
Escludere i tennisti russi da Wimbledon è sbagliato e controproducente

Se Wimbledon e il governo inglese volevano dare corda alla narrativa di Putin secondo cui l’Occidente odia più i russi di quanto sostenga gli ucraini e che il cosiddetto mondo liberale è in fondo ipocrita, hanno molto probabilmente raggiunto il loro obiettivo.
Un’esclusione figlia del clima russofobico
L’esclusione di tennisti e tenniste russi e bielorussi dal torneo di tennis più famoso e importante del mondo è una decisione senza alcuna conseguenza concreta sulla guerra in corso in Ucraina, figlia della russofobia che in tutto il mondo sta censurando la cultura e la storia del paese che fu di Dostoevskij, e che rischia di trasformarsi in un precedente pericoloso. La decisione di Wimbledon (contestata da Atp, Wta e, tra gli altri, dal numero 1 al mondo Novak Djokovic) arriva dopo che Cio, Fifa e Uefa tra gli altri hanno deciso di escludere Nazionali e squadre russe e bielorusse da Olimpiadi e tornei internazionali.
Sebbene discutibile, la decisione di escludere una rappresentativa le cui vittorie darebbero lustro al governo di Mosca è comprensibile: lo sport non è politica ma è usato dalla politica. Il boicottaggio dei singoli atleti, e dei tennisti in particolare, è invece ingiustificabile: da sempre i tennisti giocano per se stessi, sono tifati da appassionati di tutto il mondo, non scaldano i motori della propaganda dei governi dei propri paesi. Oltretutto, da più di un mese tennisti e tenniste russi e bielorussi giocano senza bandiera, e diversi di loro si sono pubblicamente espressi contro la guerra di Putin all’Ucraina.
Via i calciatori russi dalla Premier League?
Tutto inutile: dopo avere accarezzato l’idea di accettare solo gli atleti che avessero ufficialmente condannato la Russia, il governo inglese ha optato per un’azione più simile ai ban dei social network contro gli account non graditi che allo spirito che dovrebbe animare lo sport. Il fatto è che, proprio come succede sui social network, questa decisione dell’All England Club di Londra farà molto probabilmente proseliti. Aspettiamoci altre esclusioni di russi in quanto russi da altri tornei di tennis, ora che il più importante di tutti ha preso questa decisione, e – perché no? – anche da altri sport.
Se per colpire Putin è giusto colpire un singolo atleta colpevole di essere russo, perché allora permettere a un calciatore russo di giocare in una squadra di Premier League, o di Serie A? È utile alle sorti della guerra confondere popolo e governo russo, punire uno sportivo per i crimini del proprio governo? Il clima di maccartismo soft che attraversa da un mese e mezzo le istituzioni occidentali impedisce di condannare l’aggressione brutale di Mosca nei confronti di Kiev e nel contempo “salvare” artisti, direttori d’orchestra e sportivi russi, con il paradossale effetto di risultare controproducente per un mondo che è giustamente orgoglioso dei propri valori liberali, oltre a dare una sponda alla retorica putiniana sull’Occidente che odia i russi.
A Wimbledon un precedente pericoloso
Quello di Wimbledon rischia poi di essere un precedente pericoloso: con quali ragioni si potranno criticare altri paesi, magari in Medio Oriente, che nel prossimo futuro decidessero di escludere atleti di determinate nazioni da loro ritenute criminali? Infine, è un’occasione persa. Due mesi fa a Marsiglia il tennista russo Andrey Rublëv ha giocato e vinto il torneo di doppio in coppia con l’ucraino Denys Molchanov.
Pochi sport come il tennis hanno la capacità di superare le divisioni nazionali e nazionaliste, in nessuno sport come nel tennis la nazionalità di chi vince è così in secondo piano. Pensare che una eventuale vittoria a Londra di Medvedev o della Azarenka «sia utilizzata per promuovere il regime russo» rispetto alla guerra, come ha detto il direttore generale dell’All England Club Ian Hewitt, è una sonora sciocchezza. Che farà danni.
Articoli correlati
1 commento
I commenti sono chiusi.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!
e pensare che noi andammo a giocare la finale di Coppa Davis a Santiago del Cile nel 1976…., nello stadio dove 3 anni prima furono fatte fuori centinaia di persone…. Circostanza, fra l’altro, che ci ricorda l’unico ‘regime change’ riuscito degli USA negli ultimi 50 anni, quello che cancellò una democrazia in favore di una fra le più sanguinarie dittature del ‘900…