A Molenbeek i musulmani preferiscono i socialisti al partito Islam. E c’è un motivo
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Domenica si sono svolte le elezioni comunali in Belgio e il partito Islam, che si è presentato nel comune di Molenbeek-Saint-Jean, ha subito una sonora disfatta. Ha conquistato appena l’1,8% delle preferenze e non è riuscito a ottenere neanche un seggio.
[pubblicita_articolo allineam=”destra”] FABBRICA DEI JIHADISTI
Il risultato fa riflettere. Il comune di Bruxelles è conosciuto in tutto il mondo come la «fabbrica dei jihadisti», l’hub europeo del terrorismo islamico internazionale, il porto franco da dove sono passati alcuni dei protagonisti degli attentati più spettacolari e sanguinosi degli ultimi 20 anni. Il partito Islam (acronimo di Integrità, solidarietà, libertà, autenticità e moralità) presentandosi proprio a Molenbeek, e in un altro comune, non poteva non fare notizia. Proponendosi di introdurre la sharia, i posti separati sugli autobus («uomini davanti e donne dietro») e cibo halal per tutti, era destinato ad attirare l’attenzione di tutti i media europei (tempi.it incluso), che hanno lanciato l’allarme.
TRIONFANO I SOCIALISTI
Eppure si sono sbagliati tutti. Il partito Islam ha perso a Molenbeek il 2,32% dei consensi rispetto a sei anni fa (e il seggio conquistato nel 2012), mentre il partito socialista ha trionfato con il 31,34% dei consensi. Il nuovo borgomastro non è un politico qualunque: Catherine Moureaux, infatti, è la figlia di Philippe Moureaux, che ha guidato il comune per 20 anni fino al 2012. Dopo sei anni, dunque, i socialisti tornano al potere nel comune più problematico di tutta Europa.
I MUSULMANI NON VOTANO ISLAM
Da un lato i giornali devono fare mea culpa: il partito guidato da Abdelhay Bakkali Tahiri ha avuto buon gioco a farsi pubblicità solleticando comprensibili paure con dichiarazioni a effetto: «La Costituzione belga coincide all’80 per cento con il Corano. E nel 2030 noi musulmani saremo la maggioranza». Eppure i musulmani, che costituiscono il 45% della popolazione di Molenbeek, non hanno votato Islam. Perché? Perché, alla prova dei fatti, non c’è alcun bisogno di un partito identitario per difendere ciò che è già stato conquistato sul campo grazie alla complicità di un partito, come quello socialista, che si è spesso e volentieri girato dall’altra parte al momento giusto.
LA RELIGIONE COMANDA
Come si legge nell’informatissimo libro Molenbeek-sur-djihad, ma anche nell’importante testimonianza della giornalista Hind Fraihi, in sei chilometri quadrati sono stati aperti nel comune 41 luoghi di preghiera, tra cui 25 moschee, solo quattro di queste riconosciute ufficialmente. Su circa 500 jihadisti che hanno lasciato il Belgio per combattere il jihad in Siria, almeno 79, quasi uno su cinque, sono partiti da Molenbeek. Non stupisce perciò che per le strade del quartiere comandi la «legge dell’islam» e non quella dello Stato. Tantissime donne, comprese le bambine, portano l’hijab o il niqab (che lascia scoperti solo gli occhi).
Né le donne velate, né le altre possono in ogni caso sedersi nelle terrazze dei bar, riservate ai soli uomini. Allo stesso modo le coppie non possono camminare per strada tenendosi per mano. Gli ebrei sono scappati dal comune e l’unica coppia rimasta riceve continue minacce. L’integrazione è un miraggio: l’imam della moschea Al Khalil, la più grande di Molenbeek, guida la preghiera da trent’anni e ancora non parla il francese. La segregazione di genere è un fatto: gli ingressi alla piscina comunale sono divisi per maschi e femmine.
«LA MACCHINA DA VOTI»
Quest’ultima è una delle tante misure prese da Philippe Moureaux, padre del nuovo borgomastro Catherine. Secondo il senatore liberale Alain Destexhe: «In vent’anni a Molenbeek ha regnato una sorta d’omertà. Chi tentava di romperla veniva trattato come un islamofobo. Al cuore di questo sistema c’era Moureaux, che alimentava un clima di terrore intellettuale verso chi osava protestare. Aveva capito da subito che il futuro del socialismo bruxellese passava per gli immigrati, che sarebbero diventati simbolicamente il nuovo proletariato». L’ex borgomastro «ha fatto di questi migranti naturalizzati belgi un battaglione elettorale, una macchina da voti».
IL NUOVO BORGOMASTRO
Forse è per questo che il partito socialista ha trionfato a Molenbeek, mentre Islam ha registrato un fallimento. Il primo non si oppone allo status quo e alla legge che viene scritta sulla strada da estremisti e radicali. In più, non attira l’attenzione. E non c’è dubbio che i socialisti continueranno a seguire questa politica. Catherine Moureaux, riguardo ad esempio al problema delle moschee illegali, ha dichiarato in un’intervista all’Echo: «Ce ne sono molte, spesso non riconosciute. Ma si tratta di luoghi di socializzazione da rispettare, con i quali dialogare. Controllare quello che avviene nelle moschee non è affare del comune». E sul problema dell’alto numero di radicali tra i giovani di Molenbeek: «La prigione gioca un ruolo drammatico nella radicalizzazione. Bisogna impedire ai nostri giovani di andare in prigione». Sull’aumento delle ragazzine che portano il velo: «Ognuno ha il suo modo di emanciparsi».
I FRATELLI MUSULMANI
Sempre nella stessa intervista, il borgomastro ha parlato così del suo compagno di partito, Jamal Ikazban, che ha partecipato a una manifestazione dei Fratelli musulmani, che ha chiesto all’Ue di ritirare Hamas dalla lista delle organizzazioni terroristiche e che ha difeso un jihadista, insultando più volte Israele: «Niente di grave. Lo conosco: lui è per l’uguaglianza reale, fa parte a pieno titolo del nostro partito». Sul rapporto clientelare a Molenbeek tra socialisti e immigrati musulmani, invece, ha detto: «Chi ci accusa ha come unico ideale quello di una società tutta bianca e di razza ariana».
IL PARTITO ISLAM NON SERVE
E il problema dei tanti terroristi passati tutti, ma proprio tutti, da Molenbeek? «Non è un problema del nostro comune. Non si può continuare a stigmatizzare questa gente». A che cosa serve il partito Islam a Molenbeek quando c’è il partito socialista?
Foto Ansa
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