«Si muore una volta, non due. Il mio messaggio continuerà, anche se mi ammazzano»

Di Giulia De Matteo
25 Gennaio 2015
Dalla sua storia è stato tratto il film "Hotel Rwanda". «Io mi sarei salvato, ma non mi sarei sentito mai più libero». Intervista a Paul Rusesabagina, a Torino per partecipare alla “Winter School"

Rusesabagina-winter-school«Si muore una volta, non due. Il mio messaggio continuerà, anche se mi ammazzano», sentenziano due occhi vispi in un volto serio, davanti a un gruppo di giornalisti. È il volto di Paul Rusesabagina, il direttore dell’hotel de Mille Collines (l’Hotel Rwanda del famoso film di Terry George)  che diede rifugio a oltre 1200 hutu e tutsi durante il genocidio del ’94, abituato agli attentati, alle minacce, alle aggressioni e anche alle cerimonie annullate. Non è rimasto troppo sorpreso della decisione del Comune di Torino di cancellare la cerimonia di consegna della cittadinanza onoraria, a seguito della protesta ufficiale dell’ambasciatore, con tanto di minaccia di ritiro del Paese da Expo 2015.

«Non entro nel merito di scelte di politica interna di altri Paesi, ma c’è un modo di relazionarsi meno violento» ha dichiarato con molto rammarico Silvio Magliano, vice Presidente vicario del Consiglio comunale. Nonostante la “medaglia presidenziale per la libertà” conferitagli nel 2005 dal presidente degli Stati Uniti George W. Bush, ci sono in circolo alcune malignità sul suo conto e i rapporti con il suo Paese restano difficili. Paul Rusesabagina non ha mai smesso di parlare, raccontare e denunciare quanto avvenuto e avviene in Rwanda oggi, di come l’etnia sia un’arma a disposizione del potere, di come le divisioni hutu e tutsi in realtà non esistano e di come siano state create ad hoc per governare: «Io provengo da una famiglia mista e ho una famiglia mista. Oggi ci sono di nuovo molti matrimoni misti. Ciò che abbiamo visto in Rwanda e che vediamo in molti altri conflitti non dipende dalle persone, ma dal potere».

Come il Virgilio dantesco, Paul ci conduce nella spirale infernale del genocidio del ’94 e ogni dettaglio è un girone più in giù. Come si diventa capaci di gesti di bene in una simile mattanza? «Esiste solo un modo per rimanere persone: ascoltare la nostra coscienza. È l’unico consigliere che non confonde il bene con il male. Era il 1994, avevo già oltre 1200 persone nascoste nel mio hotel. Ad un certo punto, grazie a certi contatti, mi venne offerta la possibilità di scappare dal Rwanda: ero il primo di una lista, ma se io me ne fossi andato, le persone che stavo proteggendo sarebbero certamente state uccise. Io mi sarei salvato, ma non mi sarei sentito mai più libero. Non avrei più potuto sedermi a tavola, mangiare, stare con gli altri, insomma vivere. Così ho deciso di restare». E di raccontare per non dimenticare.

Per questo ha accettato l’invito a partecipare come ospite alla “Winter School – L’arte della politica”, la scuola fondata dall’Associazione Difendiamo il Futuro per sostenere, educare e valorizzare la dimensione politica dell’uomo attraverso grandi maestri e testimoni. Il tema dell’edizione 2014-2015 è “To be just: questioni di giustizia e di memoria”, Paul Rusesabagina non poteva mancare.

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