Ucraina, attacco al ponte di Kerch e rappresaglia russa: nessuno vuole trattare

Di Leone Grotti
10 Ottobre 2022
Da settimane Stati Uniti, Russia e Ucraina hanno più volte manifestato la volontà di porre fine alla guerra con trattative di pace. Ma le azioni sul campo svuotano di senso qualsiasi dichiarazione
Missili russi colpiscono la capitale dell'Ucraina, Kiev

Missili russi colpiscono la capitale dell'Ucraina, Kiev

Ucraina, Stati Uniti, Russia: a parole tutti vogliono trattare, in realtà nessuno ha intenzione di farlo. Nelle ultime settimane si sono moltiplicate le dichiarazioni di apertura nei confronti di possibili negoziati per porre fine al conflitto, ma sono sempre state accompagnate da gesti che hanno svuotato le parole di ogni valore.

L’Ucraina e l’attacco al ponte di Kerch

Nel suo intervento all’Onu del 22 settembre il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha dichiarato che l’Ucraina «è pronta a condurre trattative di pace, a patto che siano vere, giuste e oneste». Il segretario di Stato americano Anthony Blinken ha ribadito pochi giorni dopo che Kiev «è pronta a trattare». Il 4 ottobre però il presidente ucraino ha firmato un decreto che definisce formalmente «impossibile» avviare trattative con Vladimir Putin.

E non è certo un passo verso la riconciliazione l’attentato di sabato con cui gli ucraini, nel giorno del compleanno del presidente russo, hanno attaccato e pesantemente danneggiato il ponte di Kerch, che collega la Crimea alla Russia. Un attacco che ha provocato una durissima rappresaglia russa, che stamattina ha colpito con 80 missili Kiev, Leopoli, Zhytomyr, Khmelnitsky, Dnipro e Ternopil provocando morti e feriti.

La Russia e l’annessione delle regioni ucraine

La stessa mancanza di volontà pratica di sedersi al tavolo delle trattative si può riscontrare in Russia. Due settimane fa, nel giorno in cui Mosca ha celebrato l’annessione dopo referendum farsa di quattro regioni ucraine (Donetsk, Luhansk, Zaporizhia e Kherson), nel suo discorso Putin ha dichiarato che «non vogliamo un ritorno all’Unione Sovietica. Kiev rispetti la volontà popolare, cessi il fuoco e torni al tavolo del negoziato, noi siamo pronti».

Inutile dire che strappare a Kiev il 18 per cento del suo territorio non è il biglietto da visita migliore per lanciare seriamente il tema delle trattative. Senza considerare che la mobilitazione militare parziale annunciata dal presidente russo manifesta tutt’altra volontà rispetto a quella di lasciare spazio ai colloqui di pace.

Gli Stati Uniti e i missili Atacms

Infine ci sono gli Stati Uniti. Parlando a Cbs News Blinken ha detto che «al momento non ci sono colloqui perché la Russia non ha dimostrato alcuna intenzione di impegnarsi in discussioni significative». Allo stesso tempo ha aggiunto che «se e quando questo atteggiamento cambierà, faremo di tutto per sostenere il processo diplomatico».

Parole che fanno a pugni, in parte, col sostegno militare e di intelligence sempre più importante offerto a Kiev. Il governo di Zelensky, dopo aver sperimentato l’efficacia sul campo dei lanciarazzi Himars, che hanno favorito la controffensiva nell’est e nel sud del paese, continua a richiedere a Washington i missili Atacms, che potrebbero colpire facilmente la Crimea e anche la Russia.

La Casa Bianca, che non si fida completamente dei generali ucraini, sta riflettendo se trasferire all’esercito ucraino anche questo di tipo di armamenti. Una scelta che potrebbe rappresentare la pietra tombale sulle speranze, già bassissime, di intavolare una trattativa con Mosca per porre fine alla guerra.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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