Putin fa un altro passo verso l’escalation militare nucleare
Il discorso televisivo di Vladimir Putin alla nazione rappresenta un passo deciso nella direzione di un’escalation militare dalle prospettive imprevedibili, potenzialmente apocalittiche. La prolusione è concepita come un crescendo che parte dal riconoscimento della legittimità dei referendum che dovrebbero svolgersi in quattro regioni dell’Ucraina occupate dalle forze russe, si eleva all’annuncio della mobilitazione parziale delle forze armate (cioè l’utilizzazione al fronte dei coscritti che stanno espletando la leva obbligatoria, circa 250 mila effettivi) e tocca l’apice con l’ammonimento circa la disponibilità della Russia ad usare tutte le armi che ha a disposizione, incluse quelle atomiche.
La mossa di Putin dopo la controffensiva di Kiev
La mossa russa è diretta conseguenza dei successi militari ucraini che hanno avuto luogo nel corso dell’estate, rilevanti non tanto per il territorio riconquistato ma perché hanno dimostrato che le forze russe attualmente in campo nella “operazione speciale” (circa 180 mila uomini) non sono in grado non solo di avanzare, ma nemmeno di tenere le posizioni che avevano occupato nei mesi precedenti.
L’inerzia della guerra è passata dalla parte dell’Ucraina, che grazie alle armi occidentali (soprattutto americane) arrivate nel corso della primavera e alla mobilitazione generale delle sue forze che la permette di mettere in campo 700 mila soldati è in grado di recuperare il territorio perduto e di dare l’assalto alla Crimea, se le forze russe nella regione restano quelle che sono attualmente. Mosca non accetta la prospettiva della sconfitta, e col discorso di Putin getta le basi della controffensiva, che deve tenere conto del fatto che la Russia non può tenere il passo dei rifornimenti Nato all’Ucraina in termini di armi convenzionali.
L’unica possibilità di successo per Mosca
Si è molto ironizzato sul fatto che il governo russo abbia proibito l’utilizzo della parola “guerra” per definire l’invasione dell’Ucraina, e abbia obbligato tutti i suoi residenti ad attenersi alla definizione ufficiale di “operazione militare speciale”, facendo pure approvare una legge che punisce severamente chi usasse la terminologia sbagliata. In realtà il provvedimento era obbligato, perché la dichiarazione di guerra avrebbe implicato una serie di obblighi costituzionali, che si sarebbero conclusi con la mobilitazione generale dei riservisti, cosa che il Cremlino voleva assolutamente evitare, consapevole che ciò avrebbe stressato i rapporti fra la società e il potere. Ma col parziale insuccesso dell’operazione speciale e ora con l’efficace controffensiva ucraina le cose sono cambiate.
L’unica possibilità di successo russo sta in una pericolosissima combinazione di uso di armi nucleari tattiche e mobilitazione generale del paese. Lo svolgimento frettoloso dei referendum di annessione nelle regioni di Kherson, Luhansk, Zaporizhzhia e Donetsk serve a poter dichiarare quei territori ufficialmente russi. A quel punto essi rientrerebbero nella dottrina strategica russa riformata del 2010, in base alla quale la Russia si attribuisce la facoltà di usare le sue armi atomiche non solo in caso di attacco atomico al suo territorio o a quello dei suoi alleati, ma anche nel caso di un’aggressione al territorio russo con armi convenzionali che per la sua natura mette in pericolo l’esistenza stessa dello Stato russo. Magicamente la guerra con l’Ucraina non sarebbe più di aggressione, ma difensiva, e scatterebbero tutti i commi della dottrina strategica russa, incluso quello relativo all’uso delle armi atomiche.
La minaccia nucleare «non è un bluff»
La minaccia di utilizzarle non è affatto un bluff, come Putin si è premurato di sottolineare nel corso del suo intervento. Durante il quale ha gettato le basi ideologiche del loro utilizzo quando ha enfaticamente sottolineato che «l’obiettivo dell’Occidente è distruggerci». Le probabilità che queste armi siano utilizzate dalla Russia nelle prossime settimane è molto alta, per due motivi. Il primo è che la Russia non è in grado di tenere le sue attuali posizioni in Ucraina con le armi convenzionali: in sei mesi ha perso equipaggiamenti per un valore di 16 miliardi di dollari, scarseggia di semiconduttori per le sue armi più sofisticate e si vede costretta a importare dall’Iran e dalla Corea del Nord, paesi con tecnologie militari inferiori a quelle occidentali.
Il secondo motivo è che sia la mobilitazione parziale che la mobilitazione generale – quest’ultima più vicina dopo che la Duma il 20 settembre scorso ha riformato il codice penale – rischiano di creare problemi di tenuta al sistema russo: non è affatto detto che la popolazione russa accetti di essere mandata al fronte in condizioni nelle quali è facile prevedere un altissimo numero di perdite umane.
L’ultima opzione di Putin e la strategia di Biden
La Russia può mobilitare 2 milioni e mezzo di uomini contro i 700 mila ucraini, ma in questo momento i secondi sono meglio armati e meglio addestrati. Da questa impasse il comando strategico russo può cercare di uscire solo con l’uso di armi nucleari tattiche. Una volta usate, gli alleati occidentali dell’Ucraina potrebbero rispondere dando il via libera a rappresaglie proporzionate della stessa natura contro il territorio russo. A quel punto si creerebbero le condizioni per mobilitare tutti i russi nella difesa della patria come al tempo dell’invasione hitleriana: si potrebbe retoricamente fare appello con una qualche credibilità allo spirito patriottico russo contro la volontà occidentale di distruggere la Russia, già evocata da Putin.
Questa è comunque l’ultima opzione di Mosca: la speranza del Cremlino è che dopo l’uso delle armi nucleari tattiche Kiev e i suoi alleati occidentali accettino di sedere a una tavolo di negoziato, disposti a fare concessioni reali alla Russia. Ma è più probabile che Joe Biden scelga la strada della rappresaglia proporzionata, proprio per costringere Putin a ordinare la mobilitazione generale. Gli americani sono convinti che a quel punto la società russa si ribellerà contro l’attuale governo, che sarà costretto a dimettersi e a passare la mano a nuovi leader, disposti a riconoscere la sconfitta. Tutto questo avverrà sulla nostra pelle.
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