
«Putin vincerà le elezioni e dal giorno dopo si parlerà solo di come si preparano le molotov»
Il 4 marzo la Federazione Russa si recherà alle urne per eleggere il suo presidente per la sesta volta nella sua breve storia, iniziata nel 1991 sulle ceneri dell’Unione Sovietica. Proponiamo una serie di interviste a leader politici, giornalisti ed intellettuali russi che fanno il punto sulla situazione del paese alla vigilia di questo cruciale appuntamento politico.
Konstantin Borovoy è un imprenditore e un uomo politico, leader del Partito della libertà economica. È stato uno dei pionieri dell’economia di mercato negli ultimi tempi dell’Unione Sovietica: ha creato la prima Borsa commerciale ed è stato presidente della prima Banca nazionale commerciale. Deputato liberale della Duma ai tempi della presidenza Eltsin, oggi ha molto più tempo per dedicarsi alle attività economiche perché il suo partito non è stato ammesso alla registrazione per partecipare alle elezioni, né nel 2005, né nel 2008, né nel dicembre scorso. Si considera politicamente vicino a Silvio Berlusconi e al Pdl.
Signor Borovoy, come definirebbe il momento storico che la Russia sta attraversando, alla vigilia delle elezioni presidenziali e dopo manifestazioni di protesta e di sostegno al primo ministro Vladimir Putin, favoritissimo per un terzo mandato presidenziale?
La Russia oggi è, secondo la definizione di Putin, una “democrazia sovrana”. Che significa una democrazia illusoria. Abbiamo tutti gli attributi esteriori della democrazia: una costituzione, un parlamento, delle elezioni multipartitiche, dei tribunali, ecc. Ma tutto funziona come se non esistessero. È vero che stiamo entrando in una nuova fase politica, stanno avvenendo cambiamenti sostanziali a causa dell’esasperazione della società: la gente è stanca del sistema attuale. Noi pensavamo che i nodi sarebbero venuti al pettine nel momento in cui il prezzo del barile di petrolio (di cui la Russia è grande esportatrice – ndr) avesse cominciato a scendere, perché a quel punto la scarsa efficienza economica del sistema sarebbe stata evidente a tutti. Ma le cose sono andate diversamente. Putin ha cominciato a perdere l’autocontrollo, a mettere da parte anche le apparenze di un sistema democratico. I brogli elettorali di dicembre sono stati la goccia che ha fatto traboccare il vaso. La gente ha pensato che eravamo tornati ai livelli di mancanza di libertà del tempo dell’Unione Sovietica. Anche allora si esaltava formalmente la democrazia, ma era quella “popolare” contrapposta alla democrazia borghese.
Eppure la crescita economica della Russia negli anni delle presidenze Putin e Medvedev è innegabile.
Il petrolio veleggia attorno ai 110 dollari al barile, ma la corruzione e l’inefficienza fanno sì che lo sviluppo economico della Russia sia quello che si avrebbe con un prezzo del barile attorno ai 60 dollari. L’inefficienza influisce sulle condizioni dei pensionati, degli studenti, ecc., perché riduce le risorse da destinare a loro. A causa della poca concorrenza e dell’aspirazione di Putin a creare un capitalismo di Stato, la maggior parte dei russi ancora oggi lavora alle dipendenza dello Stato. Ci sono grandi imprese formalmente private, come Gazprom, Rosneft, Uc Rusal, ecc., ma in realtà sono controllate dallo Stato e al servizio del governo. Una di esse – non posso dire apertamente quale – ha organizzato e pagato in gran parte le spese del meeting pro-Putin del 4 febbraio. Dei 130 mila presenti, almeno 70 mila erano stati trasportati sul posto e spesati di tutto da questa grande impresa, che ha sborsato qualcosa come 100 milioni di dollari: più di 1.400 dollari per manifestante.
Il suo partito non ha aderito alla grande manifestazione dell’opposizione, quella che il 4 febbraio scorso si è conclusa in piazza Bolotnaya a Mosca. Perché?
Noi coi fascisti e coi comunisti non ci mescoliamo, e alla Bolotnaya ce n’erano troppi. Abbiamo preferito una manifestazione tutta nostra in bulevard Shakarov: eravamo solo mille persone, ma meglio pochi che tanti e male assortiti. I nostri slogan anti-Putin erano gli stessi della manifestazione principale, e in più ne avevamo altri che chiedono la messa fuori legge dei gruppi estremisti di destra e di sinistra. Forse in Occidente non sapete che questi gruppi erano rappresentati sia alla manifestazione dell’opposizione che a quella pro-Putin. Alla Bolotnaya si sono sentiti slogan contro la Rivoluzione arancione in Ucraina e si sono visti cartelli con su scritto “Via gli ebrei dal governo russo”. Per non parlare del Fronte della Sinistra di Sergej Udaltsov, uno stalinista dichiarato: sono contrari all’economia di mercato, sostengono che la proprietà privata non debba eccedere quella di un solo appartamento e chi ne ha di più se li vedrà confiscare, e il loro capo ha affermato che i borghesi russi saranno passati per le armi nel corso di una nuova Rivoluzione di Ottobre. Non accetto il discorso di chi dice: adesso lottiamo uniti per far cadere Putin, poi faremo i conti nelle urne, ognuno col suo simbolo e con le sue idee. Io lo so già che Russia uscirebbe dalle urne, dopo questi dodici anni di lavaggio del cervello: i comunisti di Zyuganov porterebbero a casa quasi il 40 per cento, gli ultranazionalisti il 20, noi democratici il 10 e gli amici di Putin il rimanente 30.
