Dove vuole arrivare la combriccola di Cupertino?

Di Giuliano Ferrara
07 Marzo 2017
Il futuro algoritmico progredisce impensabile oltre ogni limite, ma non una metafisica, una filosofia, una morale. Rifare la faccia del mondo senza sapere perché
epa05606047 Tim Cook, CEO of Apple Inc., speaks about Apple TV during an event at the Apple Headquarters in Cupertino, California, USA, 27 October 2016. EPA/TONY AVELAR

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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – L’erede di Steve Jobs, Tim Cook, Mark Zuckerberg, Jeff Bezos, Sergey Brin, Larry Page e molti altri inventori e amministratori del nuovo mondo si muovono tra Cartesio e la stangata del pokerista computerizzato al quale nessuna faccia da poker è capace di resistere (lo racconta con brio Massimo Gaggi nel Corriere). Poi c’è tutto quello che sapete, che già esperite smanettando e guardando e interagendo, un oceano sulla cui superficie fluttua una smisurata serie di occasioni, di possibilità, di potenze tecniche praticabili tra virtuale e realtà, tra estensione e mente o spirito, da considerare interconnesse e in certi casi intercambiabili. Non c’è un solo settore dell’attività umana che non sia affetto da questa rivoluzione del digitale e dell’automazione. La nozione di essere è radicalmente riformulata a favore di nuove essenze metafisiche così diverse dalla antica speculazione e così uguali. E il futuro algoritmico progredisce impensabile oltre ogni limite della fantasia. Ma non ha una chiara idea di Dio come fondamento metafisico cartesiano, e dunque ha una fisica, una logica, una struttura matematica, ma non una metafisica, una filosofia, una morale. Sembra complicato, ma è semplice: la combriccola di Cupertino rifà la faccia del mondo ma non sa perché.

Per la stangata a poker, giochiamo, se troviamo il coraggio. Ma per il resto bisogna entrare con Cartesio nella sua stufa, il 10 novembre del 1619, dove un’anima gettò le basi di un metodo universale di pensiero e azione altrettanto nuovo di quello inventato nel famoso garage di Cupertino, dalle parti di San Francisco. Nella stufa, per proteggersi dal freddo invernale, Cartesio ebbe l’idea di una «scienza assolutamente generale» (come dice Alexandre Koyré, celebre storico e filosofo russo-francese), «questa scienza meravigliosa», come diceva Cartesio, che generò in lui entusiasmo infinito e gli diede il metodo del dubbio volontario, il dubbio volontario che la ragione applica a sé stessa e dunque il contrario del dubbio scettico relativista che un gigante come Montaigne fissò come limite insuperabile dell’umano e del sapere.

[pubblicita_articolo] La realtà non si esperisce a partire dalle cose, ma dallo spirito che intuisce intellettualmente i rapporti proporzionali e ordinati in serie tra numeri e linee, tra movimento e spazio, le idee chiare e distinte che la ragione ha in sé e possono svilupparsi solo a condizione di tornare bambini e fare tabula rasa di tutto ciò che il sapere tradizionale ci ha trasmesso di incerto, questionabile, dubitabile. Mica male, no?

Tabula rasa del senso comune­
Jobs e gli altri devono molto a questo incredibile mago del pensiero che sta torreggiante tra Platone e Einstein. La loro riproduzione e allargamento del finito materiale in infinito immateriale, produzione di cose a mezzo di idee innate matematizzabili, ha profonde radici nella storia della speculazione filosofica e della costruzione scientifica della modernità, e fa anch’essa tabula rasa del già noto e dell’opaco del senso comune, delle idee fallibili e da sottoporre a dubbio che costituiscono l’ossatura della dottrina dell’umano, del fisico e dell’essere prima dell’algoritmo che accompagna il pensiero, sostituisce le sue funzioni, agisce come un corpo automatico e senz’altra anima se non la corrispondenza matematica. Cartesio poteva intuire le conseguenze del suo metodo e della sua rivoluzione nella fisica, nell’algebra, nella metafisica e nella filosofia, oltre che nella religione, ma non avrebbe mai potuto dimostrarle neanche a sé stesso. Jobs e gli altri non hanno nemmeno cominciato a provarsi in questa impresa.

Che vogliono fare, che cosa intende essere la loro capacità d’invenzione, di sperimentazione che non parte dai sensi e dall’esperienza ma fonda invece l’esperienza? Non è cosa da poco poter sostituire il lavoro, il timoniere o l’equipaggio di una nave e il conducente di una vettura, il medico, l’insegnante, il traduttore, non è poco affidare alla tecnologia e alla sua intuizione intellettuale artificiale quello che è sempre stato appannaggio della coscienza razionale e della parola scritta.

Non social ma techno
Li chiamiamo social media, i risultati più in evidenza della rivoluzione algebrica e delle sue sequenze imbattibili nella comunicazione e in ogni altro campo, ma sono techno media che sequestrano quel che rimane della nozione di sociale a vantaggio di una logica diversa. Noi ci esprimiamo attraverso di loro, loro si esprimono attraverso di noi, e sono alla fine i padroni del gioco nonostante ogni limite possibile frapposto alla meccanizzazione della mente collettiva dalla riserva umanista, individualista e liberale che ancora permane in minoranze sempre meno folte e consapevoli.

C’è un divario tra il potere di Cupertino e la sua capacità di spiegare le cose che realizza, un divario mostruoso che non si colma con modernismi semiologici e altri giochetti. È urgente che Sergey Brin, nel suo attico maestoso di Central Park West, si metta a studiare Platone, Cartesio e Einstein, e magari anche Ratzinger, per dare qualche risposta sulla direzione del suo movimento nel tempo, cosa importante quanto il tempo stesso.

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Foto Ansa

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