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Amnistia, Di Rosa (Csm): «Come si fa a rimandare ancora? Chi chiede ora riforme strutturali ignora anni di fallimenti»

Intervista a Giovanna Di Rosa che chiede clemenza subito: emergenza carceri colpa della politica inconcludente ma anche «responsabilità diretta della magistratura»

Francesco Amicone
15/10/2013 - 3:30
Interni
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«Lo stato di emergenza delle carceri è stato dichiarato con legge dello Stato nel 2010. Si vuole ancora attendere per dargli una risposta concreta? Bisogna intervenire subito». Reduce da un intervento in plenum del Csm, dove ha sostenuto le ragioni del messaggio alle Camere del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, Giovanna Di Rosa, membro dell’organo di autogoverno dei magistrati, spiega a tempi.it perché amnistia e indulto sono necessari a risolvere un’emergenza che, a tre anni dal suo riconoscimento ufficiale da parte dello Stato italiano, rimane senza soluzione.

Che cosa dire a chi è contrario a qualsiasi forma di clemenza nei confronti dei detenuti?
Tanti cittadini sono contrari all’amnistia e all’indulto. Tanti politici. Sono contrari perché, dicono, “ha solo effetti immediati”, “mette in libertà i criminali”. Ma la situazione delle carceri, come ha scritto il presidente della Repubblica nel suo messaggio alle Camere, è drammatica e disumana. Lo Stato propone un modello di legalità, e non può ignorare, come riscontrano tra l’altro il capo dello Stato e la Corte europea dei diritti umani, che la legalità nelle carceri italiane è venuta a mancare.

Si parla di soluzioni alternative all’amnistia e all’indulto per risolvere il sovraffollamento. Aprire nuove carceri e applicare misure alternative alla detenzione potrebbero servire a uscire dall’emergenza?
Bisogna rendersi conto della realtà: gli interventi strutturali e procedurali sono certo necessari, ma perché dopo tanti anni se ne parla ancora senza che ne siano stati fatti, di significativi e radicali? La situazione, inoltre, è diventata ancora più complicata in questi tempi, a causa della spending review e della crisi economica. Se anche vi fossero nuove carceri, non ci sarebbero abbastanza funzionari di Polizia penitenziaria per gestirle. E il personale ha turni da coprire, costi. Lo Stato può coprire le spese? Per quanto riguarda le sanzioni alternative alla detenzione se ne parla da anni, da decenni, ma si è approdato a poco. Difficile credere che si possano modificare le norme in breve tempo.

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Le riforme strutturali non sono lo strumento adatto per risolvere l’emergenza nell’immediato, come ci è stato chiesto in Europa?
Demandare una soluzione impellente al sovraffollamento carcerario a un intervento strutturale che richiede tempi lunghi di lavoro, significa ignorare la storia di tutte le mancate riforme sul carcere e sulla pena. Significa non considerare che quel poco che è stato fatto fu frutto di un dibattito politico lacerante; che da anni si parla di emergenza, e ormai tutte le proposte strutturali per risolverla sono diventate vecchie senza che fossero attuate. Come si può pensare che si possa ancora aspettare? Ora occorrono amnistia e indulto. Nel suo dettagliato messaggio alle Camere, il presidente della Repubblica lo ha spiegato: ha posto l’attenzione sulla situazione drammatica delle carceri e sulla necessità di provvedimenti di emergenza. Ha richiamato tutti alle proprie responsabilità.

Cosa dovrebbero fare i magistrati?
Il carcere è un luogo di gestione della pena. E nel sovraffollamento del carcere c’è un carico di responsabilità diretta della magistratura e del suo organo di autogoverno che è il Csm. In questa fase, i magistrati non possono che applicare le leggi che ci sono (quelle varate in questi anni sono state progressivamente carcerizzanti) ma certamente possono fare un ricorso minimo, con prudenza, alla custodia cautelare e possono ragionare sulle condizioni di salute dei rei, con un’interpretazione più orientata alle pene alternative. Trovo significativo il fatto che i magistrati che hanno investito la Corte costituzionale abbiano sottolineato che la pena, in certi istituti, si svolge in condizione di disumanità e non può essere applicato il principio costituzionale della rieducazione. Proprio la settimana scorsa la Consulta ha sottolineato la ragionevolezza delle argomentazioni e ha dichiarato che è la politica a doversene occupare, attraverso provvedimenti adatti. L’amnistia e l’indulto sono ovviamente contemplati tra questi.

Non tutta la magistratura concorda sulla necessità di provvedimenti di clemenza.
Non c’è unanimità. La magistratura chiede nella sua rappresentanza associativa l’intervento strutturale sulla situazione carceraria. Io non nego che sia indispensabile. Ma non si può porre come condizione. Sarebbe come guardare il dito e non la luna. Anche il presidente della Repubblica ha segnalato i molti interventi di tipo strutturale e normativo che sono sicuramente da affrontare, ma ha anche sottolineato che occorre prendere in considerazione gli atti di clemenza. Io non posso che essere d’accordo con il capo dello Stato, come magistrato, come cittadina e come persona che si occupa di questi problemi.

Occorrerebbe scarcerare ventimila detenuti per far rientrare i penitenziari italiani nella soglia della legalità. Una volta fuori, che fine faranno le migliaia di ex carcerati, nel caso di un’amnistia, di un indulto? Molti di loro non hanno domicilio.
Anche questo è un paradosso della situazione carceraria italiana. Se sei una persona povera, se compi reati per necessità, e non hai nemmeno una casa, un lavoro, subisci una punizione maggiore. Nel caso di un’amnistia e di un indulto, saranno necessari, certamente, degli investimenti. Occorrerà creare una rete di interventi a sostegno a livello nazionale, alla stregua di quello che facemmo a Milano quando ci fu l’indulto del 2006. Quando ero magistrato di sorveglianza a Milano, con il provveditorato si riunirono al tavolo gli enti locali (c’ero anch’io in veste di magistrato) e si decise di pagare il trasporto e accompagnare a casa chi doveva tornare in famiglia, mentre a quelli che non avevano niente furono trovati posti letto in tutta la città. Chiaramente lo Stato deve pensare a un intervento più strutturato, su tutto il territorio. Però l’idea dovrebbe essere questa.

Che cosa si sente di dire alla politica, perché ascolti le parole di Napolitano?
Quando il capo dello Stato visitò San Vittore a Milano descrisse la situazione come talmente spaventosa da colpire tutti e cinque i sensi. Ed è realmente così: in molte carceri italiane lo stato di degrado è assoluto, i detenuti hanno pochi metri a disposizione, non si possono alzare dal letto tutti gli occupanti della cella contemporaneamente, perché non c’è spazio sufficiente per stare in piedi. Non possono aprire le finestrelle perché sono chiuse dai letti. Le celle sono gelide di inverno e roventi d’estate. In questa visione spaventosa c’è l’emblema della discrepanza tra le riforme che occorrerebbe fare e la drammaticità della situazione. Qualunque politico abbia visto le carceri italiane ne ha poi denunciato l’orrore. Vogliamo continuare a ripeterlo senza fare nulla? Chi conosce quello che c’è dentro le carceri italiane, come fa a essere a posto con la propria coscienza se non fa di tutto per intervenire subito?

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