
Chi (non) fa da sé, fa per tre. Con le reti d’impresa, le pmi italiane stanno rispondendo alla crisi
«Con-correre per competere. Le reti d’impresa tra territorio e globalizzazione» è il titolo della ricerca realizzata dalla Fondazione Costruiamo il Futuro e presentata lunedì dal ministro delle Infrastrutture e Trasporti, Maurizio Lupi, e dal presidente di Sace, Giovanni Castellaneta. La ricerca, edita dal Sole 24 ore, è stata curata da Raffaello Vignali, presidente della Commissione attività produttive alla Camera, e da Paolo Preti, docente di Organizzazione aziendale presso l’Università della Valle d’Aosta e di Organizzazione delle Pmi all’Università Bocconi, e ha per oggetto il contratto di rete come strumento al servizio delle piccole e medie imprese italiane per far fronte alla crisi e alle sfide poste dalla globalizzazione.
DI COSA SI TRATTA. Il contratto di rete, disciplinato dalle leggi 33/2009 e 122/2010 è una forma di coordinamento di natura contrattuale tra imprese. È rivolto soprattutto a quelle di piccola e media dimensione che intendono aumentare la loro forza sul mercato senza volersi, però, fondere o unire sotto il controllo di un unico soggetto.
Le ragioni principali che spingono le imprese a creare reti, secondo la ricerca, sono «il perseguimento di sinergie sulle politiche commerciali (28,8 per cento, di cui un terzo circa rivolte ai mercati esteri), seguite dalla volontà di effettuare produzioni in comune (25,6 per cento), di condividere macchinari (17,4 per cento) e di realizzare in comune attività di innovazione e di ricerca e sviluppo (23,6 per cento)».
A giugno 2013 erano 707 i contratti di rete sottoscritti dalle 3.681 imprese che hanno deciso di adottare questo innovativo strumento. «E non è secondario osservare la velocità con cui la sottoscrizione di questi contratti è avvenuta nel tempo», scrive Preti. Se, infatti, «al 31 dicembre 2010 le reti formalizzate erano 25 per un totale di 157 imprese, esattamente un anno dopo erano già 251 per 1.350 imprese coinvolte».
QUALCHE ESEMPIO. I casi raccontati nella ricerca sono molteplici e diversi. Ci sono le reti Chp-Net e Crisalide costituite rispettivamente da due e tre imprese. Di Chp-Net fanno parte Ici Caldaie di Verona e Sofcpower di Mezzolombardo (Tn). La prima produce caldaie, mentre la seconda è specializzata in attività di ricerca e prototipazione di celle a combustibile a ossidi solidi (praticamente pile che vanno a ossido solido). Insieme stanno lavorando a un progetto di celle per la cogenerazione la cui proprietà è suddivisa al 50 per cento. Crisalide, invece, è stata costituita da Dolomiti Energia, una società multiutility della provincia di Trento, Sofcpower e Trillary, una spin-off del progetto Crisalide. L’ambito è sempre quello della green economy e l’obiettivo è quello di dotare il Trentino di una filiera di sistemi di riscaldamento basati sulla micro-cogenerazione, una soluzione competitiva a livello mondiale e, pertanto, potenzialmente esportabile in altri territori, nazionali e non solo.
Poi ci sono Diconet, la rete in cui operano una ventina di piccole imprese specializzate nella progettazione, produzione e assemblaggio di macchine automatiche, concentrate in Emilia-Romagna, Infrabuild, la rete d’imprese che in Lombardia ha permesso a una decina di imprenditori delle province di Varese, Bergamo e Monza e Brianza di mettersi insieme per non soccombere alla crisi dell’edilizia. L’obiettivo, infatti, è quello di proporre soluzioni costruttive alternative altamente innovative, dalla progettazione alla realizzazione. Per questo della rete fanno parte società di ingegneria, un’immobiliare, costruttori, elettricisti, e uno specialista in coperture. Sempre in Lombardia c’è anche Ribes, una rete di imprese biomedicali altamente tecnologiche e specializzate.
I PICCOLI DIVENTANO GRANDI. A detta di Carlo Edoardo Valli, presidente della Camera di Commercio di Monza e Brianza, il contratto di rete è una «risposta efficace e moderna alle difficoltà del momento in quanto permette alle aziende di crescere, diventare grandi e quindi internazionalizzare, ricercare nuovi stimoli e frontiere di sviluppo e presentarsi con un maggior appeal dinnanzi al sistema bancario o finanziario». In particolare, come scrive Antonio Tajani, vicepresidente della Commissione europea e commissario europeo all’Industria, «le reti sono una risposta all’esigenza di aumentare la massa critica» delle nostre imprese che, pur offrendo quasi sempre prodotti di «qualità», «sono spesso troppo piccole per affrontare gli investimenti necessari per essere competitive» sui mercato globali.
Ciò di cui, infine, il contratto di rete avrebbe bisogno per consentire alle imprese italiane di crescere ancor di più sui mercati internazionali, sono nuovi sgravi fiscali, oltre ai 40 milioni di euro finora concessi per gli anni 2011, 2012 e 2013. La ricerca suggerisce di portare le risorse disponibili almeno a 100 milioni di euro. Anche se, conclude Vignali, oltre alle forme di incentivazione fiscale, la vera sfida per la politica industriale sarebbe quella di «creare meccanismi di premialità» per il contratto di rete. «Per esempio, meccanismi che avvantaggino le reti d’impresa in tutti bandi pubblici: dalla ricerca e innovazione, all’internazionalizzazione, dalle misure finanziarie a quelle previdenziali». Meccanismi che, precisa Vignali, spetterebbe tanto allo Stato quanto alle Regioni e agli Enti locali introdurre nell’ordinamento.
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