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Home Politica

I referendum radicali, l’amnistia, Berlusconi. Intervista a Marco Pannella

Marco Pannella si confessa a Tempi: l’indispensabile amnistia e il metodo volteriano del pacchetto referendario. Per dare al popolo la libertà di pensare e di scegliere anche il “no”

Luigi Amicone
08/09/2013 - 6:40
Politica
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Sembra non abbia più fiato l’uomo che qui di seguito ritiene a ragione (è un dato statistico e anagrafico inconfutabile) e a torto (l’errore resta errore anche se compiuto da una maggioranza di popolo cattolico) che furono le masse cattoliche a far vincere divorzio, aborto e, in futuro, eutanasia. E il medico personale gli consiglia di non sprecarne più, di fiato, dopo il tour de force di satyagraha e faccia a faccia degli ultimi giorni. Prima Silvio Berlusconi sceso dalla sua prigione dorata a Roma per firmare i referendum e affratellarsi in conferenza stampa con il leader radicale. Poi l’incontro con Giorgio Napolitano al Quirinale e le belle espressioni di ringraziamento, sempre del leader dei referendari, rivolte a papa Francesco per la sua chiamata al digiuno contro la guerra in Siria. Infine, mercoledì 4 settembre, a palazzo Chigi, per uno scambio di vedute con il premier Enrico Letta. Probabilmente bisogna risalire indietro di decenni per ritrovare un Marco Pannella così senza fiato e così al centro dell’agenda politica italiana.

Mi sono perso la conta degli anni da che tu, Marco Pannella, ti batti controcorrente – nel senso della corrente di regime per la quale ogni emergenza è buona per fare demagogia forcaiola e disinformare i cittadini – e chiedi l’amnistia. Non c’è stato verso: centinaia di suicidi in carcere; scioperi della fame radicali e cristiani, di prigionieri e guardie penitenziarie; pronunciamenti di condanna dell’Italia da parte delle corti internazionali per i diritti dell’uomo, europee, Aja; appelli di centinaia di costituzionalisti al presidente Napolitano; lo stesso Napolitano che appella se stesso davanti alla «situazione inammissibile» e di «prepotente urgenza costituzionale e civile», il ministro Cancellieri che infine ammette che «è vero non c’è alternativa, ci vuole l’amnistia». Ebbene, contro ogni evidenza, per sfamare la bestia insaziabile della demagogia (fa perdere i voti, si dice, votare un atto politico previsto da Costituzione e che è stato realizzato fin dagli inizi della Repubblica nientemeno che dal comunista Palmiro Togliatti), non si fa nulla. Ora ti chiedo, proprio l’invalicabile e irrisolvibile contraddizione del caso Berlusconi, non dovrebbe costringere tutti a riconoscere che hai sempre avuto ragione tu e perciò consigliare tutti i partiti, compreso Grillo, a considerare l’ipotesi urgente, diciamo entro settembre, di una amnistia come atto politico e di giustizia decisivo per ristabilire la democrazia, la legalità e dare il segno della ripresa al paese?
Ti riferisci al fatto che quello che sta avvenendo, e puntualmente pre-visto, dovrebbe costringere un po’ tutti a riconoscere che noi Radicali avevamo, abbiamo molto spesso ragione. Lo faranno, ma come l’hanno sempre fatto: evocare ragioni fin qui da loro ignorate o combattute a posteriori, per meglio tentare di negare la ragione dell’oggi. Ma permettimi di rispondere alla tua domanda apparentemente dicendo altro, ma vedrai che altro non è. Non so se sia da considerare provvidenziale, sia pure una “tragica” provvidenza, l’avvitamento del caso Berlusconi. Io non parlo di “caso” Silvio, così come a suo tempo, per esempio, non ho mai parlato del “caso Enzo Tortora”, ovviamente due vicende completamente diverse tra loro. Parlo, parlavo e continuerò a parlare di “caso Italia”, e nell’ambito, all’interno del “caso Italia”, di volta in volta scoppiano, ne deflagrano, i singoli frutti. Dunque, l’evocato provvedimento di amnistia, non è per/di Berlusconi, o anche uno per me o per te, non è amnistia ad personam. Per inciso, con i miei compagni radicali, spesso con l’intera comunità penitenziaria, da anni ci battiamo per questo, e molto prima che il “caso” Berlusconi prendesse corpo. E consentimi di dire che il provvedimento di amnistia non è necessario solo per svuotare le carceri, all’interno delle quali sono massacrati decine di migliaia di cittadini, attualmente oltre 60 mila, la metà dei quali circa in attesa di giudizio, e di questi oggi un buon 40 per cento verrà dichiarato innocente.
Ma questa storia, questa condizione, in un solo decennio colpisce, ferisce, ipoteca e condizionerà la vita di milioni di figli, padri, mamme, nonni, nipoti, amicizie e amori. Dunque in carcere, letteralmente torturato, senza colpa alcuna. L’amnistia, come ci ricorda e impone la Corte di giustizia europea, serve innanzitutto per ripristinare in questo paese un minimo di legalità. Perché il nostro paese da anni è precipitato in una situazione di intollerabile flagranza di reato, a causa di quella che è stata definita «l’irragionevole durata dei processi». L’amnistia è per tutto questo, e lo dico chiaramente: non me ne importa un fico secco se tra chi ne beneficerà ci sarà anche Berlusconi, e anzi: mi conforta e rallegra che l’altro giorno, dopo aver firmato tutti e dodici i referendum radicali, Silvio si sia pronunciato anche a favore dell’amnistia. A quanti storcono il naso, rispondo: da quando una causa buona diventa cattiva se vi aderisce una persona che a torto o a ragione si ritiene pessima? E se così è, non si finisce con l’attribuire a questa persona un grandissimo potere, quello di trasformare qualcosa da giusto in ingiusto, solo che vi aderisca… Questo vorrei chiedere a Guglielmo Epifani e ai compagni del Pd, che in questi giorni fieramente e stentoreamente dicono con lui NO, NO, NO. No a tutto, al diritto, alla legalità, alla giustizia… Fanno “pena!”.

