Eutanasia. Così in Belgio si è passati dal diritto al dovere di morire
Dopo oltre 20 anni di eutanasia legale in Belgio, farsi uccidere con l’iniezione letale e la benedizione dello Stato è diventato così normale che anche i due principi cardine sui quali si fonda la legge, autonomia e compassione, stanno per essere abbattuti nell’indifferenza generale. Gli ultimi dati della Commissione federale di valutazione e controllo dell’eutanasia (Fcce), al pari delle più recenti iniziative legislative in Parlamento, confermano il trend inquietante e aumentano il rischio che da diritto la “buona morte” si trasformi in dovere.
Decessi aumentati del 14.000% in 20 anni
I numeri dell’eutanasia in Belgio sono eclatanti: dai 24 decessi del 2002 si è passati ai 3.423 del 2023, più di nove al giorno, un aumento del 15% rispetto al 2022 e di oltre il 14.000% rispetto a 20 anni fa. Dall’analisi dei dati, contenuti nell’ultimo rapporto della Fcce, si evince che lo scenario in realtà è ancora più preoccupante.
Se un decesso con l’eutanasia su tre riguarda persone con meno di 70 anni, continuano a cambiare le patologie per cui la morte viene richiesta. Se dieci anni fa la patologia alla base del 70% dei casi era un cancro, perlopiù allo stadio terminale, nel 2023 la percentuale è scesa al 55,5.
Continuano a crescere, invece, le polipatologie, cioè un insieme di malattie che va dai problemi cardiaci all’artrite, dall’abbassamento della vista a quello dell’udito. Problematiche cioè non letali e legate alla vecchiaia. L’anno scorso le polipatologie hanno motivato il 23,2% delle richieste di eutanasia, e in quasi la metà dei casi (47%) la morte non era prevista nel breve periodo. Dieci anni fa costituivano appena il 9%.
Da case di cura a case di morte
La traiettoria è chiarissima: in Belgio l’eutanasia non serve più – o se si preferisce, serve sempre di meno – a porre fine a sofferenze insopportabili provocate da malattie letali, bensì a sbarazzarsi prematuramente delle persone anziane e disabili, a prescindere dalle prospettive di vita.
È indicativo, da questo punto di vista, che siano in continuo aumento le iniezioni letali praticate all’interno delle case di riposo (16,4% nel 2022, 17,4% nel 2023), che rischiano di trasformarsi in vere e proprie case della morte.
Se nel 2022, infine, sono stati uccisi 68 malati psichiatrici o affetti da diversi tipi di demenza o disturbi cognitivi, nel 2023 i casi sono aumentati a 89, una crescita del 30%.
Addio al caposaldo della compassione
Se uccidendo anche persone sane o affette da patologie minori si manda in soffitta il criterio della compassione, uno dei due capisaldi di qualunque legge sull’eutanasia, anche il principio dell’autonomia è clamorosamente in pericolo in Belgio.
Dopo i casi di Tine Nys e Godelieva de Troyer, infatti, il 20 ottobre 2022 la Corte costituzionale del Belgio ha dichiarato la legge sull’eutanasia incostituzionale nella misura in cui non prevede un sistema di sanzioni graduale per i medici che la violano. Per questo il Parlamento ha iniziato a modificare la legge, ma il testo approvato in prima lettura dalla commissione Giustizia il 14 febbraio fa già discutere.
Nuove pene per chi viola la legge sull’eutanasia
Gli emendamenti proposti dalla maggioranza disegnano un sistema diviso in tre sezioni che prevede pene diverse a seconda delle condizioni della legge che vengono violate. Se un medico non rispetta le condizioni “di base” rischia dai 10 ai 15 anni di carcere; se non rispetta le condizioni “procedurali”, può essere punito con un periodo di reclusione dagli otto mesi ai tre anni e con un’ammenda dai 26 ai 1.000 euro; se non rispetta infine le condizioni “formali” non è prevista alcuna pena, neanche un rimprovero.
Se può apparire strano che un Parlamento non preveda sanzioni penale per la violazione di una legge che disciplina la morte delle persone, la situazione diventa addirittura inquietante quando si va ad analizzare quali siano le condizioni “formali” dell’eutanasia.
Le condizioni “procedurali” e “di base”
Le condizioni “di base”, ritenute le più importanti, che il medico deve verificare sono quelle che riguardano lo stato del paziente: deve essere in grado di intendere e di volere, essere cosciente nel momento in cui presenta la domanda ed essere affetto da una patologia incurabile che provoca sofferenze fisiche o psichiche insopportabili.
La condizioni “procedurali” riguardano il consulto di un secondo medico, indipendente dal primo e competente, o di un terzo se la morte del paziente non è prevista a breve termine; il consulto di un familiare e di un medico indipendente nel caso in cui l’eutanasia sia praticata sulla base di una dichiarazione anticipata di trattamento; il consulto di uno psichiatra infantile o di uno psicologo, insieme al rappresentante legale del minore, nel caso in cui l’eutanasia sia praticata su un bambino.
L’autodeterminazione non conta più niente
Le condizioni “formali”, la cui violazione non comporta alcuna sanzione penale, sono in realtà tutt’altro che secondarie. Si parla infatti della verifica da parte del medico che la domanda di eutanasia sia presentata dal paziente «in maniera volontaria» dopo attenta riflessione, sulla base di una volontà espressa in modo reiterato nel tempo e «che non sia il risultato di alcuna pressione esterna».
Sarà trascurabile anche «informare il paziente sul suo stato di salute e sulle sue speranze di vita», così come informarlo «delle possibilità terapeutiche ancora disponibili» e della possibilità di accedere alle «cure palliative». Non sarà più necessario nemmeno «assicurarsi della persistenza della sofferenza fisica o psichica» e parlare ripetutamente con il paziente «a distanza di tempo ragionevole». Neanche «parlare con i cari che il paziente indica» sarà più importante.
I medici potranno inoltre sorvolare sull’obbligo di far passare «almeno un mese tra la richiesta di eutanasia» e l’iniezione letale; non dovranno più preoccuparsi, in caso di dichiarazione anticipata di trattamento, «di discuterne con la persona di fiducia indicata dal paziente». Infine, i dottori che praticano una eutanasia non riceveranno alcuna sanzione penale se non invieranno tutta la documentazione alla Commissione federale di controllo e valutazione «entro quattro giorni».
Niente cure palliative, c’è l’eutanasia
In sintesi, non è più importante assicurarsi che la richiesta di eutanasia nasca davvero dalla volontà del paziente e non sia invece frutto di pressioni esterne o della depressione del momento. Non è più importante offrire al malato le costose cure palliative o spiegargli se e come potrebbe continuare a vivere.
Se gli emendamenti venissero approvati in via definitiva – e lo saranno probabilmente visto che la maggioranza in Belgio è d’accordo – cadrebbe il più importante pilastro della legge sull’eutanasia: quello dell’autonomia e dell’autodeterminazione.
Dal diritto al dovere di morire
Dopo 20 anni di eutanasia legale, a quanto pare, al Belgio non interessa più sapere né se una persona vuole davvero morire né perché desidera la morte. La cosa che conta davvero per Bruxelles, verrebbe da pensare, è che il richiedente sia ucciso il prima possibile, alla luce del sole o in segreto. Un medico, infatti, potrebbe anche attendere anni prima di segnalare l’eutanasia alla commissione incaricata di valutarla: non riceverebbe alcuna sanzione penale.
Impunità, omertà, assenza di verifiche e garanzie, disprezzo della volontà del paziente e totale abbandono terapeutico: così l’eutanasia in Belgio passa in sordina da diritto a dovere di morire.
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