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Ecco perché per don Giussani «comunione è liberazione». Ouellet ripercorre il carisma del movimento

Dal "Senso religioso" alla "fraternità sacramentale", così il fondatore di Cl sfidava tutti a scoprire che «la Chiesa è l’umanità vissuta come umanità di Cristo». L'intervento del cardinale Ouellet alla presentazione della biografia

Marc Ouellet
10/10/2013 - 3:40
Chiesa
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Pubblichiamo ampi stralci dell’intervento del prefetto della Congregazione per i Vescovi, il cardinale Marc Ouellet, alla presentazione della Vita di don Giussani, la biografia del fondatore di Comunione e Liberazione scritta per Rizzoli da Alberto Savorana.

Tratto dall’Osservatore Romano – Il giovane prete che ha chiesto di andare a insegnare al liceo Berchet si è distinto sul campo per la condivisione della sua esperienza di fede e la comunicazione delle certezze che aveva acquisite nel seminario di Venegono. Don Giussani scopriva con costernazione il crescente divario tra la pietà formale dei giovani e la loro cultura intellettuale sempre più estranea al mistero della fede. Per superare questo divorzio tra la fede e la vita, egli ha creato un metodo originale e provocatorio che costringeva i giovani a prender posizione a seconda delle personali convinzioni. Attingendo largamente alle sorgenti dell’arte, delle scienze e della musica, egli si è appoggiato soprattutto su una filosofia realista che è colta dallo stupore di fronte al mistero dell’essere. Ma la sua punta di diamante era sempre il Mistero del Verbo incarnato che presentava ai giovani come criterio ultimo di giudizio del valore d’ogni cosa.

Requisito primo della sua pedagogia è stato quello di appoggiarsi «non su una sintesi di idee ma su delle certezze di vita». Don Giussani aveva avuto la fortuna di avvicinare maestri che sin dall’adolescenza l’avevano iniziato all’esperienza delle verità centrali del cristianesimo. Per l’intera sua vita ha conservato una riconoscenza commossa nei confronti dei Colombo, i Corti, i Figini che avevano radicato nel suo spirito la stima della ragione e le certezze della fede. Commentando in seguito il proprio insegnamento al liceo Berchet, Giussani afferma: «Le cose che dicevo loro nascevano non da una analisi del mondo studentesco, ma da quello che mi dicevano mia madre e il seminario. Si trattava, in sintesi, di parlare ad altri con parole dettate sì dalla Tradizione, ma con visibile consapevolezza, fin nelle implicazioni metodologiche».

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Un altro aspetto significativo del suo carisma è l’approccio razionale del cristianesimo. I giovani sono segnati dalla cultura scientifica e devono di conseguenza essere condotti in modo razionale alle soglie del mistero. Il libro di Giussani su Il senso religioso stabilisce i princìpi e le tappe del suo metodo. L’autore eccelle nell’analisi religiosa dell’esperienza umana. La sua «passione del ragionevole» lo sollecita a sviluppare una metodologia realista e critica che pone al centro la domanda su Dio. Al termine della sua riflessione, pone l’ipotesi della Rivelazione come una «possibilità», o anche persino un’«attesa» legittima e ragionevole del cuore umano assetato di senso e d’infinito.

Questo primo volume del suo percorso di formazione resterà un classico dei preamboli della fede, un itinerario confermato dall’esperienza che prepara all’accoglienza della Rivelazione. Questo libro è stato oggetto di commenti fortemente lusinghieri da parte di personalità tanto diverse come l’arcivescovo di Buenos Aires Jorge Mario Bergoglio (qui la sua presentazione nel 1999, ndr), il rabbino David Rosen, lo scrittore Giovanni Testori e il monaco buddista Takagi Shingen.

Il discorso di Giussani su Cristo, centro della Rivelazione, fa eco ai suoi maestri di Venegono, ma anche alle sue approfondite letture di diversi autori, tra cui ortodossi e protestanti: Vladimir Solov’ëv, Karl Barth, John Henry Newman, Reinhold Niebuhr, senza dimenticare ovviamente i suoi amici Hans Urs von Balthasar e Joseph Ratzinger, che gli attribuiscono un’influsso sulla scelta del titolo della rivista Communio. La sua visione è radicalmente cristocentrica, ed essa comporta come corollario una concezione unitaria del destino dell’uomo che il concilio Vaticano II riprenderà con l’affermazione che la vocazione dell’uomo è unica e divina e che non trova piena luce che nel mistero del Verbo incarnato.