Quante probabilità ci sono che domani sia diverso da ieri? Nessuna, diceva Hannah Arendt. Per questo, aggiungeva, il cuore della grande politica è la libertà: perché la libertà di cui è capace l’uomo costituisce l’unica possibilità di salvezza in una situazione in cui tutto volge verso la catastrofe. Infatti, si può dar torto a Macaluso che dice: «Il lodo Violante è solo un rinvio, una proroga. Ma non c’è soluzione. Berlusconi si rassegni»? E si può dar torto a Berlusconi che dice «non mi rassegnerò mai», con tutte le conseguenze del caso?
È una vita che noi radicali ci impegniamo e lottiamo e con-vinciamo per l’“appena possibile” contro il “probabile”, dato per scontato da quasi tutti. Citi Hannah Arendt, una scrittrice e una filosofa che amo molto: è lei, che seguendo in modo impeccabile il processo che Israele celebrava nei confronti del criminale nazista Adolf Eichmann, scovato in Argentina e da lì prelevato, ci rende consapevoli della “banalità del male”: di quel male di cui tutti noi possiamo essere preda e autori, la “normalità” del carnefice. C’è un’alternativa al «Berlusconi si rassegni» e alle sue ipotizzate reazioni rabbiose. L’alternativa, caro Luigi, è quella che lo stesso Silvio ha indicato sabato scorso, quando ha firmato i 12 referendum al gazebo radicale. Sono anni che esorto Silvio: guarda che vai a sbattere, guarda che ti/ci stai rovinando, e rovinando rovini tutto, tutti.
Sono anni che metto in guarda da metaforiche piazze Loreto e invito anche lui, il capace, ma davvero capace di (quasi) tutto, anche per i suoi nemici buoni “quasi a niente” a tornare a essere quello che fu, quando – esattamente venti anni fa – decise di essere – accanto a noi – il liberale-libertario che credo alberga in un angolo del suo essere, di quasi tutti: ricordo spesso, anche a costo di procurare qualche mal di pancia, quando Silvio venne a firmare tutte le nostre proposte referendarie di allora, partecipava alle nostre manifestazioni sposando tutti i nostri obiettivi, e senza che noi gli avessimo chiesto nulla, decise lui di attuare, in occasione delle elezioni, una desistenza, rinunciando a candidare in una decina di collegi sicuri candidati suoi, per consentire che venissero eletti – come effettivamente accadde – dei radicali che si presentavano in liste concorrenti e autonome, le nostre. Questi sono fatti che non dimentico, anche perché il Pd ha poi fatto esattamente il contrario, operando in modo da eliminarci, riuscendoci a livello istituzionale, prima dal Parlamento europeo, proponendoci intese elettorali sperando che noi non l’accettassimo, espellendoci di fatto in occasione delle ultime elezioni politiche.
Non dimentico inoltre che ebbero l’improntitudine di porre come condizione – per un’intesa elettorale impossibile per decenza da accettare, quella che non comparisse il nome di Luca Coscioni a caratterizzare le liste, ricordi? Era il tempo dell’Ulivo di Romano Prodi. Silvio al contrario, pur dicendoci che su almeno quattro referendum è perplesso se non contrario, e che il sottoscriverli gli procurerà problemi con la Lega Nord, li ha ugualmente firmati tutti, riconoscendo che su questi temi importanti è giusto che il popolo sia chiamato a decidere; e così lui li ha pubblicamente firmati, poi potrà votare anche “No”, ma in modo speriamo determinante consente di votare, di scegliere. È o no un comportamento liberale “volteriano”? Ecco, questa è la “ricetta”, il metodo che in questi giorni insieme stiamo tentando.

