Lettere al direttore

Il funerale di Giulia Cecchettin e la lezione dell’angelo del Burundi alla giornalista di sinistra

Di Emanuele Boffi
07 Dicembre 2023
In mezzo alla confusione mediatica per l'assassinio della ragazza padovana, vanno recuperate le parole del vescovo Cipolla. L'intervista a Marguerite Barankitse e le sue risposte non scontate
Un momento dei funerali di Giulia Cecchettin, Basilica di Santa Giustina a Padova, 5 dicembre 2023 (Ansa)
Un momento dei funerali di Giulia Cecchettin, Basilica di Santa Giustina a Padova, 5 dicembre 2023 (Ansa)

Caro direttore, celebrato il funerale di Giulia Cecchettin, si sente il bisogno di qualche parola meno emotiva di quelle che sono state spese dopo questo orrendo delitto. Ma, dico la verità, fatico a trovarne ascoltando i commenti alla televisione o leggendo i giornali. Cosa rimarrà di questa triste vicenda? Ho la fastidiosa sensazione che sia stata molto discussa ma con troppe prediche a vuoto e portando avanti rimedi inutili (penso a questi “corsi sull’affettività” che paiono la panacea di tutti i mali, mah!). 

Clementina Rossi via email

Qui a Tempi abbiamo avuto la stessa sensazione. Ci torneremo con qualche articolo sul numero del mensile di gennaio. Per ora, penso che bastino le parole che il vescovo di Padova, Claudio Cipolla, ha pronunciato alle esequie. Qui trovate l’omelia completa di cui basti sottolineare il fatto che il vescovo ha invitato i tanti giovani presenti ad alzare lo sguardo: «Nella libertà potete amare meglio e di più: questa è la vostra vocazione e questa può e deve diventare la vostra felicità! Su questa strada ci incontreremo e potremo aiutarci: si incontreranno i giovani e Dio, i giovani e il Vangelo. L’amore non è un generico sentimento buonista, quindi. Non si sottrae alla verità, non sfugge la fatica di conoscere ed educare se stessi. È empatia che genera solidarietà, accordo di anime e corpi nutrito di idealità comuni, compassione che nell’ascolto dell’altro trova la via per spezzare l’autoreferenzialità e il narcisismo».

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Dietro la storiaccia Casarini – vescovi, resta la storiaccia dell’immigrazione, un problema annoso e che pare irrisolvibile. Ora, io capisco certi nostri prelati che, giustamente, vorrebbero dare soccorso e fare tutto quel che si più per questi poveri diavoli che fuggono da guerre, fame e povertà, ma proprio coi no global si dovevano mettere?

Anselmo Caglio via email

Dei “buoni” di cui diffidare abbiamo già detto. Vero è che, invece, bisognerebbe fare di tutto per aiutare quelle persone (e ce ne sono) che “buone” lo sono per davvero. Una di queste è Marguerite Barankitse, di cui già altre volte abbiamo scritto, e che è stata di recente in Italia per incontrare dei rappresentanti del governo italiano. Marguerite è “l’angelo del Burundi”, fondatrice della Maison Shalom in Rwanda, che ha compiuto il grande miracolo di dare una casa a 75 mila rifugiati, portando una parola di pace tra hutu e tutsi. Mi hanno fatto molto ridere le domande della giornalista della Stampa che l’ha intervistata l’altro giorno. Il tenore era questo: «La destra sovranista (…) che costruisce muri (…) che espelle i rifugiati» eccetera, e ci siamo capiti. Mi ha fatto ridere perché mi sono immaginato l’espressione della collega quando alla domanda così posta: «Il governo italiano sostiene che i rifugiati vanno aiutati a casa loro. È d’accordo?», Barankitse ha risposto: «Esatto! È questa la soluzione e io porterò il mio modello al ministero dell’Interno italiano per dimostrare che è possibile dare una vita dignitosa a chi cerca rifugio. I rifugiati non andrebbero nemmeno chiamati rifugiati, una parola che li disumanizza. Sono cittadini del mondo, persone come noi, normali, che vivono in una situazione anormale. Quindi è la situazione che deve cambiare, questa è la soluzione». E all’incalzare stranito della giornalista («un’utopia, dicono in molti»), l’angelo del Burundi ha dato la risposta definitiva: «No, non è un’utopia. Io non avevo nulla, ho iniziato rubando un nastro e l’ho usato per cucire dei pantaloncini per bambini. Ora, grazie ai fondi ottenuti attraverso i premi e grazie a donazioni private, abbiamo una città dove migliaia di persone che fino a cinque anni fa vivevano in una tenda e ora hanno una casa, un lavoro. Migliaia di bambini condannati a non avere futuro possono studiare. C’è chi impara un mestiere negli istituti professionali e chi frequenta l’università e si preparano a diventare la classe dirigente della regione dei Grandi Laghi. Questo dirò quando andrò al ministero dell’Interno. Restituire la speranza alle persone è possibile, è quello che avviene ogni giorno a Maison Shalom dove un popolo sconfitto ha recuperato la dignità senza l’assistenzialismo di chi dona vestiti o soldi. Sono i padroni della loro vita, non hanno più motivo per lasciare la loro terra. È l’unico modo per interrompere la catena dell’odio che in questo momento sta invadendo l’Europa».

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Le opposizioni hanno ritirato la firma dalla proposta sul salario minimo. Giuseppe Conte ha fatto la sceneggiata stracciando i fogli in aula. Ma quella che mi ha colpito di più è stata Elly Schlein che ha accusato la maggioranza di «essere d’accordo sullo sfruttamento dei lavoratori». Il risultato di questa cagnara, per un povero lavoratore come me, è che non si è capito niente.

Guido Alzati via email

A parte il fatto che il ritiro della firma non cambia nulla, è chiaro che Conte e Schlein hanno sposato questa battaglia per motivi ideologici e di consenso. Per quanto riguarda il merito della questione, ne abbiamo parlato spesso su Tempi e rimando agli articoli di Emmanuele Massagli (in particolare questo: “Compendio del catechismo sul salario minimo”).

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