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Ucraina. «Russi e americani hanno riaperto canali diplomatici segreti»

«La durissima rappresaglia russa può anche trasformarsi in qualcosa di peggio. Kiev sapeva quali sarebbero state le conseguenze dell'attacco al ponte di Kerch. Colloqui segreti sono in corso». Intervista a Fausto Biloslavo, inviato di guerra del Giornale

Leone Grotti
11/10/2022 - 6:30
Esteri
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La distruzione causata dalla rappresaglia russa in Ucraina

La guerra in Ucraina è arrivata a uno snodo cruciale. La durissima rappresaglia russa contro le città ucraine per vendicare l’attentato di sabato con cui Kiev ha pesantemente danneggiato il ponte di Kerch, che collega la Crimea alla Russia, impone riflessioni serie soprattutto a Washington. Il rischio che il conflitto degeneri, portando l’entità delle violenze, già altissima, a un livello finora sconosciuto, non è mai stato così concreto e forse è anche per questo che «si sono riaperti canali di comunicazione sotterranei e segreti in precedenza chiusi tra russi e americani», dichiara Fausto Biloslavo a Tempi. Ma a che cosa porterà questo abbozzo di trattative per il momento non lo sa nessuno. Secondo l’inviato di guerra del Giornale, «potrebbero esserci sviluppi positivi ma anche un’escalation» che si rivelerebbe devastante per l’Ucraina e non solo.

Biloslavo, è da febbraio che non si vedevano attacchi così pesanti contro le città ucraine da parte della Russia. Perché proprio adesso?
Sembra di essere ritornati all’inizio della guerra. Da tempo gli abitanti di Kiev e Leopoli, città distanti dal fronte, si sentivano relativamente sicuri. Speriamo che questa dura rappresaglia per l’attentato al ponte di Kerch sia solo una reazione, una vendetta e che questa valanga di missili non nasconda invece altro.

A che cosa sta pensando?
Vladimir Putin presiederà il Consiglio di sicurezza nazionale e non vorrei che Mosca trasformasse quella che ora chiama “operazione militare speciale” in una operazione antiterrorismo. Che cosa significa lo abbiamo visto in Cecenia, una guerra durata dieci anni e dove si è raggiunto un livello di violenza senza confini. Spero che non capiti, ma potrebbe capitare.

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Perché l’esercito ucraino, come sembra, ha ordito l’attacco al ponte di Kerch?
Non mi pare una novità o una sorpresa, perché i migliori comandanti delle forze armate ucraine, come anche gli stessi consiglieri presidenziali, avevano più volte detto di voler colpire la Crimea. L’avevano annunciato all’arrivo dei primi lanciarazzi americani Himars. Tra l’altro, quando c’è stato l’attacco al ponte alcuni di loro hanno festeggiato sui social, poi hanno fatto marcia indietro perché si sono resi conto di averla fatta grossa.

In che senso?
In ogni guerra ci sono linee rosse di vario genere. Attaccando il ponte di Kerch, Kiev ne ha oltrepassata una agli occhi del Cremlino: non si tratta soltanto di una infrastruttura strategica per Mosca. Il ponte che unisce Crimea e Russia aveva un enorme significato simbolico per Vladimir Putin, che l’aveva voluto e inaugurato personalmente. È chiaro che se decidi di colpirlo, lo fai a tuo rischio e pericolo. Le conseguenze erano prevedibili. E potrebbe essere solo l’inizio: gli americani dovranno pensare bene se fornire all’esercito ucraino i missili Atacms.

Gli Stati Uniti hanno sempre condannato con forza l’invasione russa sostenendo l’Ucraina, oltre che politicamente, anche militarmente con ingenti forniture di armi efficaci e moderne. Nelle ultime settimane, però, sembrano aver voluto prendere le distanze da alcuni attacchi orchestrati da Kiev e considerati non necessari dal punto di vista strategico.
Dalle informazioni che ho, da quando Putin si è detto disposto a trattare, il giorno in cui ha annesso quattro regioni ucraine, si sono riattivati canali sotterranei e segreti di comunicazione fra russi e americani. Ovviamente la “pax russa” proposta da Putin è inaccettabile, ma ci sono segnali evidenti che qualcosa si sta muovendo.

Quali?
Innanzitutto la rivelazione, passata al New York Times, che sono stati gli ucraini ad assassinare il 20 agosto a Mosca Darya Dugina, figlia del filosofo Aleksandr Dugin. Poi le dichiarazioni di Joe Biden sull’Armageddon nucleare e sull’«off-ramp», sulla via d’uscita per Putin, seguite a ruota dalle parole del segretario di Stato americano Anthony Blinken. Cosa comporterà questo abboccamento sotto traccia, interrotto continuamente da attacchi e rappresaglie sul campo, nessuno lo sa. Il mese di novembre sarà cruciale.

Perché?
Al G20 del 15 novembre dovrebbero esserci tutti: Biden, Putin e Xi Jinping. Cinque giorni dopo si voterà negli Stati Uniti per le elezioni di Midterm, con Donald Trump che già parla di mettere fine alla guerra attraverso negoziati. Bisognerà vedere che cosa intende fare Biden.

Al momento non sembrano esserci molti spiragli di trattativa.
L’ostacolo più grosso al momento è sicuramente il governo di Zelensky, perché l’esercito ucraino avanza, libera territori e vorrebbe andare avanti. Ma la trattativa è difficilissima da tutti i punti di vista: già imporre un cessate il fuoco sembra arduo, poi bisognerà capire che cosa sono disposti a mettere sul piatto i russi. Perché è chiaro che da eventuali accordi entrambi i paesi dovranno uscire in qualche modo vincitori. Trovare la quadratura del cerchio sarà dura.

Come potrebbe evolvere nei prossimi mesi la guerra sul campo?
Gli ucraini stanno avanzando e cercheranno di proseguire con la controffensiva, ma i problemi non mancano. Dopo aver liberato grandi porzioni di territorio, infatti, bisogna difenderli e consolidare le vittorie. E non è semplice se i russi, come sembra, si sottraggono alla battaglia e si ritirano su posizioni meglio difese. In questo momento non possiamo parlare di Caporetto per l’esercito russo: se si sottraggono a scontri in campo aperto, sarà dura per Kiev mantenere la spinta offensiva.

Quali saranno le prossime battaglie cruciali?
Se gli ucraini riusciranno a prendere Kreminna, nell’Est del paese, potranno lanciare la riconquista dell’oblast di Luhansk. Ma devono stare attenti perché i russi rosicchiano territori e sobborghi attorno a Bakhmut, che è la porta di ingresso verso le roccaforti dell’oblast di Donetsk, Slovyansk e Kramatorsk. C’è ancora un mese di tempo prima che neve e ghiaccio rallentino le operazioni. È chiaro che i russi stanno cercando di salvare il salvabile e mantenere le posizioni in attesa dei rinforzi.

La mobilitazione militare parziale può cambiare le sorti del conflitto?
Non è detto, l’esercito russo ha dimostrato tutti i suoi limiti, per molti versi è obsoleto, non è un’armata moderna e quindi tutto può succedere. Chi parla di centinaia di migliaia di persone mandate al macello, di nuovo 1917, però, credo si sbagli. Dubito che si arriverà a questo.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

Tags: crimeaguerra ucrainajoe bidenponte di KerchRussiaUcrainaUSAvladimir putinVolodymyr Zelensky
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