Emergenza rifiuti a Roma. «Uno scandalo “risolverla” con nuove assunzioni»

Di Matteo Rigamonti
14 Luglio 2022
Mancanza di termovalorizzatori, assenteismo all’Ama, scarsa raccolta differenziata. Le tre cause del caos monnezza nella capitale spiegate da Andrea Giuricin (Ibl)
Una strada di Roma invasa dai rifiuti
Una strada di Roma invasa dai rifiuti, 11 luglio 2022 (foto Ansa)

Problemi endemici e nuove sfide rendono quanto mai attuale l’urgenza di trovare risposte efficaci all’annosa e purtroppo ricorrente emergenza rifiuti a Roma. A parlarne con Tempi, poco dopo l’incendio all’ex discarica di Malagrotta, è il ricercatore dell’Istituto Bruno Leoni, Andrea Giuricin, che spiega come siano soprattutto «due i fattori storici» a caratterizzare la perdurante difficoltà gestionale che l’amministrazione comunale capitolina si trova a dover affrontare quando si tratta dello smaltimento della monnezza che deturpa le strade dell’Urbe.

Inefficienza a caro prezzo

Il primo fattore è rappresentato dalla perdurante «mancanza di termovalorizzatori nel Lazio, non solo a Roma», spiega Giuricin, e il secondo dalla «gestione dell’Ama da parte del Comune». Nella municipalizzata che si occupa di rifiuti, infatti, «il tasso di assenteismo sul lavoro è ormai vicino al 18 per cento, un fatto che da sé dice tutto», secondo lo studioso, un «valore inaccettabile, con 1.200 persone che non si presentano ogni giorno al lavoro, per un motivo più o meno valido».

A pagare il conto di queste «inefficienze», prosegue il ricercatore, «sono sempre i cittadini romani, che con i rifiuti per le strade devono conviverci ogni giorno e che si trovano poi a doverle pagare a caro prezzo nella Tari», la tassa comunale sulla raccolta. Un conto non da poco, se si considera che, come ci spiega Giuricin, «a parità di tonnellate, la raccolta dei rifiuti a Roma costa il 70 per cento in più che in Friuli Venezia Giulia, una regione che, da questo punto di vista, è un benchmark a livello italiano», senza voler andare fare il paragone con le eccellenze al di fuori del paese.

Le discariche al limite e poi l’incendio

Ma a questi due fattori storici se ne aggiunge un terzo. Si tratta, osserva il fellow del Bruno Leoni, del «basso livello di raccolta differenziata nella capitale, che è intorno al 43 per cento, molto lontano, per esempio, dal valore riscontrato a Brescia, dove invece siamo al 77 per cento e c’è anche un termovalorizzatore, a conferma che non è vero che dove ci sono i termovalorizzatori non si faccia raccolta differenziata», come vorrebbe al contrario una certa retorica ambientalista.

Certo, il recente incendio al cosiddetto Tmb, il centro di gestione dei rifiuti indifferenziati con trattamento meccanico-biologico, «ha fatto il resto», constata Giuricin, ma solo perché a Roma e nel Lazio «le discariche sono già al limite come capienza». Ciò non toglie che, «come ogni estate, le difficoltà nella gestione ritornino ciclicamente e siano sempre maggiori: dopotutto, con quaranta gradi di temperatura, non si può pretendere di lasciare a lungo i rifiuti per strada senza che causino qualche problema in più che d’inverno». Problemi che, infatti, sono puntualmente riemersi.

La «scandalosa» promessa del sindaco Gualtieri

Quale strada percorrere allora? Secondo Giuricin bisognerebbe «aumentare sempre di più quella parte di raccolta dei rifiuti differenziati e, al tempo stesso, puntare sui termovalorizzatori affinché i rifiuti diventino energia, come già succede in tutta Europa, da Brescia a Copenaghen». La risposta all’assenteismo invece (il dato citato è riferito al primo trimestre, ma al Bruno Leoni non si aspettano che nel secondo semestre ci si discosti di molto) non può essere «la promessa di assumere 600 nuove persone mentre il doppio restano a casa dal lavoro: è qualcosa che, perdonatemi il termine, mi fa scandalo». Semmai «ci vorrebbe un processo di gara pubblica per affidare la gestione dei rifiuti ad aziende efficienti, altro che assegnare un servizio così importante senza alcuna gara».

Spazzatura vuol dire energia

A tutto questo si aggiunge, infine, un’ulteriore considerazione che, in tempi di emergenza energetica, non può non essere presa in considerazione: «Con i termovalorizzatori si produce energia per le case e le famiglie, proprio come accade a Brescia», conclude Giuricin. «Certo, con l’energia prodotta in questo modo non si risolve la dipendenza dell’Italia dal gas russo, ma è comunque qualcosa». A Roma, invece, «in una situazione di emergenza, si deve anche organizzare l’export dei rifiuti, che, per restare in tema, è un costo ulteriore in termini energetici per via del trasporto. Oggi, da questo punto di vista, non si può fare molto, ma era qualcosa a cui avremmo dovuto pensare già almeno cinque anni fa».

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