Suicidio assistito. Bestiario di una sentenza bestiale
È partita la caccia al cattolico che chiede l’eutanasia. I giornali di ieri erano pieni di sofferti “appelli” di malati che si rivolgevano al Papa e alla Chiesa per spiegare la loro situazione. Massima comprensione per situazioni complesse, ma non serve particolare acume per comprendere la strumentalità con cui queste situazioni vengono illuminate dall’occhio cinico dei media.
SEGNO DI CONTRADDIZIONE
D’altronde, il giochino è chiaro. Essendo le parole del Papa e di molti rappresentanti della Chiesa assai chiare, occorre enfatizzare quelle controcorrente dei “semplici” fedeli. Con tutti i suoi errori – Tempi ritiene che i cattolici e i suoi pastori avrebbero dovuto essere più coraggiosi e tempestivi nel denunciare la deriva eutanasica – la Chiesa rimane comunque l’unico segno di contraddizione rispetto allo “spirito del mondo”. Soprattutto, qui si ritiene che l’opposizione alla dolce morte abbia motivazioni razionali che non sono un privilegio di chi si professa credente.
E infatti. C’è un elemento che, evidentemente, ha spiazzato la retorica mainstream sul suicidio assistito. Perché accanto a tutti gli articoli che ieri celebravano la “compassione”, il “sollievo”, le “lacrime” che tanti sofferenti versano a causa di una società che “li vuole tenere in vita per forza”, ce ne erano altrettanti che sottolineavano un aspetto non secondario. “Fine vita, il no dei medici”, titolava ieri in prima pagina il Corriere. “No” dei medici tutti, non solo di quelli cattolici.
NO DEI MEDICI. TUTTI I MEDICI
Anche i grandi giornali, ogni tanto, sono costretti a fare i conti con la realtà. L’altro giorno Tempi ha intervistato Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, che ha spiegato perché «non possiamo collaborare al suicidio assistito. I medici tutelano la vita». Il Corriere ieri ha sentito altri rappresentanti della categoria e tutti (tutti!) erano concordi nell’esprimere profonde perplessità, tanto che, ad un certo punto, anche la giornalista Margherita De Bac è stata costretta ad ammettere che è «inutile cercare voci discordanti».
Scriveva il Corriere:
A Roma Antonio Magi, presidente di circa 45 mila iscritti, il più ampio albo europeo, è esplicito: «Il rispetto del nostro codice professionale viene prima della pronuncia della Consulta. Il Parlamento ha avuto un anno di tempo per dare norme definite e non l’ha fatto».
E ancora:
Giovanni D’Angelo, cardiologo alla guida dei colleghi di Salerno, ha vissuto questo dilemma personalmente: «Mio padre dopo il terzo ictus finì immobile a letto, lui uomo vivacissimo. Mi pregò più volte, lo sguardo puntato dritto sui miei occhi, “Anto’ tu sei medico… lo vedi come sto, perché non fai qualcosa?”. Sono stato un vigliacco, non ho avuto il coraggio di compiere un gesto che mi avrebbe segnato per tutta la vita, mi sarei sentito un figlio assassino nonostante la sua invocazione. Avrei compiuto un atto contrario alla mia missione. È giusto dare libertà di scelta ai pazienti, ma alla nostra libertà chi pensa?».
E ancora:
Secondo il presidente dell’ordine di Bologna, Giancarlo Pizza «la morte non è un nostro strumento e dunque non saremo mai esecutori di volontà di suicidio».
E ancora:
Flavia Petrini (presidente della Società di anestesia e rianimazione, ndr) annuncia l’arrivo di un documento ufficiale: «Non siamo pronti oggi ad assecondare le richieste dei pazienti. Altro conto è non perseverare con cure inappropriate quando non c’è alcuna speranza di guarigione. Anche il ministero della Salute dovrà darci una linea precisa».
E ancora:
Italo Penco presiede la società italiana di cure palliative: «Non ci può essere un ordine di scuderia, ognuno di noi ha un personale modo di sentire. Quando il malato è vicino alla fine possiamo intervenire già oggi con la sedazione profonda. Se la fase terminale è lontana i farmaci antidolorifici e il sostegno psicologico possono non essere una risposta. Se però le cure palliative venissero avviate precocemente sono convinto che riusciremmo ad evitare le richieste suicidarie. Le terapie palliative non anticipano né posticipano la morte, leniscono la sofferenza prima che diventi insopportabile».
LE VERITÀ A INTERMITTENZA DEL VESCOVO
Come si vede, dunque, c’è qualche “problemino”. E sono “problemini” grandi come montagne, non orpelli insignificanti o fissazioni di qualche talebano cattolico. Qui l’ideologia non c’entra nulla, con buona pace del vescovo di Pinerolo, Derio Olivero, che ieri su Repubblica, con circonlocuzioni furbette e frasario clericale, invitava tutti a «uscire dalle ideologie. Non serve ribadire una verità perenne senza confrontarsi con la storia che cambia, con le situazioni particolari». Appunto, verrebbe da dire. È proprio perché si fanno i conti con i casi particolari che si è contrari al suicidio assistito. Altrimenti si cade nel tranello dei radicali e dei media che enfatizzano un caso unico per farci andare di mezzo tutti gli altri casi (come ha spiegato molto bene Alberto Gambino a Unomattina). Ma poi: un sacerdote che non vuole ribadire «verità perenni» di quali verità vuole essere portavoce? Di quelle malleabili? Di quelle a intermittenza? Delle sue?
LA LACRIMA DEL PROCURATORE
Tiziana Siciliano, procuratore aggiunto di Milano, ha detto al Corriere che «mi è sfuggita una lacrima». Al di là del riverbero emotivo, c’è però un fatto contraddittorio nel suo ragionamento. Rispondendo all’intervistatore che le chiede se «la magistratura supplisce alla politica che non decide», Siciliano risponde: «Nessuno vuole assumersi ruoli di supplenza. Ogni tanto, però, accade che un’attività giudiziaria finisca con l’avere un ruolo di supplenza di cui francamente noi magistrati faremmo molto volentieri a meno».
Lei ne ha fatto così tanto a meno che ha chiesto l’archiviazione per il tesoriere dell’associazione Luca Coscioni dando origine alla sentenza della Consulta.
Foto Ansa
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