L’ostentata intransigenza con cui sia l’opposizione costituita dalla Coalizione nazionale siriana che il governo di Damasco si presentano alla Conferenza di Ginevra II dà ragione ai pessimisti che non si aspettano progressi sulla strada della pace dai lavori del vertice che inizia oggi in terra elvetica.
La prima continua a considerare pregiudiziale la cacciata dalla scena politica della famiglia Assad e del ceto politico che ad essa fa riferimento per il ritorno alla pace, il secondo continua a preconizzare una soluzione di forza del conflitto con la sconfitta militare dei ribelli. Ad avvelenare ulteriormente il clima è arrivato l’invito a partecipare ai lavori prima esteso e poi ritirato all’Iran, con la giustificazione che Teheran si rifiuta di accettare i risultati di Ginevra I. Resta così fuori dai negoziati uno dei paesi più coinvolti nella guerra civile internazionalizzata in corso in Siria, mentre ai lavori di apertura è ammesso l’Iraq, le cui posizioni non sono sostanzialmente diverse da quelle iraniane.
Ma l’equivoco che più di tutti promette di far fallire la conferenza è la carente rappresentatività della Coalizione nazionale siriana: a essa si riferiscono non più di 15-20 mila ribelli dei 100 mila che attualmente praticano la lotta armata nel paese. La priorità assoluta nell’attuale crisi è un cessate il fuoco su tutto il territorio della Siria, insanguinato da un conflitto che ha già causato 130 mila morti. Esso può essere ottenuto solo attraverso pressioni molto decise degli sponsor internazionali sui loro protetti locali: le armi taceranno se lo vorranno l’Arabia Saudita (padrino del Fronte islamico), Turchia, Stati Uniti e Unione Europea (padrini del Libero esercito siriano), la Russia e l’Iran (padrini del governo di Damasco), e quando Ankara si deciderà a sbarrare il passaggio di jihadisti attraverso il suo territorio. Una sciagurata politica destinata a riverberarsi sulla Turchia e sull’Europa intera.