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Immaginiamo per un attimo che Tirreno Power non sia di De Benedetti?

Perché la centrale di Vado Ligure non ha fatto la fine – buon per lei – dell'Ilva di Taranto? Per provare a capirlo, facciamo un giochino

Rachele Schirle
30/03/2014 - 4:00
Interni
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È risaputo che i bambini quando giocano usano l’imperfetto: «Io ero un principe e tu una principessa». È il tempo non finito, la cui azione continua, e dilata l’evento nella non-storia, nel non-finito (perfetto). E allora è il tempo giusto per questa fiaba che è quasi un gioco. Mezzo indovinello e mezzo nascondino.

Facciamo che c’era un procuratore della Repubblica che dopo quattro anni di lunghe indagini e perizie scopre che una centrale a carbone avrebbe (condizionale giudiziario) provocato in sette anni (tra il 2000 e il 2007) i seguenti disastri: 335 morti per patologie cardiovascolari; 103 morti per malattie cardiorespiratorie; 2.097 adulti ricoverati per analoghe patologie; 457 bambini con malattie analoghe e 129 ricoverati per asma. Malattie, dicevano le perizie della procura, esclusivamente attribuibili alla centrale. Molte altre malattie, in particolare i tumori ai polmoni, erano dubbie, ma non sono state prese in considerazione perché in questi casi i sospetti non fanno una prova.

Facciamo poi che dopo anni di indagini e polemiche, soprattutto da parte dei comitati di cittadini che non ne potevano più di quei comignoli che sporcavano polmoni e biancheria, il procuratore metteva sotto accusa i dirigenti della centrale, perché non avevano, a suo giudizio, predisposto tutte le precauzioni necessarie a ridurre le emissioni nocive, e qui l’elenco di emissioni e omissioni si farebbe davvero lungo.

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Ma non finisce qui: facciamo che, sempre secondo l’accusa, decessi e ricoveri sarebbero continuati anche negli anni successivi a quelli rilevati dalle perizie e a questi si sarebbe aggiunto un danno ambientale tale da assumere le dimensioni del disastro. E facciamo poi che un giudice per le indagini preliminari aveva disposto il sequestro dei due impianti a carbone della centrale termoelettrica, anche perché, si leggeva nell’ordinanza, «la condotta delle società che si sono succedute nella gestione della centrale è stata costantemente e sistematicamente caratterizzata da reiterate inottemperanze alle prescrizioni» e aggiungeva «appare dimostrato che il gestore ha sempre fatto quello che gli tornava più vantaggioso, il tutto nella neghittosità degli organi pubblici chiamati a svolgere attività di controllo, e che, lungi dal sanzionare le dette inottemperanze, hanno ritardato in modo abnorme l’emissione dei dovuti provvedimenti ed emesso alla fine un’autorizzazione ambientale integrata (Aia) estremamente vantaggiosa e frutto di un sostanziale compromesso in vista della costruzione di un nuovo gruppo a carbone che si presenta come meramente ipotetica».

Insomma, l’accusa della procura e il provvedimento del gip dicevano in sostanza che i proprietari della centrale, per il proprio tornaconto economico, non avevano speso quel che dovevano spendere e non avevano fatto quel che dovevano fare o che dicevano di aver fatto e questo aveva provocato un disastro ambientale con oltre 400 morti e duemila ricoveri. Per non parlare dei settecento lavoratori, tra dipendenti diretti e indotto, rimasti a casa a causa della chiusura degli impianti.

La «neghittosità» di chi vigilava
Andiamo avanti con il nostro a questo punto un po’ macabro gioco: perché i magistrati dicevano anche che chi doveva vigilare non lo aveva fatto, fino a tollerare che il rilevatore dei fumi fosse posto non in cima ai camini, come prescritto dall’Aia, ma alla base. Che non è proprio la stessa cosa: ma l’azienda era di parere diverso, e aveva chiesto ugualmente l’ok al ministero dell’Ambiente. Che lo aveva accordato e trasmesso alla centrale, guarda caso l’ultimo giorno prima del giuramento del nuovo governo, quando il ministro uscente aveva già fatto gli scatoloni e quello entrante non si era ancora insediato.

Facciamo infine che il presidente della Regione interessata, da cui dipende l’ente di controllo ambientale regionale (Arpal) aveva incontrato uno degli azionisti di maggioranza della centrale – figlio di un noto personaggio della finanza e che vantava la tessera numero uno dello stesso partito del governatore – per vedere cosa si poteva fare, e lo aveva dichiarato pubblicamente. Facciamo che a difendere l’azienda fosse stato chiamato l’ex ministro di Grazia e giustizia, in veste di avvocato e questo si era riunito con la procura (cioè l’accusa) e il giudice per concordare tempi e modalità di intervento che consentissero di ritirare l’ordinanza, fatto questo con pochi precedenti nella storia giudiziaria italiana.