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Che tempistica e caratteristiche deve avere questa tua proposta di amnistia?
Per i tempi della “nostra” amnistia siamo già in clamoroso ritardo. Il presidente Napolitano due anni fa aveva fatto cenno, prendendo la parola a un convegno radicale che si poté tenere grazie all’impegno dell’allora presidente del Senato Renato Schifani, di «impellente urgenza». Da allora non è stato fatto nulla, se possibile la situazione è perfino peggiorata. L’Europa però ci ha dato tempo fino a maggio 2014, dopo di che scatteranno pesantissime sanzioni per il modo in cui trattiamo in carcere i detenuti. Quindi sono lapidario: uno dei modi per conquistare quello che tu, io, noi riteniamo necessario, è sul piano legale, costituzionale, di diritto internazionale e nazionale.
Atto dovuto, per diritto/legalità, atto immediatamente obbligato o, prima o poi, come Bush e Blair dovranno rispondere, oltre la giurisdzione italo/europea alla Corte Penale Internazionale i nostri presidenti della Repubblica e del Consiglio. È molto semplice: andare in segreteria comunale o al primo banchetto radicale, e firmare dodici volte. Quella è la polizza assicurativa per tutto. È questione di ore, non di giorni, perché non basta raccogliere le 500 mila firme necessarie: ogni firma va controllata, occorre il numero del certificato elettorale che comprovi che chi ha firmato possiede i requisiti elettorali, il modulo va timbrato, firmato dall’autenticatore… insomma una serie di adempimenti tecnici che richiedono tempo e impegno.

Si capisce che se questa posizione viene finalmente assunta apertamente e responsabilmente dal Parlamento in quanto rappresentanti del popolo prima che come espressione della partitocrazia (per altro agonizzante non perché morente in sé, ma perché rischia di essere sostituita da altrettanta partitocrazia, sia pur di stampo giustizialista-goebbelsian-stalinista), sarà la terza rivoluzione italiana dopo i referendum su divorzio e aborto. E caro mio, sarebbe la volta che radicali e cristianesimo, e infine Shakespeare – «la misericordia è al di sopra del potere scettrato» – vincono insieme e fanno ripartire, non diciamo il sistema Italia, ma le basi culturali, di diritto, di civiltà giuridica e costituzionali, che invertirebbero il paradigma belligerante e suicida e autodistruttivo che ha fatto dell’Italia la prima nazione del terzo mondo in Europa. Che dici?
Radicali e cristiani da sempre e tante volte, vincono insieme. Erano le donne cattoliche del nostro meridione d’Italia o quelle del Veneto “bianco” che ci hanno consentito di vincere il referendum sul divorzio. Erano le stesse donne di fede che ci hanno capito quando lottavamo per la legalizzazione dell’aborto. Erano credenti, cattolici, quelli che con noi hanno partecipato alle marce di Pasqua da porta Pia a piazza San Pietro contro l’Olocausto per fame nel mondo. Sono cattolici quelli che si pronunciano in Veneto, a maggioranza per la legalizzazione dell’eutanasia; e uomini e donne di fede quelli che hanno riempito le piazze ai funerali di Luca Coscioni e Piergiorgio Welby.
Vado avanti? Ma ti cito don Andrea Gallo, don Antonio Mazzi, i capellani delle carceri italiane, don Luigi Ciotti, monsignor Superbo e monsignor Crociata; e poi ci siete voi di Tempi, i ragazzi di Comunione e Liberazione… sono, siete al nostro fianco nella lotta per l’amnistia e la legalità… Guarda, lo dico a te e ai tuoi lettori che so mi capiranno: da tempo viene da oltretevere una lunga teoria di “lezioni” di cui dobbiamo far tesoro, perché sono preziose, “Pietro” indica la strada ai tanti Cesari sordi, muti e ciechi. Posso cominciare da papa Giovanni XXIII, quello così bene descritto, quando era agli inizi del suo percorso di fede, da Giulio Andreotti nel suo bel libro I quattro del Gesù. E poi quel papa splendido condottiero che fu Giovanni Paolo II, che invano chiese al Parlamento un provvedimento di amnistia, e sai quanto sarebbe tornato alla casa del Padre più lieto, se lo avessimo accontentato. Poi abbiamo avuto Benedetto XVI, il cui operato è ancora da studiare e indagare: quel suo sospirare che la Chiesa tanto è più forte e credibile, quanto più si spoglia e viene spogliata dei suoi averi terreni, e che da ultimo si dimette, si rende invisibile ma non assente. E infine questo papa Francesco, che ogni giorno ci indica qualcosa: va a Lampedusa, per onorare e piangere i profughi morti nel Mediterraneo; poi abolisce l’ergastolo, oggi proclama una giornata di digiuno contro la guerra in Siria. Cos’altro deve fare, firmare i nostri referendum, questo pontefice? Lo voglio proprio dire: papa Francesco è un radicale. Mi sa che gliela daremo la tessera d’onore di questo nostro pazzo partito.

Amnistia e riforma della giustizia, cominciando dall’affrontare i temi dei referendum, potrebbero andare insieme?
Potrebbero, mi chiedi? Questi temi vanno, possono, devono.

@LuigiAmicone

Tags: amnistiaBenedetto XVIergastoloGiorgio NapolitanoGiovanni Paolo IILuigi Amiconemarco pannellaPapa FrancescoPdreferendum radicaliriforma della giustiziaSilvio Berlusconi
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