Scuola. Una cultura cristiana nasce solo dall’esperienza

Di Matteo Foppa Pedretti
22 Maggio 2021
Se l’esperienza è luogo della comprensione del mondo, all’esperienza occorre un luogo. Perché oggi questo luogo manca. Drammaticamente.
Scuola. Ragazza seduta al banco in classe

[afto]

Quarto articolo di una serie – qui il primo, il secondo e il terzo

L’altra grande questione che il prendere le ultime due righe dell’articolo di don Villa e usarle come cifra del DOVER fare una scuola pone è che occorre accettare il fatto che tutta la nostra impalcatura liberal – maritaniana della autonomia dei metodi e della distinzione dei piani (almeno per come l’abbiamo compresa e vissuta in generale e nella stragrande maggioranza dei casi e delle situazioni) rischia di crollare. E con questa, crolla la barriera che finora ci ha permesso di non esporci a una accusa che sentiamo come infamante: “Integralisti!”.

Una grammatica condivisa

E questo è effettivamente un problema di non facile soluzione, che non ha probabilmente bisogno della individuazione di una nuova “philosophia christiana”, o di un funambolico esercizio di equidistanza e compromesso tra ragione e sentimento, pensiero e fede, natura e grazia. Ma di due operazioni più umili, più aperte e forse più interessanti.

La prima credo sia la presa d’atto che l’atteggiamento epistemologico delle scienze e dei loro sempre più coessenziali apparati tecnologici (soprattutto delle cosiddette “soft sciences”, storicamente afflitte da un senso di inferiorità per non essere a sufficienza matematicamente incontrovertibili) e l’uso cultural – politico che se ne fa è ormai lontano e dimentico delle antiche radici e dei remoti debiti relativi a un sostrato culturale che un tempo era cristiano.

Questo non significa che siano di per sé cattive, ma non possiamo più illuderci che esista una grammatica condivisa che forse ha resistito non oltre i ruggenti anni Sessanta. Sono un pensiero post – cristiano (la prima epoca in cui il pensiero è senza Cristo dopo Cristo, direbbe Péguy), spesso tentato di essere ideologico dalla sua stessa potenza di trasformazione politica del mondo, dalle sue agende e dai suoi programmi di “World Reshaping” (di cui la scuola è spesso luogo di trasmissione e diffusione). Occorrerebbe cominciare a tenerlo presente.

Lo spessore della realtà

La seconda è la riconsiderazione dell’esperienza come luogo sorgivo della comprensione del mondo (e quindi dell’incontro con Cristo, che del mondo è l’intima e ultima consistenza).

Esperienza è probabilmente una delle parole più abusate del vocabolario, delle più malintese e equivoche. Se c’è qualcosa che si è davvero rarefatto nel percorso educativo delle ultime due generazioni è l’esperienza. Sia come contatto reale, fisico, intellettuale e spirituale con lo “spessore” della realtà, sia come giudizio, riflessione e memoria di questo contatto.

Come interconnessione di questo contatto con altre esperienze proprie e altrui, presenti e passate, in un quadro di significato il cui senso non sia già ideologicamente predeterminato.

All’esperienza occorre un luogo

Se l’esperienza è luogo della comprensione del mondo, all’esperienza occorre un luogo. Perché oggi questo luogo manca. Drammaticamente. Questo luogo, nelle circostanze in cui siamo, può essere quasi solo la scuola. Societas di maestri, alunni e famiglie. Istituzione sociale dove l’esperienza diventa possibile (e non è ridotta al solo “provare”, che alla fine significa emozionarsi, o al mero “mettere in pratica” la teoria di turno…) perché essa – l’esperienza – è l’architrave su cui una scuola viene pensata, realizzata e vissuta. 

Fuori dalla gabbia

«Oppure come riuscite, essendo loro piccoli oramai diventati incapaci di pensiero, a ricollegarli con la realtà se non li portate con naturalezza a qualche momento di stupore nel silenzio» dice ancora don Villa. E, aggiungo io, nel lavoro, nell’incontro con altre persone, nel sovvenire al bisogno umano di un altro?

Portarli con naturalezza a qualche forma e occasione di incontro con lo splendore e lo spessore del reale, fuori da sé: è cosa da Magistra, e da Mater…

Fuori da sé. Fuori dalla gabbia della “gestione delle emozioni”. Centrifughi. La realtà è Cristo.

4 – fine. Foto Ansa

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