I rischi per l’Italia dalla guerra in Medio Oriente

Di Simone Cantarini
20 Ottobre 2023
Il conflitto tra Israele e Hamas può portare il nostro paese a incrinare i rapporti con partner ora importanti come Algeria (gas), Iraq (petrolio) e Tunisia (migranti)
Dimostrazione pro Hamas a Tunisi, Tunisia (Ansa)
Dimostrazione pro Hamas a Tunisi, Tunisia (Ansa)

La guerra in corso tra Israele e Hamas ha riportato nuovamente il mondo a dividersi. Dopo il ritorno della “nuova Guerra fredda” a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022 che ha spinto l’Occidente a schierarsi nettamente dalla parte di Kiev, il divampare del conflitto in Medio Oriente ha portato i Paesi occidentali, tra cui l’Italia, a inviare un chiaro messaggio di sostegno a Israele.

Tuttavia, il conflitto è molto più complesso e subdolo di quello in corso in Ucraina e porta con sé non solo interessi di tipo territoriale ed economico, ma anche posizioni ideologiche e religiose che riguardano molti Paesi con cui l’Italia ha intrecciato negli ultimi tempi rapporti politici ed economici.

L’Italia pro Israele

Il governo Meloni, al pari di altri esecutivi europei come quello francese, tedesco e britannico, si è dimostrato compatto sul sostegno a Israele, avviando al contempo una necessaria, quanto complessa, azione diplomatica con i Paesi arabi temendo un allargamento del conflitto in Medio Oriente. Non a caso, il vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Antonio Tajani ha condotto una serie di visite lampo in Egitto e Giordania che insieme a Emirati, Bahrein e Marocco sono tra i Paesi arabi che riconoscono lo Stato di Israele e che possono fungere da mediatori nella crisi insieme ad altri attori come Turchia, Qatar e Arabia Saudita.

L’Italia, oltre a vantare relazioni strettissime con Israele e con gli Stati che riconosco lo Stato ebraico, vanta rapporti con molti Paesi della regione del Medio Oriente e Nord Africa (detta anche area Mena) più “estremisti” sulla questione palestinese che sono divenuti ancora più strategici dopo la drastica riduzione delle importazioni di idrocarburi dalla Russia a seguito della guerra in Ucraina.

Algeria, Iraq e Tunisia

I Paesi che potrebbero rivelarsi “problematici” per l’Italia, ovviamente in caso di un acuirsi del conflitto e di una sua estensione a livello regionale tale da coinvolgere attori statuali e portare ad azioni di boicottaggio o di ricatto per fare pressioni sul blocco pro-Israele, sono anzitutto Algeria, Iraq e Tunisia.

I primi due per le leve economiche, mentre nel caso della Tunisia il fattore di rischio più importante è quello migratorio. Nel novero rientra ovviamente anche il Libano, che potrebbe rappresentare uno dei possibili fronti della guerra lanciata da Israele contro Hamas e che ospita la missione Unifil, situata nel sud del Paese con il compito di mantenere una linea di de-conflitto proprio tra lo Stato ebraico ed Hezbollah, e in cui l’Italia vanta uno dei contingenti più numerosi (1.256 militari e 380 mezzi).

L’Algeria sostiene la causa palestinese

Dopo la guerra in Ucraina, Algeri è diventata è il principale esportatore di gas per l’Italia. Nel 2022 ha coperto il 40 per cento del fabbisogno nazionale, con circa 25 miliardi di metri cubi di gas e nel gennaio 2023, con la visita della premier Giorgia Meloni ad Algeri, i rapporti sono stati ulteriormente rafforzati a livello economico tanto da renderlo uno dei Paesi chiave del cosiddetto Piano Mattei. Italia e Algeria stanno anche discutendo un progetto di interconnessione elettrica tramite cavi sottomarini con finanziamenti europei.

A fronte di questo strettissimo rapporto con l’Italia, l’Algeria è però anche uno dei più strenui sostenitori della causa palestinese tanto da essere stato il primo Paese dopo l’Iran ad assumere una netta posizione a favore della popolazione della Striscia, condannando unilateralmente lo Stato di Israele (considerato unico responsabile di «brutali attacchi») e rivendicando il diritto dei palestinesi a combattere «l’occupazione sionista».

Inoltre, l’Algeria ha espresso riserve sulla dichiarazione finale dell’incontro arabo d’emergenza sulla situazione in Palestina avvenuto al Cairo lo scorso 11 ottobre. La delegazione algerina ha espresso perplessità sui risultati della dichiarazione finale, che chiedeva «l’immediata cessazione della guerra israeliana nella Striscia di Gaza» e condannava «i massacri di civili da entrambe le parti».

