Giorgio Forti è accademico dei Lincei e Professore emerito di Biochimica vegetale della facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali dell’Università degli Studi di Milano. è tra i firmatari dell’appello “Liberi da Ogm”, manifesto promosso da un nutrito schieramento di organizzazioni agricole, commerciali e ambinetaliste.
Professore, siamo dunque autorizzati a pensare che lei è contrario sempre e comunque all’utilizzo (o all’introduzione) di Ogm vegetali? Oppure ci sono condizioni d’utilizzo che troverebbero il suo consenso?
L’uso delle tecniche che impiegano il Dna ricombinante è indispensabile per ricerche di base in biochimica, biofisica, fisiologia, patologia umana, degli animali e delle piante. Non si può pensare di imporre leggi che limitino le attività di ricerca. Queste tecniche sono conseguenze metodologiche delle scoperte del Novecento sul come funziona l’eredità negli organismi viventi, sulla struttura e funzione delle molecole che vi prendono parte (Dna, Rna e proteine), e della scoperta dell’universalità del linguaggio genetico (impropriamente chiamato “codice genetico”), in tutti gli esseri viventi. Detto questo, sono contrario alla introduzione di geni estranei in piante o animali coltivate o allevati, senza una approfondita sperimentazione che necessariamente deve durare anni per dare serie garanzie di non provocare danni, direttamente o indirettamente. Ora, per gli Ogm che sono stati messi in commercio da alcune grandi compagnie, o che si progetta di coltivare su larga scala, questa sperimentazione manca pressoché completamente, come sono stati costretti ad ammettere anche alcuni dei proponenti “scientifici” degli Ogm. La rigorosa applicazione del principio di precauzione è d’obbligo.
Uno dei temi di dibattito è l’impatto ambientale dell’Ogm. Alcuni sostengono che non sia prevedibile, anche quando si prendono tutte le cautele, altri sostengono che neppure l’impatto ambientale delle colture non Ogm ma frutto di incroci è prevedibile, e dunque l’argomento non può essere sollevato esclusivamente in relazione agli Ogm. Lei cosa pensa?
L’impatto ambientale degli Ogm non è stato sufficientemente studiato. A questo punto si può ricordare un esempio drammatico in altro campo: le tragiche conseguenze del non aver studiato i possibili danni dell’uso generalizzato come isolante termico dell’amianto, che non si sapeva causasse il mesotelioma. Gli Ogm vegetali hanno due scopi: introdurre nel patrimonio genetico di piante coltivate geni per la resistenza a parassiti (insetti, funghi e batteri), oppure ad erbicidi, in modo da poter trattare le coltivazioni con erbicidi per uccidere le piante infestanti senza danneggiare le coltivate. I secondi sono i più pericolosi per l’ambiente, perché se il gene che procura resistenza si diffondesse, per esempio alle infestanti, sarebbe un guaio. Il confronto con l’incrocio, necessariamente intraspecifico o tra specie estremamente simili, a cui alludono i sostenitori degli Ogm è incongruo: certo non si sanno prima i risultati di un incrocio, come non si sanno i risultati dell’incrocio tra donna e uomo sulle qualità fisiche e mentali dei figli, ma la specie di cui si tratta è da migliaia o milioni di generazioni sottoposta alla selezione naturale, mentre l’Ogm no.
Altro tema di polemica è il corredo genetico degli Ogm. Alcuni militanti anti-Ogm sostengono ancora che le colture convenzionali sono state fatte tramite incroci e selezione, ma sempre nell’ambito di specie simili, mentre gli Ogm sarebbero creazioni artificiali che combinano il regno vegetale con quello animale andando oltre le barriere naturali. è un’affermazione corretta?
L’espressione “militanti anti o pro qualcosa” non si può applicare a problemi scientifici: noi dobbiamo fare osservazioni ed esperimenti e cerchiamo di interpretarli, ci ragioniamo su, ne discutiamo tra noi, a voce e soprattutto sui periodici scientifici: sin qui non militiamo. Quando si vada ad applicazioni che abbiano conseguenze sociali e/o economiche, quindi politiche, si può ed in molti casi si deve militare, sempre sulla base di quanto riteniamo vero rispetto alle conoscenze attuali: con sempre in mente la possibilità che le conclusioni cui siamo arrivati possano essere invalidate da nuove scoperte. Per questo, il principio di precauzione è d’obbligo, per gli Ogm come per l’uso dell’energia atomica o di certi processi chimici o ingegneristici. è certamente vero che gli Ogm non sono stati sottoposti al vaglio della selezione naturale, mentre i genomi delle varietà ottenute per incrocio di varietà o ceppi preesistenti hanno passato quel vaglio.
