Tutti attendono il Natale, anche se non lo sanno (a Taiwan come in Europa)
Una visita ai grandi magazzini di Taipei in tempo di Natale ha qualcosa di sconvolgente. All’esterno la città offre il cielo grigio e umido di sempre, la gente indaffarata corre qua e là senza guardare a chi passa affianco; all’interno è un susseguirsi di luci multicolori, alberi di Natale (di plastica), decorazioni, cartelli con l’augurio (in inglese) “Merry Christmas” e il sistema audio che diffonde a tutto volume i canti natalizi: non quelli generici sulle renne o sui pupazzi di neve, ma quelli cristiani, che parlano della mangiatoia, degli angeli, del Re dei Re che è nato a Betlemme.
Il Natale consumista a Taiwan è la norma
L’atmosfera gioiosa e solare è un’ottima spinta agli acquisti: oltre a sconti sulle grandi marche di vestiti, qui si può trovare panettoni italiani, spumante, paté di fegato d’oca, sushi giapponese, biscotti tedeschi, kimchi coreano. «Questa è la tipica atmosfera di Natale che viviamo noi taiwanesi. Un’occasione in più per fare festa», mi spiega David, imprenditore locale, molti viaggi in Italia. «La gente – continua – si incontra per cenare o pranzare insieme, per brindare al Natale, ma in fondo nessuno è interessato al suo significato. Gesù è l’ultima cosa a cui si va a pensare».
In occidente il Natale consumista lotta ogni anno con il Natale religioso, senza riuscire a sgominarlo totalmente. Qui invece, il Natale consumista è la norma, grazie a un fatto semplice: i cristiani (protestanti e cattolici, insieme a qualche ortodosso) sono molto pochi; si barcamenano fra l’1 e il 2 per cento e quindi la loro influenza sulla società, come il loro annuncio, è limitato alla cerchia dei loro amici.
Un mondo che non sa ancora nulla di Cristo
Padre Fabrizio, missionario saveriano da oltre 20 anni a Taipei, fa notare che comunque le luminarie e l’occasione di consumo, in un mondo che non sa nulla di Cristo, sono un’occasione un po’ vaga per far sapere che il Natale esiste, che c’è gente che lo festeggia e che per alcuni è una festa importante. «In qualche modo, la “fortuna” del Natale è che esso viene qualche settimana prima del Capodanno lunare, questa sì, la festa più importante per i cinesi. I negozianti sfruttano il Natale come anticipo sul Capodanno e lanciano il tam-tam dei consumi uno o due mesi prima. Quest’anno poi, dopo i limiti all’economia imposti dal Covid, tutti sono ancora più impegnati a favorire i consumi».
Il sacerdote mi racconta che fino all’anno 2000, il 25 dicembre era festa. Grazie a un accordo fra il cardinale Tommaso Tien – già arcivescovo di Pechino, esiliato nel 1951 a Taiwan – e Chiang Kai shek, quel giorno si festeggiava la Costituzione della Repubblica di Cina. Per i cristiani era una mezza pacchia. Poi il presidente Chen Shui-bian, critico del passato del Guomindang, ha cancellato la festa e ora per i cristiani il 25 dicembre è un giorno di lavoro. Se non cade di domenica – come quest’anno – si va a messa al mattino presto e poi si va a lavorare con i ritmi frenetici dell’estremo oriente, che non lasciano molto spazio alla contemplazione.
La presenza attiva dei cristiani nella società
Nonostante tutto, i cristiani si ingegnano come possono per diffondere la gioia del Natale. Una parrocchia protestante, in accordo con il comitato locale, ha raccolto la lista dei poveri del quartiere e il giorno di Natale distribuisce cibo e coperte.
Parrocchie e scuole cattoliche organizzano Christmas party a cui invitano anche i loro amici non cristiani. Insieme a giochi, bevande e cibo, vi è sempre un momento in cui si spiega il perché di questa gioia per tutti. Gruppi di volontari vanno a visitare gli anziani nelle case di riposo o i malati negli ospedali offrendo loro piccoli regali, come un segno che essi non sono dimenticati. Nella cultura cinese c’è un’espressione che dice: «Se fai il male, Lao Tian [il principio originario dell’universo] ti dimentica e ti mette da parte» e questo porterà sfortuna a tutta la vita. La visita ai malati o agli anziani è un modo per esprimere che Dio non si è dimenticato di loro e che la “fortuna” è ancora tutta davanti a noi.
Tutti attendono il Natale (anche se non lo sanno)
Per far vivere e comprendere il mistero del Natale, un missionario francese ha trasformato l’abside della chiesa in un enorme presepio: un tendone azzurro, picchiettato con stelle di stagnola, copre l’intera parete dell’abside, come un avvolgente cielo di Betlemme; sotto l’altare vi è la scena della Natività e tutt’attorno i pastori. Interessante è il fatto che quando i fedeli vanno a fare la comunione avvicinandosi all’altare, essi diventano protagonisti e non spettatori: essi sono i pastori in visita al Bambino e alla Sacra Famiglia. E così sono spinti, come dice il Vangelo, a meravigliarsi e a portare la buona notizia al mondo esterno.
Il mondo esterno attende Natale, anche se non lo sa. Il pragmatismo, il carrierismo, la competizione, lo studio a più non posso che dominano la società taiwanese serve a scivolare sui problemi. Anzitutto sul problema del rapporto con la Cina, che minaccia di continuo un’invasione violenta. Mentre i caccia cinesi volano vicini a Taiwan quasi ogni giorno, la gente cerca di non pensare, il governo accresce gli armamenti e tutti sperano che il cattivo risultato dell’invasione russa in Ucraina serva da deterrente e faccia cambiare idea a Xi Jinping. Ma la pace rimane lontana se non c’è – come dice il papa – un dialogo fra le due parti e un dialogo in cui ogni interlocutore ha pari dignità.
I giovani attendono Natale, anche se non lo sanno. Karl, universitario, mi spiega che lui e i suoi coetanei sono pressati ogni giorno con esami, verifiche, studi per ottenere buoni risultati, garanzie di un futuro buon lavoro. Ma in questo modo le domande sul senso del vivere, sulla ricerca dell’essere felici, sull’amore vengono messe sotto il tappeto, rimandate a dopo, accontentandosi di un po’ di successo negli studi, di uno stipendio accettabile, lottando per emergere. Chi sente di non farcela è destinato al suicidio o alla messa da parte. La missione dei cristiani è mostrare che Dio in Gesù ha abbracciato anche la nostra debolezza e questo è il nostro compito a Natale e per tutto l’anno.
Foto Ansa
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