Come riportato dall’agenzia di stampa turca Anadolu, si tratta di una nota scritta sotto il comunicato finale dell’incontro in cui si legge che l’Algeria «prende le distanze da tutto ciò che equipara il diritto inalienabile del popolo palestinese all’autodeterminazione per stabilire uno stato sovrano sulla base dei confini del 1967, alle pratiche dell’entità sionista che viola le carte e le risoluzioni della legittimità internazionale».

Il rapporto “storico” tra Tunisi e leadership palestinese

Con la Tunisia l’Italia si è giocata molto favorendo il memorandum d’Intesa con l’Unione europea firmato lo scorso luglio nella capitale tunisina. Grazie alla visita a tre condotta da Meloni, dalla presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen e dal premier olandese Mark Rutte, il memorandum ha l’obiettivo di arginare la crisi dei migranti partendo dalla collaborazione con i Paesi di transito. Inoltre, l’Italia vanta in Tunisia ben 800 società, rappresentano circa un terzo di tutte le imprese a partecipazione straniera.

La Tunisia è il Paese del Nord Africa che ha forse il legame più storico con la causa palestinese. Il Paese ospitò per ben 12 anni i vertici dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP), tra cui lo stesso Yasser Arafat, dopo la loro fuga dal Libano nel 1982, subendo anche nel 1985 un attacco condotto da Israele (l’operazione Gamba di legno) che colpì la sede dell’OLP ad Hamman Chott a poche decine di chilometri da Tunisi. La leadership palestinese abbandonò la Tunisia solo dopo gli accordi di Oslo del 1994.

Le piazze tunisine

Il rapporto storico con la causa palestinese è stato ben evidente nelle manifestazioni di giovedì 12 ottobre e domenica 16 ottobre organizzate nella capitale Tunisi dove migliaia di persone sono scese in piazza in un rarissimo momento di unità per il Paese.

Al pari dell’Algeria, la Tunisia ha espresso le sue riserve sul testo della risoluzione adottata dalla Lega araba, con il ministro degli Esteri Nabil Ammar che affermato che «la Palestina non è una questione o un caso in cui c’è un querelante o un difensore, ma è piuttosto il diritto del popolo palestinese che non può essere cancellato o annullato dall’occupazione sionista attraverso omicidi, espulsioni e il taglio degli elementi più fondamentali della vita, come l’acqua, i medicinali, il cibo e l’elettricità, prendendo di mira anziani, donne e bambini innocenti, case, ospedali e squadre di soccorso e ambulanza».

L’Iraq e le milizie sciite filo-iraniane

Altro Paese potenzialmente “problematico” per gli interessi italiani nel caso in cui un’escalation del conflitto tra Israele e Hamas portasse ad azioni di boicottaggio e pressioni è l’Iraq. Come l’Algeria per il gas, l’Iraq è di fondamentale importanza per l’Italia per le importazioni petrolifere dopo lo stop delle importazioni dalla Russia.

Nel primo trimestre 2023, l’Italia ha importato quasi 15 milioni di tonnellate di petrolio con un incremento del 12 per cento rispetto allo stesso periodo 2022, facendo del Paese arabo il primo fornitore seguito da Azerbaijan e Libia. Proprio in Iraq, dove sono presenti Eni e altre aziende italiane, la premier Meloni ha condotto uno dei suoi primi viaggi dopo la formazione del governo nell’ottobre del 2022, incontrando a dicembre dello scorso anno il premier Mohammed Shia al-Sudan prima di visitare i militari del contingente italiano di stanza nel Paese nell’ambito della Missione Nato.

“Resistenza islamica”

Il Paese a maggioranza sciita è sede di alcune delle più importanti organizzazioni estremiste sciite appoggiate dall’Iran (Kataib Hezbollah, Harakat al-Nujaba e Asa’ib Ahl al-Haq) ed è stato il teatro dell’uccisione del famigerato generale della Forza Quds (forza Gerusalemme) dei Guardiani della rivoluzione iraniana (i cosiddetti Pasdaran), il generale Qassem Soleimani, morto nel gennaio 2020 insieme al comandante delle Unità della mobilitazione sciita Abu Mahdi al-Muhandis in raid statunitense nei pressi dell’aeroporto di Baghdad.

Dopo la decisione di Israele di proclamare la guerra contro Hamas, sono state organizzate diverse manifestazioni a sostegno della causa palestinese, la più importante venerdì 13 ottobre in risposta all’appello di Hamas. Le milizie sciite raccolte nella cosiddetta “Resistenza islamica” si sono spinte ben oltre minacciando di colpire asset statunitensi presenti nel Paese con missili e altre tipologie di attacco in caso di un sostegno attivo di Washington in una operazione delle forze israeliane a Gaza.

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