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Rwanda, a 25 anni dal genocidio. «Ho perdonato l’uomo che uccise i miei figli»

Tra l'aprile e il luglio del 1994 almeno 800 mila membri della minoranza Tutsi furono trucidati dagli Hutu. Anne-Marie Uwimana racconta la sua storia di morte e redenzione

Leone Grotti
07/04/2019 - 2:00
Esteri
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«Il giorno in cui l’hanno ucciso, mio figlio aveva confidato a un amico di avere un presentimento: qualcuno sarebbe arrivato a tagliargli la testa. Ogni volta che ci penso mi si spezza il cuore». Anne-Marie Uwimana non può fare a meno di piangere mentre racconta alla Bbc come sono stati barbaramente assassinati i suoi quattro figli e il marito. Sono passati ormai 25 anni da quell’aprile del 1994, quando la ferocia e la follia umana mostrò il suo volto più atroce in Rwanda. Nel genocidio perpetrato dagli estremisti di etnia Hutu morirono almeno 800 mila membri della minoranza Tutsi. Il tema è ancora estremamente sensibile nel piccolo paese africano, ma Anne-Marie ha perdonato l’uomo che ha ucciso due dei suoi figli.

800 MILA MORTI IN 100 GIORNI

Tutto si svolse in soli 100 giorni. L’85 per cento della popolazione ruandese è di etnia Hutu, eppure i Tutsi avevano a lungo dominato il paese. Nel 1959, gli Hutu rovesciarono la monarchia e decine di migliaia di Tutsi fuggirono nei paesi confinanti. In esilio, nacque il gruppo ribelle Fronte patriottico rwandese (Fpr), che nel 1990 invase il Rwanda e continuò a combattere fino al 1993, quando fu firmata la pace. Il risentimento degli Hutu, però, è sempre rimasto vivo e quando la notte del 6 aprile 1994 venne abbattuto l’aereo su cui stava volando il presidente del paese Juvenal Habyarimana, di etnia Hutu, i Tutsi furono accusati dell’omicidio e si scatenò l’inferno.

«ELIMINIAMO GLI SCARAFAGGI»

L’ala giovanile del partito al potere, l’Interahamwe, fu armata e informata su chi doveva uccidere, distretto per distretto, città per città, quartiere per quartiere. I Tutsi venivano riconosciuti dalla carta di identità, dove era indicata l’etnia di appartenenza. Nell’indifferenza dell’Onu e delle potenze occidentali, famiglie che avevano vissuto fino a quel momento fianco a fianco si massacrarono. La propaganda Hutu, diffusa dalla radio Rtlm e da alcuni giornali, soffiava sul fuoco gridando: «Eliminiamo gli scarafaggi». In 100 giorni furono uccise 800 mila persone, soprattutto a colpi di machete, tra episodi di inaudita violenza ed esempi di santità e coraggio. Il 4 luglio 1994 il Fpr conquistò il paese, ponendo fine ai massacri e costringendo due milioni di Hutu a scappare all’estero. Il leader del Fpr, Paul Kagame, è presidente del Rwanda dal 2000. Nel 2017 è stato rieletto per la terza volta con il 98,63 per cento dei voti.

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La riconciliazione è ancora un tema delicato e sospeso. Una corte penale internazionale è stata istituita tardi, nel 2002, senza riuscire a processare i principali responsabili del genocidio. Il Tribunale penale internazionale per il Rwanda, istituito dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, è invece riuscito a imputare e condannare dopo lungo tempo 93 persone, tra le quali decine di funzionari del passato governo Hutu. Nel paese, 12 mila tribunali locali, chiamati “gacaca”, sono stati istituiti nei villaggi per processare centinaia di migliaia di sospettati.

«HO PERDONATO CELESTIN CON L’AIUTO DI DIO»

Tra questi c’è anche Celestin Habinshuti, il vicino di casa di Anne-Marie che uccise due dei suoi figli e che è stato condannato a 10 anni di carcere. La donna ricorda ancora il giorno in cui «hanno fatto irruzione in casa mia con bastoni e machete. Celestin ha tagliato la gola ai miei figli, mentre io sono riuscita a scappare». Ricorda anche quando, finito il genocidio, lo vide tornare nel villaggio, camminando per strada come se niente fosse. «Quando mi ha visto si è nascosto il viso, il mio cuore batteva all’impazzata, temevo fosse tornare per uccidere anche me».

Se oggi Celestin e Anne-Marie possono camminare fianco a fianco è grazie all’opera di un sacerdote cattolico, che ha convinto il primo a chiedere perdono e la seconda a concederglielo. «Quei bambini non avevano alcuna colpa», dichiara alla Bbc. «La loro morte è stata un’ingiustizia causata da un’ideologia e una leadership folli. Provo disprezzo e disgusto verso me stesso per il male che ho compiuto».

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Ma come è avvenuto il perdono? «Quel sacerdote», spiega Anne-Marie, «mi ha detto che solo io avevo le chiavi per liberare Celestin dal suo senso di colpa. E solo lui aveva le chiavi per liberare me. Se credete questo, ci ha detto, con l’aiuto di Dio verrete sanati». Aggiunge Celestin: «Ho implorato il perdono di tutti i sopravvissuti. Sono vivi nonostante io abbia agito come un assassino feroce. Se Anne-Marie è viva, è solo merito di Dio. Lui l’ha salvata».

@LeoneGrotti

Tags: genocidio rwandatutsi
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