Dal Cairo: «Le irregolarità dei partiti e le ragioni di chi boicotta il voto»

Di Leone Grotti
30 Novembre 2011
Intervista al videoreporter per Reuters e Associated Press Simon Hanna: «I Fratelli Musulmani fanno campagna elettorale fuori dai seggi insieme ai salafiti e a tanti altri, anche se è vietato. In piazza Tahrir chi boicotta il voto lo fa perché non vuole legittimare l'esercito, che potrebbe sfruttare a proprio favore la buona riuscita delle elezioni»

«L’affluenza degli egiziani ai seggi elettorali sembra davvero alta, ho visto diverse irregolarità ma tutto sommato mi sembra che il voto funzioni». Parla così a Tempi.it Simon Hanna, giornalista freelance anglo-egiziano, che ha realizzato filmati e reportage per Reuters e Associated Press e che sta seguendo dal Cairo le prime elezioni per la nomina del Parlamento dalla caduta del regime di Hosni Mubarak.

Che tipo di irregolarità sono state commesse durante questi primi due giorni di elezioni.
«Ho visto molte schede elettorali prive del bollo che le convalida e ho filmato diverse persone che al di fuori dei seggi elettorali fanno propaganda nonostante il silenzio elettorale. Ho anche sentito che molti seggi sono stati aperti in ritardo».

Diversi partiti hanno accusato Giustizia e libertà, espressione dei Fratelli Musulmani, di avere commesso queste irregolarità.
«Ho visto e filmato i Fratelli Musulmani distribuire volantini e fare propaganda all’entrata di ogni seggio dove mi sono recato. Però non ho visto solo loro: c’erano anche molti salafiti del Partito della Luce e alcuni del partito liberale hezb el masryeen el a7rar. Mi sembra che quasi tutti si siano comportati in questo modo. Anche se ho sentito di compravendite di voti, non ho visto niente del genere».

Gli egiziani credono in queste elezioni?
«La maggioranza delle persone è contenta di potere esprimere il voto e di partecipare ad elezioni che, comunque, sono di gran lunga migliori rispetto a quando c’era il regime di Mubarak. Prima erano sempre truccate, tutti lo sapevano, la manipolazione del voto era diffusa. Questa volta invece ci saranno meno irregolarità, anche se sono comunque elezioni problematiche. Molte persone infatti hanno deciso di boicottarle».

Chi sono e perché non vogliono partecipare al voto?
«Chiunque si rechi in piazza Tahrir può incontrarli. Sono molti di quelli che hanno protestato nei giorni scorsi: dicono che l’esercito fa parte del vecchio regime e che per questo non ha diritto a supervisionare l’andamento del voto. Le elezioni avvengono mentre la “Emergency law”  è ancora in vigore, proprio come quando c’era Mubarak. Ma ci sono anche altre ragioni».

Quali?
«Tanti si rifiutano di andare a votare perché non vogliono legittimare il Consiglio supremo delle forze armate. Temono che il Parlamento verrà usato dai militari come prova del buon andamento della transizione verso la democrazia dell’Egitto guidata da loro. Non vogliono che queste elezioni vengano dipinte come una vittoria dell’esercito. Poi ci sono quelli che insistono che i militari devono lasciare il potere in mano a un governo civile e che solo questo può prendersi l’incarico di indire nuove elezioni. Infine, ci sono quelli che volevano che la data delle elezioni fosse posticipata dopo l’uccisione da parte delle Forze armate di oltre 40 persone la scorsa settimana. Ritengono che le elezioni non possano essere indette dalle stesse persone che hanno massacrato i dimostranti in piazza. Non vogliano pensare al voto con i loro fratelli e le loro sorelle che hanno versato il sangue da così poco tempo».

Si rischiano nuovi scontri in piazza Tahrir con le forze della polizia?
«In queste ore la situazione è tranquilla. L’esercito, con l’aiuto dei Fratelli Musulmani, ha costruito un muro di calcestruzzo in via Mohamed Mahmoud, dove settimana scorsa hanno avuto luogo le violenze. Da allora gli scontri si sono fermati, anche se ancora una persona è stata uccisa davanti al Parlamento. Gli scontri non riprenderanno fino a quando i militari non decideranno di irrompere e spezzare di nuovo i diversi sit-in. Ovviamente non posso affermare con certezza che questo non avverrà nei prossimi giorni perché come è avvenuto il 9 marzo, il 9 aprile e il primo agosto i militari sono ancora intenzionati a disperdere con la forza la gente che si riunisce per protestare, anche a costo di ucciderli».

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