Gli Stati Uniti continuano a essere il paese che spende di più per la difesa, ma Cina e arabi stanno crescendo. Italia dodicesima, Russia in crescita ma in difficoltà. I numeri del "Military Balance 2024" dell'Iiss
Il think tank che rappresenta gli interessi strategici anglosassoni valuta che la spesa militare mondiale ammonti a 2.230 miliardi di dollari per difetto, e conferma che gli Stati Uniti sono sempre di gran lunga il paese che vanta la maggiore spesa per la difesa: i suoi 905 miliardi di dollari nel 2023 sono più dei 900 miliardi di dollari dei 14 paesi sommati insieme che li seguono nella classifica delle spese maggiori. Mentre però in passato gli Usa da soli ammontavano a più del 50 per cento di tutta la spesa militare nel mondo, adesso si fermano al 40,5 per cento.
Spesa militare. Salgono Cina e paesi arabi
L’ascesa dei bilanci della Cina e dei paesi arabi ha ridimensionato l’incidenza statunitense sul totale, mentre d’altra parte il rapporto fra la spesa e il Pil americani non è sostanzialmente cambiato negli ultimi anni, nonostante la crisi dell’Ucraina: nel 2021 la spesa militare era pari al 3,26 per cento del Pil, l’anno scorso è stata del 3,36 per cento.
Gli Usa non compaiono fra i primi quindici paesi del mondo per spesa militare in rapporto al Pil. Tale classifica per il 2023 vede al primo posto l’Algeria con l’8,2 per cento seguita dall’Arabia Saudita col 6,5 per cento, dall’Oman e dalla Russia al quarto posto con il 5,6 per cento. Si stima però che quest’anno la spesa militare russa sarà pari al 7,4 per cento del Pil nazionale, diventando così la seconda al mondo in tale classifica. In cifra assoluta, invece, nonostante la guerra in corso con l’Ucraina il bilancio russo è quasi 9 volte più piccolo di quello americano, ed è inferiore alla somma della spesa militare di Francia e Germania: Mosca ha speso 108,5 miliardi di dollari contro i 905,5 degli Usa, mentre la semplice somma dei bilanci di Francia e Germania (60 e 63,7 miliardi di dollari) supera la spesa russa.
Italia dodicesima, in flessione rispetto al 2022
L’Italia è al dodicesimo posto nella classifica mondiale con una spesa di 32,7 miliardi di dollari, in flessione rispetto al 2022. Una delle sorprese del rapporto Iiss è la scoperta che, nonostante la guerra in Ucraina, alcuni paesi europei hanno ridotto le spese militari anziché aumentarle fra il 2022 e il 2023. A fronte di un aumento globale della spesa militare nel 2023 di 128 miliardi di dollari, in una trentina di paesi del mondo s’è registrata una diminuzione complessiva di 15,1 miliardi.
Di tale cifra l’Italia è responsabile per il 4,2 per cento, il Belgio per il 2,6 per cento, la Grecia per il 6,6 per cento, l’Ungheria per il 7,1 per cento e il Regno Unito addirittura per il 25,4 per cento. Dell’aumento di 128 miliardi invece sono responsabili gli Stati Uniti per il 22,2 per cento, la Russia per il 18,6 per cento, la Cina per il 10,2 per cento, l’Ucraina per l’8,9 cento.
La progressione cinese è il dato più vistoso della spesa militare mondiale: è aumentata ininterrottamente dal 2008 ad oggi, passando dai 78,8 miliardi di quell’anno ai 108,5 del 2023. Recita il rapporto: «La Cina sta incrementando le sue forze strategiche. Prosegue il lavoro sul missile balistico a raggio intermedio DF-27 armato con un veicolo planante ipersonico per il superamento delle difese missilistiche. Sono inoltre avanzati gli sforzi cinesi per trasformare l’Esercito di Liberazione popolare in una forza capace di proiettare la sua potenza. La marina ha svolto esercitazioni nelle vicinanze di Guam (base navale americana – ndt) e, insieme a navi russe, nei pressi della costa dell’Alaska. La terza e più grande portaerei del paese, la Fujian, sta per iniziare i test in mare».
La guerra in Ucraina e la crisi di Gaza
Una serie di passaggi del rapporto (che è lungo 554 pagine) sono dedicati al problema della scarsità del munizionamento con riferimento all’Ucraina e ai suoi alleati occidentali: «Da Canberra a Washington a Oslo i governi si sono anche resi conto che le loro scorte di munizioni si sono eccessivamente ridotte e che deve essere messa a punto la capacità di ricostituirle». La crisi di Gaza ha reso ancora più complicata (per Usa e alleati) la situazione: «Due anni di combattimenti hanno messo a dura prova le capacità dell’Occidente di rifornire l’Ucraina di munizioni indispensabili, inclusi proiettili di artiglieria da 155 mm.
