Tratto dal blog di Piero Gheddo – Questo Blog sulla fame nel mondo è stato pubblicato dal mensile di Avvenire “I luoghi dell’Infinito” del 5 maggio, dedicato all’Expo 2015. Lo riprendo come uno dei miei Blog perché penso interessi anche i miei lettori.
Perché 800 e più milioni di uomini soffrono la fame? È la grande domanda che molti si fanno, ma non c’è una risposta semplice e univoca. Nei miei numerosi viaggi in paesi extra-europei ho visto quanto è difficile risolvere questa tragedia. Nel 1969 a Moroto, capitale della regione dei Karimojon nel nord dell’Uganda, nella vasta area cintata dei Comboniani si erano rifugiati più di mille indigeni, seduti per terra in attesa di avere acqua e cibo. Un anno di siccità e quasi senza raccolto, li avevano portati a soffrire fame e sete. I pozzi della missione davano acqua e le riserve di mais e grano permettevano di sfamarli. Centinaia di uomini, donne e bambini scheletriti e sconvolti da dolori atroci, fino a non aver quasi più aspetto di persone umane. Ho pensato a Gesù crocifisso. Tutti quei miei fratelli e sorelle, quei bambini per i quali le mamme non avevano più latte, erano crocifissi e io mi sentivo impotente, quasi colpevole. Ricordo indimenticabile, vista anche in India, Bangladesh, Somalia, Namibia, Mozambico, Burkina Faso… Pregavo e mi chiedevo: Perché, o Signore?
Due le cause del sottosviluppo africano:
1) L’arretratezza dell’agricoltura e la corruzione delle élite locali. I paesi poveri non producono abbastanza cibo. Il senegalese Jacques Diouf, segretario della Fao, nel 2008 affermava: «Servono circa 44 miliardi di dollari l’anno per sconfiggere la fame». Ma poco prima avevo intervistato a Ouagadougou (capitale del Burkina Faso) l’arcivescovo card. Paul Zoungrana che diceva: «I soldi sono necessari, ma dati ad un popolo che non ha la mentalità e la capacità di produrre con tecniche nuove, non creano sviluppo ma corruzione». Infatti, molti paesi africani hanno più del 50 per cento di analfabeti, spendono il 2 per cento del bilancio nazionale nell’agricoltura e il 20 per cento nelle armi, eccetera. In Africa sono aumentati gli abitanti (oltre un miliardo), ma in proporzione non la produzione agricola. Europa e Stati Uniti producono troppo cibo di base e le leggi limitano la produzione, ma l’Africa nera produce troppo poco cibo. I due motori dello sviluppo sono l’agricoltura e l’educazione.
2) Le responsabilità dell’Occidente cristiano, storiche e attuali, sono certamente tante. Lo sviluppo dell’Europa viene da Gesù Cristo e dal Vangelo che hanno cambiato il cammino dell’uomo, con il precetto dell’amore al prossimo e del perdono e tanti valori nuovi: il monoteismo, la monogamia, tutti gli uomini creati ad immagine di Dio e la natura a servizio dell’uomo, i Dieci Comandamenti e la Beatitudini del Vangelo, la certezza che dopo la morte ci attende il giudizio di Dio e il Paradiso, eccetera. Molti dicono che lo sviluppo viene invece dall’Illuminismo, ma l’ipotesi è ridicola. L’Europa era molto più avanti degli altri continenti già nel Medio Evo e poi nei secoli seguenti: i cristiani hanno colonizzato gli altri continenti e non viceversa. La colonizzazione ha aperto i popoli al mondo moderno, ma era fatta non per sviluppare i popoli, ma per arricchire l’Occidente.
La radice del sottosviluppo è storico-culturale-religiosa, prima che economica e tecnica. Nel Congresso di Berlino (1884-1885), le potenze europee si spartivano il continente nero. I popoli dell’Africa nera (senza lingue scritte), vivevano più o meno in un’epoca preistorica. Il ritardo storico è evidente e non è possibile che popoli interi (non le loro élite) abbiano potuto, in cento anni, cambiare radicalmente le loro culture e religioni e introdursi nel mondo moderno! Ecco la radicale colpa storica dell’Occidente! Luci e ombre che conosciamo. Lo schiavismo, con decine di milioni di africani portati nelle Americhe per lavorare da schiavi; la scarsa istruzione data ai locali: quasi ovunque in Africa le scuole (specialmente superiori) erano quelle dei missionari cattolici e protestanti. Quasi tutti i capi politici dell’Africa nera che hanno ottenuto l’indipendenza venivano dalle scuole missionarie!
