La legge Cirinnà che legalizza le unioni civili tra persone dello stesso sesso non prevede l’obiezione di coscienza. Primi cittadini o altri «funzionari di stato civile» non potranno dunque rifiutarsi di celebrare (o registrare, come preferiscono scrivere alcuni) le unioni. Negli ultimi giorni politici, filosofi e teologi hanno sottolineato che in questo caso il ricorso all’obiezione di coscienza è «impraticabile e indifendibile». Giancarlo Cerrelli, consigliere centrale dell’Unione giuristi cattolici italiani ed esperto di Diritto canonico, non la pensa allo stesso modo.
In quali casi il nostro ordinamento consente l’obiezione di coscienza?
In origine è stata concepita per il servizio militare, poi è stata prevista anche in materia di aborto, fecondazione artificiale e sperimentazione animale.
Qual è il suo fondamento in generale?
L’obiezione di coscienza può avere luogo quando in gioco ci sono i principi fondamentali della convivenza umana e quando la legge violenta la coscienza. Si deve essere in presenza, da un lato, di una norma positiva che impone un obbligo giuridico di facere e, dall’altro, di un imperativo posto dalla coscienza che prescrive al contrario un non facere.
Perché le unioni civili tra persone dello stesso sesso dovrebbero violare la coscienza di chicchessia?
Perché intaccano la disciplina relativa al matrimonio, istituto che costituisce un pilastro essenziale della convivenza civile e riguarda necessariamente le più profonde convinzioni morali e religiose. In questo caso, poi, c’è anche un fondamento civile e basta leggere la Costituzione italiana.
Perché?
Perché i padri costituenti hanno staccato la famiglia, a cui fa riferimento l’articolo 29, da tutte le altre formazioni sociali, delle quali parla l’articolo 2. La stessa Corte costituzionale, nella famosa sentenza 138/2010, ribadisce quanto sia fondamentale il matrimonio, affermando che le unioni civili non possono essere ritenute omogenee ad esso. Ecco perché il ricorso all’obiezione di coscienza in questo caso è fondato.
Il testo della legge Cirinnà però fa riferimento proprio all’articolo 2 della Costituzione.
Sì, ma poi nei fatti, per come è stata scritta la legge, nella disciplina di diritti e doveri, equipara unioni civili e matrimonio.
Le prime però si registrano, il secondo si celebra.
Dal punto di vista formale è così, perché l’unione va trascritta in un registro, ma se vogliamola dirla tutta è più simile alla celebrazione di un matrimonio. Prima della registrazione di un’unione civile, infatti, serve una dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile alla presenza di due testimoni. C’è quindi una cerimonia senza la quale non sarebbe valida l’unione.
È sicuro?
Già nel caso del sindaco Ignazio Marino a Roma si parlò di celebrazione e nell’immaginario collettivo andrà proprio così. La cerimonia è stata inserita in modo ideologico proprio per dare un messaggio preciso: la piena equiparazione tra matrimonio e unioni civili omosessuali. Chi partecipa alla cerimonia, dunque, collabora materialmente all’atto e fa passare questa mentalità. C’è una valenza simbolica. Chi non vuole indurre il popolo italiano dal punto di vista culturale a equiparare i due istituti deve avere diritto all’obiezione di coscienza. Spetta al legislatore, poi, come prevede anche una sentenza della Corte costituzionale del 1991, compiere una delicata opera di bilanciamento dei diritti.
Perché allora l’obiezione di coscienza è richiesta nel caso delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e non per il divorzio?
Io ricordo che Giovanni Paolo II nel 2002 la raccomandò anche per il divorzio, soprattutto per gli avvocati. Ma se pensiamo che oggi vogliono abolire l’obiezione anche per l’aborto capiamo quanto il tema sia spinoso.
In un testo della Congregazione per la dottrina della fede del 2003, l’allora cardinale Joseph Ratzinger scrisse che «in presenza del riconoscimento legale delle unioni omosessuali, oppure dell’equiparazione legale delle medesime al matrimonio con accesso ai diritti che sono propri di quest’ultimo, (…) ognuno può rivendicare il diritto all’obiezione di coscienza».
Ogni volta che viene attuata una unione civile tra persone dello stesso sesso si incentiva un processo di ridefinizione della famiglia. E questo significa distruggere la famiglia, indebolirla e depotenziarla. Questo è un male grave. Chi non vuole collaborare alla distruzione della famiglia, voluta da forti lobby culturali, politiche ed economiche, deve poter obiettare. Questo è anche il grande dramma del nostro tempo.
Quale?
Vogliono toglierci la libertà di continuare a fare il bene e rifiutare il male. Non a caso si sta cercando di limitare sempre di più la libertà di coscienza. Se ci tolgono anche la possibilità di dire “non sono d’accordo” il futuro della nostra società sarà drammatico. Ma la tendenza è quella e per chi non si piega si prospettano o sanzioni o il carcere, come già avvenuto anche nel caso di Kim Davis (o in Francia, ndr).
Foto Ansa