Caos in Libia. La Francia è spregiudicata, ma l’Italia si conferma troppo timida
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È scoppiata ancora una volta la violenza a Tripoli, capitale di una Libia sempre più martoriata dagli scontri tra fazioni armate sostenute da sponsor internazionali in lotta tra loro. Il ministro dell’interno, Matteo Salvini, ha accusato senza mezzi termini la Francia di fomentare le divisioni sul terreno per scalzare l’Italia dalla sua ex colonia (e dal suo petrolio), ma se Parigi si comporta spesso in modo spregiudicato, Roma si conferma troppo debole.
[pubblicita_articolo allineam=”destra”] GLI SCONTRI. Il 27 agosto la cosiddetta Settima Brigata ha attaccato altre milizie rivali di Tripoli, dove il governo sostenuto dall’Italia e (in teoria) dalla comunità internazionale di Fayez al-Serraj sopravvive solo grazie al sostegno di numerosi gruppi armati. Finora quasi 50 persone sono morte e tra loro non c’è nessun italiano anche se un colpo di mortaio è esploso vicino alla nostra ambasciata, che non verrà chiusa. Gli scontri sono arrivati fino all’area di Abu Salim, che dà accesso al centro della capitale. Serraj, per fronteggiare l’offensiva, ha chiesto l’aiuto alla Forza anti-terrorismo di Misurata, nella speranza di contenere l’avanzata delle milizie rivali.
FATTORE HAFTAR. La Settima Brigata è legata al generale Khalifa Haftar, che controlla la parte orientale del paese, la Cirenaica, e vorrebbe estendere il suo dominio anche alla tripolitania controllata da Serraj. Non è un mistero che il generale sia sostenuto dalla Francia, che apertamente si mostra europeista e sollecita soluzioni condivise, come l’idea di organizzare le elezioni politiche a dicembre (senza preoccuparsi della mancanza di sicurezza), dall’altra appoggia Haftar nella speranza che vinca la guerra contro l’alleato italiano Serraj.
TUTTI VOGLIONO IL PETROLIO. Domani la missione Onu presente in Libia ha convocato tutti i responsabili delle milizie in lotta e la speranza è che si possa trovare un accordo, ma alcuni nodi politici restano: prima di tutto la volontà di Macron di giocare un bello scherzetto all’Italia e all’Eni. Come dichiarato al Corriere dall’islamologo francese Gilles Kepel, «il problema sono le frammentazioni tribali, che fanno il gioco delle potenze straniere, arabe o europee. Dove ognuna ha la sua tribù protetta con l’ambizione del controllo del petrolio. Roma accusa il governo francese di fare il gioco della Total contro Eni». Secondo Gianandrea Gaiani, direttore di Analisidifesa.it, «l’obiettivo di Macron è proprio quello di scalzarci dal ruolo di decisore nella crisi libica. La Francia vuole riaffermare la sua influenza dominante nel paese, come cerca di fare dal 2011. Macron vuole emarginarci, ma è anche vero che noi gli stiamo dando una mano».
«SIAMO TROPPO TIMIDI». E arriviamo all’Italia «troppo timida», come ha scritto sulla Stampa Giuseppe Cucchi. «Possiamo accusare i nostri cugini transalpini per l’eccessiva disinvoltura con cui conducono, con un bel pelo sullo stomaco, questa politica sostanzialmente neo-colonialista, che provoca alla Libia inaudite sofferenze. Oltretutto, si tratta di una politica che corre su un doppio binario, quello declaratorio in cui Macron si presenta sempre come campione dell’europeismo, e quello dei fatti: qui la Francia si muove guidata solo dal proprio individuale interesse ed ogni decisione del presidente è motivata da un’ottica puramente nazionale».
TROVARE GLI ALLEATI. Detto questo, l’Italia però «si rifiuta di prendere atto della evidenza dei fatti e di realizzare che la Francia mira a sostituirci nel ruolo di gestione delle risorse petrolifere libiche che l’Eni ha avuto sino ad ora. Cosa possiamo fare in queste condizioni? Ben poco se ci ostiniamo a muoverci da soli e a continuare a farlo con timidezza. Ci converrebbe invece probabilmente ricercare subito l’appoggio di tutti quelli che in un momento del genere potrebbero darci un aiuto efficace: Usa, Russia, Turchia, Qatar, lo stesso Egitto. E poi forse dovremmo riuscire imparare a rispondere efficacemente ad azioni come quella francese, magari non abbassandoci anche noi a predicare bene e a razzolare male, ma non dimenticando mai che, quando ci sono in gioco certi interessi, gli altri possono farlo».
Foto Ansa
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