Ma anche dopo l’indipendenza negli anni sessanta, ancor oggi, l’Occidente continua a sfruttare quei popoli con un sistema economico ingiusto: prezzi delle materie prime che penalizzano le risorse dei poveri, corruzione delle classi dirigenti africane favorita dall’Occidente; la vendita di armi; il “land grabbing”, acquisto di terreni agricoli africani da parte dei paesi ricchi per produrre cibo che viene esportato; il disboscamento delle foreste africane, la rapina di oro, diamanti, metalli preziosi, eccetera. Perché “rapina”? Perché privano l’Africa di queste ricchezze e poi i dollari, lo sanno tutti, vengono divorati dalla corruzione delle classi dirigenti. All’inizio del 2000, la Nigeria aveva un debito esterno di 92 miliardi di dollari, ma i depositi delle élite nigeriane nelle banche occidentali era di circa 130 miliardi!
L’Occidente materialista in non capisce l’Africa, perché ignora i fattori culturali, educativi, religiosi dei popoli, che danno all’uomo la sua identità, il senso di appartenenza, le motivazioni per vivere e agire. Non mi è possibile entrare nei particolari, ma chi vive e lavora in Africa (come i missionari che danno la vita per i loro popoli) ritengono che le cause storico-culturali-religiose sono fondamentali per spiegare il mancato o il troppo lento sviluppo dell’Africa nera. Ma la culture europea le ignora o le considera ininfluenti. C’è un abisso fra cosa pensiamo noi europei degli africani, delle loro culture e religioni, e le realtà dell’Africa.
3) Quali sono le nostre responsabilità attuali verso i fratelli africani? Cosa fare? Due punti:
A) La ferma convinzione che il maggior dono che possiamo fare all’Africa è l’annunzio di Cristo e del Vangelo. Nella Redemptoris Missio (RM) di Giovanni Paolo II (1990, l’ultima enciclica missionaria) si legge (n. 59): «Lo sviluppo dell’uomo viene da Dio, dal modello di Gesù uomo-Dio e deve portare a Dio. Ecco perché tra annunzio evangelico e promozione dell’uomo c’è una stretta connessione». Alla radice del sottosviluppo ci sono mentalità, culture e religioni fondate su visioni inadeguate di Dio, dell’uomo e della donna, del creato. La santa Madre Teresa di Calcutta diceva: «La più grande disgrazia dell’India è di non conoscere Gesù Cristo».
Nella RM si legge: «Il Vangelo è il primo contributo che la Chiesa può dare allo sviluppo dei popoli… È l’uomo il protagonista dello sviluppo, non il denaro o la tecnica. La Chiesa educa le coscienze rivelando ai popoli quel Dio che non conoscono… il dovere di impegnarsi per lo sviluppo di tutto l’uomo e di tutti gli uomini» (n. 58). Questa la realtà: fra i popoli arretrati i cristiani, a parità di condizioni, si sviluppano prima e meglio di altri. Il cristiano ha questo ideale: non essere egoista ma altruista, imitare Gesù Cristo e i missionari che danno la vita per gli altri. Padre Giuseppe Fumagalli del Pime, dal 1968 nella tribù dei Felupe in Guinea-Bissau, mi diceva: «Sono i cristiani che pensano al bene pubblico e non solo della propria famiglia e tribù: parlano di pace e portano la pace, tengono aperte le strade in modo che la nostra auto-ambulanza possa andare in tutti i villaggi, combattono contro i capi-villaggio e gli anziani corrotti, danno l’esempio di famiglie monogamiche e di figli educati bene, accettano per primi le nuove tecniche dell’agricoltura», eccetera.
Il cristiano deve testimoniare un “modello di sviluppo” alternativo. Cambiare la convinzione che sviluppo è uguale alla continua crescita economica e ricerca di un benessere più opulento, mentre è dare a tutti gli uomini il necessario alla vita. Ecco l’impegno politico del cristiano, convinto che Gesù e il suo Vangelo indicano l’ideale di una umanità nuova secondo le volontà di Dio e che la “Dottrina sociale della Chiesa” traduce al meglio cosa dicono il Vangelo e la Tradizione cristiana riguardo ai problemi dell’uomo. Però non bastano soldi e macchine, leggi e giustizia internazionale, ci vogliono persone, perché lo sviluppo è problema di educazione, di formazione delle mentalità, di evoluzione delle culture, di condivisione.
Il nostro modello attuale è materialista, volto all’avere sempre di più, al migliorare il nostro livello di vita e di consumi. Impossibile, con questo ideale, essere fratelli dei poveri. Un giovane che crede in Cristo deve interrogarsi su cosa può fare nella vita. Se Dio ti chiama a dare tutto te stesso agli altri, specialmente ai più poveri e abbandonati, non dirgli di no: sappi che è bello fare il prete o la suora, perché il Signore Gesù ti chiede sacrifici e rinunzie, ma ti dà il cento per uno di gioia e di realizzazione personale, già in questa vita e poi nella vita eterna in Paradiso.
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