«Bene ha detto di noi il profeta Geremia: “Se esco in aperta campagna, ecco le vittime della spada; se entro nella città, ecco chi muore di fame. Anche il profeta e il sacerdote si aggirano per la regione senza comprendere” (Ger. 14,18)». La citazione scelta dal cardinale Pierbattista Pizzaballa per il suo articolo su Avvenire rispecchia la situazione in Israele: c’è un drammatico rischio di carestia per le persone che vivono nella Striscia di Gaza ed, in generale, è seria la situazione economica per chi vive in Israele e Cisgiordania.
«La fame è devastante», ha detto il patriarca di Gerusalemme dei Latini in diverse interviste riferendosi alla situazione della Striscia: «È oggettivamente una situazione intollerabile. Abbiamo sempre avuto tantissimi problemi, problemi di ogni tipo. Anche la situazione economica, finanziaria, è sempre stata molto fragile, però la fame non c’è mai stata. È la prima volta che dobbiamo fare i conti con la fame vera e propria: questo è intollerabile. Penso che tutte le comunità religiose, politiche e sociali debbano fare tutto il possibile per rompere questa situazione».
Uccidere per un sacco di farina
Una situazione che, come ha raccontato Giancarlo Giojelli su Tempi, è confermata da chi nella Striscia ci vive, come suor Nabila: «Voi fuori non potete capire cosa stiamo vivendo, cosa sta realmente avvenendo qui. Gaza è rasa al suolo, la Striscia è divisa in due, ma si combatte ancora ovunque. Il cibo è scarso, i prezzi altissimi, si cucina due volte alla settimana. Gli aiuti non arrivano al Nord e bisogna andarli a prendere, rischiando ogni volta di non tornare. Ci sono persone armate di armi e di coltelli che uccidono per un sacco di farina, i più deboli non prendono nulla. Ci sono padri che escono dal compound della chiesa per cercare cibo e salutano mogli e figli sapendo che potrebbero non rivederli mai più. Quale sarà il futuro di questa terra? Ci vorranno anni per rivedere la luce. Ci consolano i sorrisi dei bimbi per i quali chiediamo un futuro di pace. Ci aggrappiamo alla fede in Gesù».
Leggi anche:
Mentre si parla di un possibile accordo tra le parti (ma Hamas non vuole accettare di restituire gli ostaggi, temendo l’attacco di Israele), si continua a sparare. La distruzione del palazzo dell’ambasciata iraniana a Damasco con l’uccisione del leader iraniano Mohammad Reza Zahedi, rende ancora più incandescente il fronte settentrionale. E la morte dei sette operatori umanitari di World Central Kitchen uccisi dalle forze israeliane è l’ennesimo “effetto collaterale” dello scontro («colpiti involontariamente, un tragico caso», ha detto Benjamin Netanyahu). I volontari viaggiavano su «due auto blindate con logo WCK» e stavano lasciando «il magazzino di Deir al-Balah – hanno raccontato i responsabili della ong -, dove la squadra aveva scaricato più di 100 tonnellate di aiuti alimentari umanitari portati a Gaza lungo la rotta marittima».
L’appello ai pellegrini
Dalla Striscia arrivano testimonianze drammatiche: chi si è dovuto arrendere a cibarsi di resti di alimenti già divorati dai topi o dagli uccelli, chi è morto nella calca mentre cercava di recuperare alimenti portati dai camion, chi è affogato in mare nel tentativo di recuperare i pacchi gettati in mare dagli aerei.
Leggi anche:
Non è solo Gaza a soffrire. A mettere in ginocchio l’economia è anche la mancanza di turisti post 7 ottobre. Le città care ai cristiani sono deserte, in particolare Betlemme dove circa un terzo della popolazione vive grazie al turismo religioso. È questo che ha spinto il cardinale Pizzaballa a rivolgere un appello perché si torni a visitare i luoghi santi. «Capisco la paura, ma è possibile fare un pellegrinaggio, forse non completo, ma comunque visitare molti luoghi. È una forma concreta di sostegno a quella comunità cristiana che preserva la memoria di ciò che Gesù ha fatto in queste terre».
***
Per chi volesse fare una donazione: Associazione Pro Terra Sancta, progetto “Nella guerra accanto ai più fragili”