«Credo in quello che dico». Vita di don Giussani
Questa profonda corrispondenza tra l’antropologia e la cristologia sarà ulteriormente confermata dall’enciclica Redemptor hominis dopo l’ascesa di Giovanni Paolo II alla cattedra di Pietro. Questi avvenimenti avranno su Giussani e la sua opera un impatto profondo e liberatorio precisamente perché egli vi ritroverà la sua comprensione della persona umana nel Cristo. Ripeteva volentieri che «al di fuori dell’avvenimento cristiano non si può capire che cos’è l’io».

La sua prospettiva antropologica supera il dualismo moderno tra la natura e il soprannaturale che ha devitalizzato il cristianesimo. Giussani esprime il rapporto dell’uomo alla grazia in termini di vita in cui l’incontro delle persone e la loro comunione sono inseparabili dalla loro relazione con Dio. Ne risulta una nuova fenomenologia della grazia, che la descrive come un «incontro» con il Cristo risorto la cui «presenza» avvolge e sollecita la vita umana in tutte le sue dimensioni. Di qui la descrizione del cristianesimo come un fatto, un evento, un’amicizia, una compagnia, una comunione con Cristo che realizza l’identità profonda delle persone nell’inserimento nella comunione ecclesiale.

Giussani non solo rinnova il vocabolario a partire dall’esperienza; egli insegna a vedere le realtà della fede in un modo che consente di provare la verità di quanto si crede e di giudicare ogni cosa in questa luce. Una simile esperienza è liberatoria perché rafforza la coscienza di appartenere al mistero di Cristo e di parteciparvi attivamente vivendo il proprio destino di comunione: «La storia per noi è la continuità della risurrezione di Cristo — scrive don Giussani —. Ogni momento della storia oramai per noi è la modalità con cui il mistero della risurrezione si compie».

Questa esperienza del Risorto nella storia conduce alla formula paolina «Cristo “tutto in tutti”» (Colossesi, 3, 11) che porta al suo vertice l’identificazione di Cristo e della Chiesa. Ecco un’altra chiave della visione di Giussani. Più egli medita il mistero di Cristo e lo fa scoprire, più sottolinea il mistero della Chiesa come l’incarnazione continuata, l’incarnazione totale si potrebbe dire, con l’avvertenza di mantenere la distinzione tra il Verbo incarnato e il suo corpo ecclesiale, costituito e animato dallo Spirito.

Al culmine della crisi post-conciliare degli anni Settanta, alcuni giovani propongono a Giussani di identificare il loro movimento con il nome di «Comunione e liberazione». Il maestro accetta la proposta dal momento che ben traduce l’esperienza dell’appartenenza totale a Cristo e alla Chiesa. «Perché comunione è liberazione», dirà Giussani, e cioè: la comunione con Cristo nella Chiesa è liberazione dai limiti dell’«io» nel «noi», a immagine della Trinità. Il cardinale Joseph Ratzinger commenterà più avanti questo nome alla luce della tradizione ambrosiana: «La libertà, per essere vera, e quindi per essere anche efficiente, ha bisogno della comunione, e non di qualunque comunione, ma ultimamente della comunione con la verità stessa, con l’amore stesso, con Cristo, col Dio trinitario. Così si costruisce comunità che crea libertà e dona gioia». Giussani ne rende testimonianza in questi termini: «Domina in noi la gratitudine per la scoperta che la Chiesa è vita che incontra la nostra vita: non è un discorso su di essa. La Chiesa è l’umanità vissuta come umanità di Cristo e questo segna per ciascuno di noi il valore del concetto di fraternità sacramentale».

Questo concetto di fraternità sacramentale applicato al Movimento corrisponde all’ecclesiologia di comunione della costituzione dogmatica Lumen gentium che estende il concetto di sacramento alla Chiesa nel suo insieme come segno efficace del Cristo risorto. Le vicissitudini politiche ed ecclesiali dell’Italia nel nostro tempo hanno condizionato l’impegno del Movimento al rischio che venga a volte dimenticato il mistero di comunione di cui invece egli stesso intende essere espressione sacramentale nel senso più pacifico e costruttivo per la Chiesa e la società. L’evoluzione del movimento nel tempo, oltre la decade degli anni Settanta, ha ristabilito l’equilibrio.

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