Seduti al desco con Massobrio e i suoi amici, s’intravede l’Infinito
Cronache di mezzo lockdown / 21
Lascio per il momento da parte il dono dell’illustre superiore di tutti i vaticanisti. Che mi ha spedito il suo Gianni Baget Bozzo, Per una teologia dell’omosessualità, a cura di Luigi Accattoli. Volume che già nella grafica di copertina – con presunto autore post mortem e vivente curatore oltremodo zelante – rivela il disegno di trasformare sedici testi d’occasione e una frase fatta – ma priva di riscontro non ideologico – nella teologia dell’omosessualità, «perché omosessuali si nasce».
Dunque voglio far sapere a Luigi Accattoli che sono suo estimatore per la scaltrezza e tenacia della sua persuasione cattolico-democratica. Ma lo pregherei di volgere anche lui per un momento lo sguardo a quest’altro libro. Ecco di cosa si tratta.
Paolo Massobrio firma e mi spedisce in cima alla Gallura Del bicchiere mezzo pieno. Quando nella vita conta lo sguardo. Titolo che bastava la (prima) metà ed era già perfetto. Una specie di galleria di amici più o meno famosi, che letta nell’altra faccia del medaglione, altro non rivela che l’autobiografia di una vita piena, avventurosa, lieta, ricca, felice, grazie all’Ideale giocato nella partita della passione professionale più grande: il gusto (messo a reddito di gran giornalista e imprenditore) del vino, del pane e del companatico.
La prima impressione è quella che conta. Così, quando impaziente mi ha whatsappato per sapere se la spedizione era arrivata e in realtà cercava mie reazioni – lo conosco da trent’anni il pupo –, gli ho risposto per lo stesso mezzo che ormai ha sostituito la parola parlata: «Beh, la prima cosa che si coglie nel tuo libro è la miriade di rapporti e la certezza di una passione assistita dal senso della vita, con la fortuna del tuo capo Silvana!».
Un testo da avere sul comodino. Scritto da un vero giornalista. E scritto anche bene. Bene perché possiamo dire del suo piccolo grande olimpo di ritratti e di vita, ciò che Massobrio scrive dell’amico Tony Hendra, autore di Padre Joe, romanzo di successo clamoroso in America. E zero nella traduzione italiana. Anche questo “sguardo” in volume di Massobrio potrebbe non essere accettato e vendere zero. Perché come nel caso Hendra, «il potere ama il dubbio, la divisione tra la gente, sopra cui può imperare. Il potere vive sulla melma della stupidità umana, su chi si erge a misura di se stesso, relativizzando ogni legame, da quello famigliare a quello con una storia lunga secoli. Meglio il teatrante del suo ego, che può sparire dal palco da un momento all’altro senza che qualcuno se ne accorga, senza lasciare traccia».
Ecco. Prendete questa sfilza di giudizi di un uomo consapevole (Paolo Massobrio) e rovesciatela nel suo esatto contrario illustrato non per discorsi ma per fatti, persone, circostanze, episodi, affari, professione, moglie, Langhe, Monferrato, vino, pietanze, alberi, bambini… e avete questo grande affresco di vita concepito per grazia, necessità e virtù nel bel mezzo lockdown che non finisce mai.
Noi che come l’amica giapponese di Massobrio, Motoko Iwasaki, abbiamo vissuto da buoni e cattivi selvaggi, nell’amico giornalista, imprenditore, scrittore solo in apparenza più anziano di noi, scorgiamo la plenitudine e la compiutezza di un incontro esploso fin nella profondità delle radici materiche di uno nato anagraficamente a Milano. Ma biologicamente nel borgo di Masio in Monferrato. E tornato periodicamente a rinascere «in quello strano Brasile di Rocchetta Tanaro» cantato dal comune amico e tempista Bruno Lauzi.
Non sto a recitare il breviario di una storia di rango veramente biblico (giro Arca del vino di Noè). Dico soltanto che il libro di Massobrio è la dimostrazione dell’imperfezione dell’esistenza di Dio data dai teologi, per tramite della dimostrazione perfetta data dagli esseri umani che vivono all’altezza del proprio desiderio. Rosario di nomi, storie, avventure che, come ogni vera amicizia – amicizia e/è Destino –, vanno ad aprire la fessura dove da una barbera Monella o da un piatto di rabaton chez Kazuki, chiunque, ma proprio chiunque, perfino un torinese cortese, può affacciarsi sull’Infinito.
Dico torinese perché mi piace da sempre birbare con la vecchia razza Savoia. Ma non scherzo al desco di Babette al quale Paolo ci ha compiaciuto invitare regalandoci il suo mondo di amici e di relazioni amicali e perciò veramente professionali. È proprio il caso di dire: gusto Divino. Infatti, Massobrio possiede la preziosa grazia cristiana di saper mettersi in tasca anche la bruttezza del potere. Dissimulando e trasformando anche la cattiveria subita dal collega illustre (paralizzato nell’ideologia per apparire puro in spirito e puro nel denaro) in energia creativa, positiva, efficace.
Massobrio che ha fatto della sua impresa – di Golosaria piuttosto che di Resistenza Umana – un punto di relazione di bene accertabile e sicuro, per chiunque si imbatta e si sia imbattuto in lui. Vale a dire in un uomo e una donna, sua moglie Silvana, senza la quale Paolo sarebbe forse un grande snob. O forse un mulo dell’enogastronomia. Ma non il genio del pranzo di Babette che è diventato sotto la cura «del mio capo».
Mi spiace non averlo tanto seguito come si deve anche se Massobrio fu fin dagli inizi convocato dal fondatore di Tempi a collaborare. Ma sapete che la vita è bella perché è varia. Ciononostante nutritevi del suo “sguardo”. Capirete perché l’uomo è un Ribot non estraneo alla scuderia di questo giornale.
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