Si dice spesso che la diffusione delle colture Ogm metterebbe a repentaglio la biodiversità. Ma lo stesso discorso non dovrebbe valere per le colture convenzionali frutto di incroci, che sono diventate dominanti in molte parti del mondo a scapito di varietà che sembrano destinate all’estinzione?
L’uso diffuso degli Ogm in agricoltura diminuisce certamente la biodiversità (meglio dire variabilità genetica intraspecifica, perché “biodiversità” indica piuttosto le diverse specie che convivono in un ambiente) della specie di cui si tratta. Infatti impone la semente Ogm a danno di varietà locali, che magari sono migliori per certe caratteristiche, e comunque sono quelle che i coltivatori e le condizioni ambientali del luogo hanno selezionato. A differenza degli Ogm, gli incroci (esempio: i mais ibridi di prima generazione, che hanno circa triplicato la produttività, o anche più che triplicato) e le varietà ottenute per poliploidia, come sono la maggior parte degli ortaggi e frutti che mangiamo, sono sottoposte al vaglio della selezione naturale, oltre che del gradimento dei coltivatori, che certo apprezzano di ottenere più prodotto con lo stesso lavoro sulla stessa superficie coltivata. è bene che l’opinione pubblica sappia che i risultati sinora ottenuti con gli Ogm vegetali sono molto modesti, e non giustificano certo la retorica magniloquente usata correntemente da pubblicitari interessati a vendere un prodotto di scarso valore. In certi casi la stabilità degli Ogm si è dimostrata incerta, e la qualità certamente non è confrontabile con i risultati ottenuti negli ultimi 150 anni con gli incroci di piante ed animali. Purtroppo partecipano a questo battage pubblicitario anche ricercatori che dovrebbero essere “scientifici”, ma sembrano aver dimenticato la razionalità e l’etica del nostro mestiere. A chi li ascolta decantano molto prematuramente le”magnifiche sorti e progressive” di Ogm non sufficientemente sperimentati, come se il valore scientifico di un ricercatore si giudicasse dalle sue apparizioni televisive invece che dal suo lavoro, pubblicato sui periodici scientifici sottoposti al vaglio critico dei revisori, e discusso nella comunità scientifica internazionale. Il lavoro scientifico è, per sua natura, aperto e soggetto a discussione pubblica: non può essere oggetto di segreto, di concorrenza ed infine di brevettazione. La concorrenza commerciale, per sua natura, non può entrare nella ricerca, che invece vive della cooperazione, dello scambio libero di informazioni e della discussione. In questo modo si è creata la scienza moderna nei secoli scorsi, e sino all’entrata del deprecabile spirito di concorrenza commerciale anche nei laboratori, negli ultimi 30 anni circa. Gli organismi viventi, Ogm o no, non possano esser brevettati, perché esistono da molto prima dell’esser stati modificati dai ricercatori: questi gli hanno aggiunto uno solo o un paio di geni, mentre l’organismo preesistente ne ha parecchie decine di migliaia, e non appartiene a nessuno. Poco vale l’argomento che si brevetta un metodo, e non un oggetto: brevettino pure il metodo, ma non l’organismo ottenuto con la modifica. I colleghi, e gli industriali, che pensano di procurarsi soldi e/o fama brevettando Ogm hanno sbagliato mestiere: si rivolgano all’elettronica o alla meccanica o ad altro. Quando ci siano Ogm utili e sicuri, ottenuti da ricercatori di Università o Enti di ricerca che pagano loro uno stipendio, si potranno produrre e vendere ai coltivatori, che li potranno riprodurre liberamente. Vivono di stipendio giudici ed insegnanti, ed i ricercatori di università ed enti pubblici di ricerca: perché dovrebbero alcuni di questi ultimi aver diritto a “tirare quattro paghe per un lesso”?
Le sue preoccupazioni in ordine alla diffusione degli Ogm sono prevalentemente scientifiche o prevalentemente politiche? Sono più i problemi scientifici da risolvere o quelli politici?
Le mie preoccupazioni sono scientifiche per il danno, discusso sopra, della mentalità mercantile prevalsa in alcuni ricercatori, e purtroppo anche in molti giovani che entrano in università. Come ho detto prima, la mentalità di concorrenza commerciale è incompatibile con la ricerca scientifica: è facile osservare che i ricercatori, di tutte le età, che hanno adottato questa mentalità sono scarsamente interessati allo studio scientifico, come è psicologicamente inevitabile. Quindi, le mie preoccupazioni sono insieme scientifiche e politiche. Sono nettamente sociali e politiche per quanto riguarda le conseguenze della appropriazione di organismi viventi con la brevettazione, e della sopraffazione economica e politica messa in atto dalle grandi compagnie che si servono di queste “loro” varietà, ed operano internazionalmente, spesso con la complicità di ricercatori universitari.
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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Emanuele Boffi