«Renzi? Meno sogni, più Marchionne. I mercati scommettono che rottamerà la sinistra conservatrice»

Di Matteo Rigamonti
08 Marzo 2014
La politica economica del nuovo governo vista dall'ex ministro Francesco Forte: «La riforma del lavoro non funzionerà. L'ha inventata Tito Boeri»

«L’Italia deve mettere mano al suo debito pubblico molto elevato e alla sua debole competitività. Ambedue queste fragilità hanno le proprie radici in una perdurante bassa crescita della produttività». Così la Commissione europea ha fotografato l’impasse del nostro paese rispetto agli annosi problemi della sua economia. Difficoltà che in questi ultimi anni si sono ulteriormente aggravate senza che nulla fosse stato fatto per correggere le storture all’origine. Un «compito a casa» che ora tocca al nuovo governo Renzi affrontare. Che questo gli piaccia o meno.

A fare il punto per tempi.it su quanti passi avanti sono stati compiuti da Monti e Letta negli ultimi anni (pochi) e quanti ne restano da fare (molti) è l’ex ministro delle Finanze Francesco Forte, commentatore economico di Libero e del Foglio, che dice: «Se il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan davvero riuscisse a racimolare 5-6 miliardi di euro per ridurre il cuneo fiscale, farebbe buona cosa a impiegarli tutti per ridurre le tasse sulle imprese, non sui redditi da lavoro e nemmeno frammentarne la destinazione».

Professore, è vero che, come ha detto Renzi all’Europa, «l’Italia sa perfettamente cosa deve fare e lo farà»?
Sarà, ma finora a me risulta soltanto che il debito in eccesso pesi ancora troppo sui conti pubblici, mentre non è stato fatto nulla per modernizzare l’economia. La Commissione europea, del resto, si è limitata a rammentare a tutti quali sono le riforme ancora da attuare; riforme che sia la Commissione sia la Bce avevano già sollecitato dalla fine del governo Berlusconi in poi, ma che purtroppo non sono mai state attuate, se non in parte limitata, né dall’esecutivo tecnico di Monti né da quello politico di Letta. O che addirittura, come nel caso della riforma Fornero sul mercato del lavoro, hanno introdotto risposte negative ai problemi reali del Paese, non adottando alcuna misura pro crescita.

In questi due anni e mezzo cosa è cambiato?
Due governi, appoggiati dalla medesima maggioranza, si sono succeduti senza che una sola politica di taglio della spesa pubblica fosse adottata. Non si sono visti né tagli lineari né tagli di altra natura. Con il risultato che il rapporto del debito sul Pil, che era pari al 118 per cento, in tre anni è salito al 132 per cento. Prima, almeno, c’era crescita; ora, dopo la decrescita, la ripresa è più stentata che mai. Non sorprende che le osservazioni della Commissione europea siano ancora una volta critiche.

La crisi economica, però, non può essere soltanto colpa della politica.
Certo che no, ma qualcuno dovrà pur spiegarci perché la Spagna, intanto, per fare un esempio, si sta riprendendo: ha riformato il mercato del lavoro, la disoccupazione sta diminuendo e il saldo della bilancia dei pagamenti con l’estero sta tornando positivo. In Italia, invece, non è cambiato praticamente nulla. E ciò non è successo perché le politiche economiche della sinistra e dei suoi gruppi di potere sono da sempre contrarie alla produttività. Ancora oggi, infatti, la sinistra persegue un modello economico neocorporativo, che, però, a differenza di quello fascista, non mette mai al centro dei suoi interessi la produttività. E questo è anche il motivo per cui i mercati guardano con maggiore fiducia al nuovo governo Renzi.

Sta dicendo che Renzi gode di simpatie in ambito internazionale?
Questo è ciò che Alan Friedman sul Corriere ha provato a farci credere… ma lo spread non si è ridotto perché Renzi è simpatico; si è ridotto, piuttosto, perché Renzi sta provando a rottamare culturalmente comunisti, ex comunisti e cattocomunisti, riducendo a un ruolo marginale la loro presunta superiorità etica e intellettuale. Anche in ambito economico. Renzi, infatti, che è un neodemocristiano, è avverso alle loro concezioni economiche e ai mercati è parso finalmente possibile che anche in Italia ci potesse essere un dibattito sulle misure da adottare. Ai mercati, inoltre, piace anche una legge elettorale che tende a favorire il bipartitismo di coalizione che vuol dire maggiore stabilità dei governi. Però non è che a Renzi manchino i problemi secondo me.