In Occidente alcuni dei nuovi oppositori hanno conquistato spazio e titoli su media autorevoli. Penso al blogger Alexei Navalny.
Navalny non è l’eroe che dipinge la stampa occidentale: è stato espulso dal partito liberale Yabloko un paio di anni fa per le sue prese di posizione ultranazionaliste, e di fatti a novembre ha guidato la Marcia Russa, l’annuale sfilata dei nazionalisti radicali, dove gli hanno concesso l’onore di lanciare il famigerato grido di battaglia: “Gloria alla Russia!”. Tutti facevano il saluto romano. Le inchieste sulla corruzione di RosPil e degli altri siti di blogger non sono tanto il risultato di giornalismo investigativo o delle denunce dei cittadini, come si vuole far credere, quanto delle imbeccate dei gruppi d’interesse del sistema che restano tagliati fuori nelle lotte per accaparrarsi vantaggi nelle gare di appalti pubblici. Il suo ultimo scoop, quello sugli sprechi dei fondi federali alla Cecenia, è nato così. Ha svelato che con quei soldi sono state acquistate anche 2 Maserati, 5 Mercedes fra le più costose e non ricordo più quante Porsche. In realtà ha potuto raccontare questa storia perché è stato imbeccato da un gruppo d’interesse tagliato fuori dall’affare. In Dagestan succedono le stesse cose, ma siccome si sono accordati sulla spartizione sui siti internet non esce nulla. I nostri giornalisti di opposizione non sono in grado di offrire un quadro completo della corruzione, perché dispongono solo della capacità visiva che le lotte di potere interne al sistema permettono loro di avere.
Non ha molta fiducia nelle forze che animano la protesta.
Ho scritto un commento per radio Eco di Mosca (un’emittente vicina all’opposizione benchè sia di proprietà di Gazprom – ndr) intitolato “Semantica della protesta”. Ho fatto notare che il primo slogan è stato “vogliamo elezioni oneste”, poi si è passati a “Putin ha rubato le elezioni”. Oggi dominano i “no alle privatizzazioni” e gli attacchi ai ricchi. Ancora un po’, e vedremo rispolverare un vecchio slogan caro ai russi: “È tutta colpa degli ebrei”.
Chi vincerà le elezioni e cosa succederà dopo?
Putin vincerà le elezioni al primo turno, le falsificazioni saranno immense, ma il 5 marzo lui sarà giuridicamente presidente. Entrerà in funzione il 4 aprile. In mezzo a queste due date si svilupperà una forte repressione degli oppositori, che Putin affiderà al presidente uscente Medvedev. Per reazione le proteste aumenteranno e diventeranno più radicali. Dopo il 4 marzo non si discuterà più di politica, ma di come si preparano le molotov. D’altra parte lo spazio per la dialettica democratica è andato diminuendo: a causa della propaganda martellante i cervelli della gente sono stati modellati dal nazionalismo, con venature di comunismo.
Una profezia molto cupa. Allora è vero quello che dicono certi osservatori, cioè che Putin è il male minore, che è l’unico in grado di garantire la stabilità?
È stato vero in passato, ora non più. Putin ha perso la legittimità agli occhi degli elettori, l’unica strada che gli è rimasta per mantenere il potere è la repressione. Non gli sarà pià possibile essere l’uomo del consenso e del compromesso come è stato in passato. Ormai è paranoico, vede nemici dappertutto, e la lista è diventata lunga: Litvinenko, Juscenko, gli Stati Uniti, la Nato, ecc. Dal discorso di Monaco (quello in cui Putin denunciò, nel 2008, il dominio unipolare americano – ndr) in avanti è stato un delirio. La Nato ci sta circondando, le Ong internazionali sono una rete di spionaggio dentro al paese, gli Usa vogliono distruggerci. Alla vigilia della guerra del Kosovo nel 1999 nessuno più in Russia vedeva dei nemici negli americani, ma dopo di allora la macchina della propaganda è entrata in funzione, e oggi questo è il sentimento della maggioranza dei russi. La gente crede davvero che i leader dell’opposizione vanno e vengono dall’ambasciata americana con valige piene di dollari; è il risultato di una propaganda molto primitiva, simile a quella dell’epoca sovietica, che colpisce i cervelli meno preparati. E in Russia il livello intellettuale non è molto alto. Siamo l’unico paese dove la morte di Gheddafi è stata commemorata con ben due cerimonie di lutto.
Lei è stato uno dei pionieri dell’impresa privata in Russia. Che situazione vive oggi il mondo dell’imprenditoria?
Pessima. In Russia ci sono due milioni di imprenditori privati, e ogni anno si registrano 1 milione e 200 mila inchieste penali contro di loro: nel 70 per cento dei casi si tratta di azioni mirate a strappare dalle loro mani business lucrativi. Duecentomila imprenditori sono finiti in prigione in questo modo, vittime di manovre per impadronirsi delle loro imprese. Sopravvivono solo le aziende organicamente collegate alla pubblica amministrazione. Così i funzionari dello Stato penetrano nelle imprese private: questa è la forma di corruzione più grave di cui siamo vittime.
Contro le manifestazioni di protesta di febbraio non c’è stata repressione. Perché, secondo lei?
Perché non è nell’interesse di Putin: lui ha bisogno di arrivare alla data delle elezioni senza troppe tensioni, di vincerle e ottenere l’investitura ufficiale, riconosciuta anche a livello internazionale. Se non ci fossero di mezzo le elezioni, avrebbe già introdotto lo Stato d’emergenza.
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