La Somalia che muore di fame è la prima vittima collaterale della guerra ucraina
Possiamo chiamarle le “vittime collaterali” della guerra russo-ucraina e di quella fra governativi e terroristi jihadisti. L’allarme era già stato lanciato ai primi di agosto, ma la risposta è stata tiepida o nulla, e oggi nel Corno d’Africa, colpito dalla più intensa siccità degli ultimi quarant’anni, la Somalia si trova sull’orlo di una catastrofe imminente: 7,1 milioni di persone affrontano un’insicurezza alimentare acuta dopo tre stagioni delle piogge consecutive quasi senza precipitazioni.
La catastrofe umanitaria in Somalia è imminente
La siccità sta aggravando l’impatto di altri fattori di stress già presenti: shock climatici ricorrenti (alluvioni), persistente insicurezza dovuta alla guerra fra governo centrale e milizie jihadiste degli Shabaab, instabilità politica. Già 750 mila persone quest’anno hanno dovuto lasciare le loro regioni a causa della siccità. Un totale di 1 milione e mezzo di bambini sotto i 5 anni soffre di malnutrizione acuta; 386 mila di questi devono affrontare una grave malnutrizione e sono a rischio di morte senza un trattamento immediato. Il loro destino, dice il Programma alimentare mondiale (Pam), si compirà fra ottobre e dicembre.
La fame potrebbe prendere il sopravvento nel giro di poche settimane in alcune regioni se il bestiame e i raccolti continueranno a morire e l’impennata dei prezzi continuerà a distruggere il potere d’acquisto. Il Programma alimentare mondiale dell’Onu sta lavorando per aumentare la sua risposta in termini di cibo e supplementi nutrizionali di emergenza per poter raggiungere un totale di 4,5 milioni di persone al mese, ma ha bisogno di 327 milioni di dollari da qui al gennaio 2023 per continuare a salvare vite umane. Invece il divario tra carestia in ascesa e risposta umanitaria si sta allargando. La catastrofe umanitaria è imminente.
La guerra tra jihadisti e governo centrale
A rendere più difficile l’intervento di soccorso è la guerra fra i jihadisti di al Shabaab, che controllano vaste aree del centro e del sud della Somalia, e lo stato centrale ora guidato dal presidente Hassan Sheikh Mohamud, tornato al potere nel maggio scorso, dopo essere già stato capo dello Stato fra il 2012 e il 2017. Durante il suo primo mandato Mohamud aveva promesso di liberare il paese dalla presenza degli islamisti affiliati ad al Qaeda nel giro di due anni, ma senza successo.
Nel mese di settembre, dopo un assalto di al Shabaab a un convoglio umanitario nella regione di Hiran che aveva causato una ventina di morti, il presidente ha ordinato un’offensiva su larga scala che coinvolge milizie locali del clan hawiye (chiamate Macawisley), soldati delle forze armate somale e del contingente militare dell’Unione Africana presente da 10 anni nel paese. L’attacco ha permesso di riconquistare decine di villaggi nelle regioni di Hiran, Galguduud e Bay, nei pressi della città di Baidoa (dove convergono migliaia di donne e bambini provenienti dall’interno colpito dalla carestia). Grazie al supporto delle truppe americane di stanza in Somalia i governativi hanno pure eliminato uno dei fondatori di al Shabaab presenti nel paese, Abdullahi Nadir, destinato a succedere al leader principale Ahmed Diriye. Dopodiché i terroristi sono tornati all’offensiva, colpendo coi loro camion bomba basi militari nell’Hiran e causando decine di morti.
La carestia è più forte nelle zone controllate da al Shabaab
L’offensiva della coalizione internazionale e la controffensiva degli al Shabaab era stata preceduta da attacchi altamente simbolici di questi ulimi, come l’attacco all’hotel Hayat nel cuore di Mogadiscio, poco distante dal palazzo presidenziale, nell’agosto scorso che aveva causato 21 morti, e l’attacco in profondità in territorio etiopico nel mese di luglio, allorché 1.500 combattenti erano penetrati per 150 km all’interno della Somalia Occidentale, stato facente parte della Federazione etiopica abitato da somali etnici. L’Etiopia fornisce infatti la maggior parte delle forze dell’Unione Africana che hanno aiutato a sloggiare al Shabaab da Mogadiscio nel 2010 e ancora permettono all’esercito somalo di contenere le offensive jihadiste.
L’insurrezione di al Shabaab dura da 15 anni, e ha creato una situazione per cui in alcune regioni del paese l’istituzione statale agli occhi dei somali è costituita dagli affiliati ad al Qaeda. Costoro garantiscono una rete di tribunali islamici ai quali la popolazione delle zone occupate (e non solo!) fa riferimento per ottenere sentenze rapide ed effettive in casi di contenzioso. Gran parte dei somali che stanno più duramente soffrendo la carestia nel centro-sud del paese si trovano nelle aree controllate dagli al Shabaab, e non è un caso che i profughi da queste aree siano costituiti quasi esclusivamente da donne e bambini. Gli Stati Uniti interdicono la fornitura di aiuti ufficiali nei territori sotto il controllo dei jihadisti, ma Ong e autorità tradizionali locali provvedono ugualmente a canalizzare soccorsi, sui quali l’organizzazione effettua prelievi e imposizioni fiscali.
In Somalia si inizia a morire di fame
Nel frattempo il corrispondente della Bbc da Baidoa invia servizi sulle famiglie stremate che arrivando dall’interno approdano ai campi per gli sfollati attorno alla città. In quasi tutte uno o più figli in tenera età sono morti di inedia o di malattia durante l’esodo dai villaggi verso Baidoa. «Ho visto mia figlia Farhir di tre anni morire davanti a me e non ho potuto fare nulla», racconta Fatima, una signora che ha camminato per 15 giorni insieme ai suoi nove figli prima di raggiungere Baidoa. «La tenevo in braccio da dieci giorni. Abbiamo dovuto lasciarla sul ciglio della strada: non avevamo la forza per seppellirla. Abbiamo sentito le iene avvicinarsi».
Critiche alla scarsa preparazione delle autorità locali e al fatto che i combattimenti avviati dal governo contro le roccaforti di al Shabaab aggraveranno la carestia vanno diffondendosi fra la popolazione. Ad esse l’Inviato speciale per la siccità e il cambiamento climatico in Somalia, figura espressione del gabinetto del capo dello Stato, Abdirahman Abdishakur Warsame, risponde: «È un compito impegnativo rispondere alla siccità, combattere contro al Shabab e fare una campagna per accedere ai finanziamenti internazionali per la giustizia climatica». La carestia del 2011 causò in Somalia circa 250 mila morti.
Foto Ansa
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