E quali sono i problemi di Renzi?
Innanzitutto, c’è un problema interno al Pd, che è quello che ho appena provato a spiegare. Mi riferisco al fatto che l’approccio “efficientistico-bocconiano”, chiamiamolo così, di Renzi all’economia non piace a buona parte della sinistra. Di contro, c’è anche da dire che le sue proposte sono pure utopie intellettualistiche, stranezze irrealizzabili, come è evidente ad esempio per la riforma del mercato lavoro inventata da Tito Boeri, uno che non ha mai visto nessuno lavorare e nemmeno qualcuno fare un bilancio. Le idee che propone Boeri, del resto, genererebbero sicuramente tanti disoccupati e possono andare bene in America, forse, ma certamente non in Italia.

Cosa ci vuole per l’Italia?
Ci vuole la “riforma Marchionne”, un modello che ha funzionato a Detroit, funziona in Germania e può funzionare persino a Castellammare di Stabia. Che cosa può generare produttività nell’immediato, che è ciò di cui ha più bisogno l’Italia? Semplice, un utilizzo più efficiente delle risorse. E Marchionne, che se ne è accorto, cosa ha fatto? Ha detto ai suoi dipendenti che se volevano guadagnare come prima dovevano lavorare di più. In Italia, infatti, puntare tutto sulla flessibilità non è possibile, rischieremmo di far chiudere imprese strategiche. Per questo penso che la proposta di Renzi manchi di realismo. E i programmi per la crescita non si fanno certo ristrutturando le scuole. La sua è una visione della politica, e della politica economica in particolare, giovanilistica, idilliaca e minimalista. Non va bene per un paese come il nostro, obbligato a marciare ad alto contenuto tecnologico se vuole competere. Per rilanciare l’economia italiana nei mercati globali c’è bisogno di gente acuta, intuitiva, anche arcigna se vogliamo. Renzi, da questo punto di vista, manca di tensione culturale e fa ancora discorsi di sinistra: promette la felicità a tutti e il suo programma è imbevuto di questa impostazione. Un’impostazione che però non reggerà alla prova dei fatti. È lo stesso motivo per cui, come già ebbi a dire nel 1994, la sinistra italiana è fallita.

@rigaz1

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5 commenti

  1. beppe

    abbiamo uno stato pachiderma, fatto di parassiti che guadagnano tantissimo e non producono nulla se non burocrazia. e questo pachiderma, che finora si è alimentato fruttando le formiche del privato, ora si illude di continuare a vivere schiacciando addirittura le piccole formiche, che non si incazzano neppure, ma si suicidano.

  2. francesco taddei

    renzi ha due strade davanti: o scendere a compromessi e vivere a braccetto con i conservatori del pd, rinnegando ciò che si prefiggeva o cercare di rinnovare culturalmente, questo però porta alla spaccatura di una parte del partito e alla perdita delle elezioni.

  3. angelo

    Ma cosa volete che rottami Renzi?
    Le sue colleghe in parlamento baterano di “parità di genere”….
    Non è più di moda paralare di parità di sessi.
    Oltre alle quote rosa si sdaranno anche le quote arcobaleno.
    Su 10 ministri ce ne dovranno essere 3 maschi, 3 femmine, 1 gay, 1 lesbica,

    1. Andrea (uno dei tanti)

      Impara a scrivere e a contare fino a dieci prima di criticare!

      1. Giannino Stoppani

        Caro Andrea dei Tanti, se fosse obbligatorio saper scrivere e contare fino a dieci per inserire un commento, tu finora non ne avresti postato nemmeno uno.
        Per la serie “la trave nel mio occhio non mi impedisce per nulla di scorgere il bruscolino che hai nel tuo!”

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