E adesso viene il bello perché la seconda parte del nostro gioco consiste nel dare un nome all’azienda, al proprietario, ai politici e immaginarci cosa sarebbe successo se…

Altro che Mani Pulite
Se, per esempio, il padre del proprietario che controlla una quota di maggioranza della centrale fosse stato tal Silvio Berlusconi, imprenditore e, appunto, tessera numero uno del suo partito, e magari tutto fosse avvenuto vicino a Milano e il governatore fosse stato tal Roberto Formigoni. Cioè, per riassumere facciamo che la centrale fosse stata in Lombardia e uomini vicini a Berlusconi avessero omesso importanti misure precauzionali, fino a causare la morte di oltre 400 persone, fidando nella neghittosità degli enti pubblici, e il figlio di Berlusconi e il governatore Formigoni si fossero incontrati, mentre l’ex ministro di Grazia e giustizia (facciamo Previti che il gioco diventa ancora più bello, oppure Alfano se vogliamo stare più vicini con i tempi) fosse andato dai magistrati per vedere cosa si poteva fare…

Che storia ragazzi, altro che Mani Pulite, altro che manifestazioni di piazza, altro che seconda Repubblica. Già la vediamo la tricoteuse che si avvia con il suo lavoro a maglia e lo sgabello per sedersi in prima fila in una italiana place Vendôme per sferruzzare mentre finalmente cala la ghigliottina. Ma la festa dell’Nca (Nuovo che avanza, e che da vent’anni avanza!) finalmente pronto a travolgere il Vcr (Vecchio che resiste, e da vent’anni resiste!) è rovinata. Perché il gioco del “facciamo che…” ha preso una direzione ostinata e contraria.

Accidenti, la centrale non è in Lombardia, ma a Vado Ligure, non si chiama Lambro Power ma Tirreno Power, l’azionista che la controlla tramite Sorgenia si chiama Rodolfo e non Pier Silvio, di cognome fa De Benedetti e non Berlusconi, il partito di cui ha la tessera numero uno è il Pd e non Forza Italia, il governatore è Burlando e non Formigoni, l’avvocato ex ministro della Giustizia è Paola Severino e non Angelino Alfano né tantomeno Cesare Previti.

E questa volta non facciamo la figura dei retrogradi garantisti se riportiamo la precisazione della Regione, che dice che sono stati proprio gli ispettori dell’Arpal a segnalare agli organi competenti e alla procura la mancanza del rilevatore dei fumi emessi dai camini. (Nb. Per la procura sono stati invece i carabinieri, ma diciamolo sottovoce perché qui si entra nel campo delle indagini ancora in corso). Meno si dice del fatto che non sia stato rispettato, secondo le indagini, il cronoprogramma previsto dall’Aia per la sicurezza ambientale, che sia stato usato olio combustibile denso con valori superiori alla norma, e altre simili inadempienze, in tutto dieci, compresi gli scarichi a mare.

I sindacati sono furibondi: devono difendere il posto di lavoro ma anche confrontarsi con i cittadini che reclamano il diritto prevalente sancito dalla Costituzione, che è la salute; la politica – cioè i politici – sono imbarazzati e si trincerano dietro il generico “noi l’avevamo detto”; la procura sente sul collo il fiato di un’opinione pubblica che questa volta, a parlare con la gente, forse avrebbe preferito non sapere ma che ora non può chiudere gli occhi o nascondere la testa sotto una sabbia inquinata e la Tirreno Power si limita a un comunicato in cui afferma che «avrà modo di fare le sue osservazioni nella giusta fase processuale» e che «gli elementi che hanno portato al sequestro sono già stati superati dai fatti e che una volta fornita al giudice la documentazione a integrazione delle informazioni in suo possesso potrà rivalutare la decisione sul blocco degli impianti».

E la stampa tace
L’attenzione dei media ora è tutta puntata sulla possibilità di riaprire, se possibile definitivamente, la centrale, per salvare il lavoro che dà il pane a settecento famiglie – diritto sacrosanto – ma anche non nuocere ulteriormente alla salute di migliaia di persone – diritto più sacrosanto ancora.

E i morti e gli ammalati? Su questi il rumore delle rotative si fa più flebile, la stampa macchia di meno. I nomi degli indagati, i dirigenti della Tirreno Power, si fanno più stinti sui giornali.

Come si fanno più stinti gli accenni alle responsabilità di chi stava più in alto e non ha stretto le maglie dei controlli, pur sapendo che erano in corso indagini da ben quattro anni. Possibile che le colpe del disastro colposo siano tutte di un gruppo di cinque dirigenti? A Vado Ligure e nei comuni vicini i cittadini e i comitati spontanei ripetono che «nell’acqua torbida non si vedono i pesci». E l’acqua che circola in una centrale a carbone non è proprio delle più chiare. Dall’imperfetto questa storia passa al presente. Non è più il tempo delle fiabe.

Tags: aiacarlo de benedettiliguriamagistraturapaola severinoPdsorgeniaVado Ligure
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