteggere la sopravvivenza della propria specie. In questo senso quindi molte attività dell’uomo come, ad esempio, la derattizzazione o l’allevamento degli animali a scopo alimentare insieme alla ricerca biomedica sono da considerarsi eticamente accettabili nella misura in cui non inducono inutili sofferenze agli animali.

L’americana Environmental Protection Agency promette che entro il 2035 si potrà fare a meno della sperimentazione animale. I “metodi alternativi” di ricerca sono così avanzati da giustificare una simile previsione?

Innanzitutto va precisato che si tratta solo ed esclusivamente di test di tossicologia, quindi una parte (20 per cento circa) degli esperimenti che ad oggi vedono coinvolti i modelli animali. Detto questo, comunque, ritengo che si tratti semplicemente delle solite “bugie rassicuranti” che ottengono maggior attenzione delle “scomode verità scientifiche”. Chi non vorrebbe che questa previsione fosse vera? Tutti ne saremmo felici, quindi la accogliamo con uno spirito benevolo, ma sappiamo già che non sarà possibile.

Foto Ansa

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