Paola, 37 anni, riminese, ha raccontato a Repubblica che, dopo anni di frustrazioni, dolori e illusioni, finalmente potrà coronare con suo marito il sogno di «essere famiglia». Dopo inutili tentativi di poter avere un bambino ora anche lei potrà costruire il suo nido, con un cucciolo con cui «ridere e litigare, facendo i compiti e andando insieme alle giostre». Starà lì accanto a lui, «tutti i giorni, da quando rifiuta di alzarsi dal letto per andare a scuola» a quando, adolescente, «tirerà tardi sul computer» perché «non vuole andare a dormire». Paola e il marito vogliono solo un figlio e una famiglia. Nient’altro. Vogliono quello che hanno tutti gli altri solo che loro non possono perché lei è sterile. Ora, però, l’ospedale di Cattolica ha trovato un’altra coppia che, come loro, ha sgranato il rosario delle delusioni e delle illusioni. Lui è sterile, ed è una scarogna. Così i quattro si sono accordati tra loro e hanno stretto un patto tramite l’ospedale. Sarà il primo caso di fecondazione eterologa incrociata italiana, dopo che la Corte Costituzionale ha cancellato il divieto alla pratica contenuto nella legge 40.
Problemi? Nessuno, perché i figli sono di chi li cresce. E cosa diranno loro quando saranno adulti? Spiegheranno loro tutto e che c’è in giro un tizio che è fratello in quanto patrimonio genetico, ma non lo è dal punto di vista legale (e speriamo che se un giorno i due fratelli si incontreranno poi non si innamoreranno, perché vaglielo a spiegare tu che, allora sì, ci sarebbe un dannatissimo problema con il loro “love is love”).
Nell’intervista Paola racconta tutto ciò con soavità e leggerezza, incurante di qualsiasi tipo di obiezione, di qualsiasi incrinatura che possa mettere a repentaglio il suo sogno cristallizzato, così perfettamente immobile nella sua assertiva fissità: il mio desiderio è il mio diritto. D’altronde, che cosa le vuoi obiettare? La soluzione prospettata è magnificamente pragmatica: tu non puoi, ma tuo marito sì. L’altra può, ma suo marito no. Avete lo stesso grattacapo, ma a parti rovesciate. Vi siete incontrati, siete adulti e consenzienti, non avete crucci economici. La tecnica lo permette, i giudici hanno tolto gli ultimi vincoli di una legge medioevale, che cosa vi trattiene? «È un atto di generosità reciproco, alla pari», dice Paola. Si può fare: facciamolo.
Eugenia Roccella nell’introduzione a un libro da poco dato alle stampe (La famiglia è una sola, Giuliano Guzzo, Edizioni Gondolin) scrive che per molti anni l’Italia ha costituito un’eccezione perché il «senso comune» è stato più forte del «luogo comune, cioè da una comprensione del mondo astratta, prefabbricata e schiacciata sul pensiero dominante, proposto dagli opinion leader, dai mass media, dalle élite del nostro paese come da quelle europee». Oggi però quel che Roccella chiama «luogo comune», grazie al combinato disposto media-magistratura, ha travolto tutto e tutti. L’«onda anomala» ci ha sopraffatti, anche se nessuno sembra curarsene più di tanto.
Il libro di Guzzo è un tentativo di rimettere in ordine le cose, di opporsi all’incantesimo secondo cui «laddove c’è sentimento c’è famiglia». L’autore lo fa con gran profluvio di studi, citazioni, saggi e autorità che non possono essere tacciate in alcun modo di clericalismo. Guzzo è cattolico, ma non ingenuo. Lo sa benissimo che oggi l’anticattolicesimo è «l’unico pregiudizio accettabile» e così scende nel campo avversario mostrando come da Erodoto a Aristotele, da Cicerone a Max Weber, da Claude Lévi-Strauss a Karl Marx, ciò che la storia umana ci ha consegnato con i nomi di “famiglia”, “matrimonio”, “figliolanza” non è qualcosa di sottoponibile alle frégole del cuore, ma al contrario, qualcosa inerente l’esperienza a cui le leggi, sul piano civile, e i sacramenti, sul piano spirituale, hanno dato garanzie e indissolubilità.
Per questo, il tentativo di Guzzo di ancorare, in modo laico e razionale e non emotivo e sentimentale, il valore della famiglia a un giudizio chiaro che affondi le sue radici nell’esperienza umana, è un bene per tutti. Anche per Paola, anche per suo figlio. Altrimenti l’onda anomala seppellirà tutti. Anche Paola, anche suo figlio.