Quando Washington, a luglio, diede il via libera alla fornitura di munizioni a grappolo a Kiev, chiarì che la decisione era stata in parte motivata dalla possibilità di attingere ad ampie scorte di tali munizioni nel momento in cui si registrava invece carenza di proiettili di artiglieria. Gli scontri tra Israele e Hamas hanno rafforzato le preoccupazioni circa la profondità delle scorte e la capacità industriale di ricostituirle. Gli Stati Uniti, nell’ambito del loro sostegno all’Ucraina, avevano ritirato alcune munizioni da 155 mm da Israele per rinforzare le scorte in Europa, ma hanno reintegrato quelle destinate all’uso da parte delle forze di difesa israeliane una volta scoppiati i combattimenti. Washington si è anche precipitata a fornire ad Israele l’equipaggiamento di difesa aerea dell’Iron Dome».
Per quanto riguarda i paesi europei, «l’Unione Europea era in procinto di mancare, con un ampio margine, il suo obiettivo di consegnare all’Ucraina 1 milione di proiettili da 155 mm nel giro di un anno alla data del marzo 2024» (ne sarebbero stato consegnati finora 300 mila).
I fallimenti dell’offensiva russa
Il rapporto evidenzia i fallimenti dell’offensiva russa e le problematiche militari da essi evidenziate, ma sottolinea anche gli elementi di resilienza del colosso russo. Per quanto riguarda il primo aspetto, il rapporto racconta che «Quasi tutto il potenziale di combattimento terrestre schierabile dalla Russia risulta impegnato nelle operazioni in Ucraina alla fine del 2023. Perdite persistentemente alte hanno mantenuto la maggior parte delle unità al di sotto della forza prestabilita.
La carenza di ufficiali sostitutivi e il limitato tempo di formazione del personale mobilitato hanno notevolmente ostacolato l’efficacia del combattimento di molte unità. Dichiarazioni enfatiche del governo e di funzionari del settore industriale in merito al reclutamento e alla produzione di attrezzature, volti a sostenere le forze dispiegate in Ucraina nel 2023, contrastavano con la realtà e presumibilmente erano intesi principalmente come propaganda per il pubblico russo.
Tuttavia, la quantità del personale delle formazioni e delle unità esistenti è stata parzialmente ripristinata, e un certo numero di nuovi reggimenti per il tempo di guerra è stato creato attraverso sforzi di limitata mobilitazione condotti alla fine del 2022, a cui si aggiungono una varietà di sforzi di reclutamento in corso». Per quanto riguarda il secondo, viene sottolineato che «Da quando ha lanciato la sua guerra su vasta scala contro l’Ucraina, la Russia ha perso oltre 2.900 carri armati da combattimento, cioè più o meno quanti ne aveva nell’inventario attivo all’inizio dell’operazione.
L’occidente non è predisposto per guerre lunghe
Tuttavia Mosca ha saputo compensare la qualità con la quantità, tirando fuori migliaia di vecchi tank di riserva a un ritmo che, a volte, può avere raggiunto i 90 carri armati al mese. La quantità di materiale stoccato nelle riserve della Russia indica che Mosca potrebbe potenzialmente sostenere circa altri tre anni di pesanti perdite e sostituire i tank perduti attingendo alle scorte (anche se il livello tecnico sarebbe inferiore), indipendentemente dalla sua capacità di produrre nuovo equipaggiamento».
Sullo sfondo rimane la problematica dei sistemi industriali occidentali, che non sono predisposti per guerre di attrito di lunga durata. Le soluzioni in materia non sembrano facili, come si deduce dalle dichiarazioni di un alto ufficiale della Nato citato nel rapporto: «L’ammiraglio Robert Bauer, presidente del comitato militare della Nato, alla conferenza di Manama dell’Iiss del 2023 ha affermato che i governi potrebbero dover effettuare alcuni investimenti nell’industria per garantire la resilienza in caso di conflitto. “Se vogliamo avere la capacità di espandere la produzione a causa di una guerra, abbiamo bisogno di fabbriche che probabilmente restano vuote e non fanno nulla per dieci anni, ma quando è necessario, devono essere operative nel giro di un mese”».
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!