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Prove di autocensura sovietica nel “libero” Regno Unito

Sullo Spectator un'estone che ha vissuto diciassette anni sotto l'Urss racconta le inquietanti analogie tra il regime comunista e il pensiero woke che non perdona chi ha idee non politicamente corrette

Redazione
12/10/2023 - 5:30
Cultura
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autocensura

Quando dopo il crollo del Muro il sistema sovietico cadde in Estonia, Heli-Liis Võrno aveva diciassette anni. Diciassette anni passati osservando sempre la regola fondamentale per sopravvivere in Unione Sovietica: avere due identità separate. Una da esibire a casa e con le persone fidate, l’altra per i luoghi pubblici. «Sapevamo che davanti agli estranei o a certi parenti semplicemente non si parlava di alcuni argomenti», ha scritto domenica sullo Spectator in un lungo articolo nel quale racconta le analogie inquietanti tra l’autocensura che i cittadini dei regimi comunisti erano costretti a imporsi per sopravvivere e quella che vede crescere ogni giorno di più nel paese in cui vive oggi, il Regno Unito. «Se seguivi le regole e mantenevi separate le due identità, potevi sopravvivere e persino migliorare il tenore di vita. Ma se confondevi i due mondi erano guai».

Quando l’Urss crolla, «eravamo pronti alla libertà»

Il nonno di Heli-Liis, ad esempio, era iscritto al partito e non ha mai detto una parola contro il regime. Gli fu concesso di avere un nuovo appartamento, una casa estiva e un’auto. La nonna, invece, non nascondeva ciò che pensava dell’occupazione sovietica, e la sua vita era di conseguenza più dura. Võrno racconta di come «sotto il comunismo non potevi progettare di diventare una rockstar di fama mondiale o un imprenditore multimilionario, non potevi nemmeno sognare di viaggiare o visitare paesi di cui hai imparato la lingua». Tutto era controllato, e tutto ciò che si poteva fare si poteva fare perché era permesso, «e chiunque tu fossi, ci si aspettava che ti presentassi alle sfilate del Primo Maggio, sventolassi la bandiera rossa e parlassi mai meno che entusiasticamente del Partito».

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Quando l’Unione Sovietica crolla, nel 1991, «eravamo pronti per ogni tipo di libertà: pensare, parlare, riunirsi, viaggiare, avere successo e, certo, anche di fallire».

Da “comunismo” a “diversità e inclusione”

Heli-Liis Võrno arriva nel Regno Unito nel 2011 «pienamente fiduciosa di entrare in un’altra società libera. Potevo, entro limiti ragionevoli, dire quello che volevo a chi volevo». Eppure, con il passare degli anni, la Gran Bretagna le ricorda per certi versi il sistema che pensava di essersi lasciato alle spalle per sempre. «Naturalmente questa volta non si chiama comunismo, ma ha nomi diversi come “Diversità”, “Uguaglianza”, “Inclusione”, “Multiculturalismo”. Proprio come il comunismo, prende gli ideali della fratellanza umana ma poi ne aggiunge altri della tradizione individualista occidentale: diritti LGBTQ, frontiere aperte, MeToo (un pantheon completo sta diventando sempre più complesso, potenzialmente spiazzandoti in ogni momento). Come il comunismo, presenta molti ideali con cui, a prima vista, è difficile non essere d’accordo: l’uguaglianza dei sessi e delle diverse razze, per esempio – e poi costruisce con essi una sorta di religione secolare».

Una religione in cui se non si rispettano i principi bisogna pentirsi immediatamente e “educare se stessi”. Niente campi di rieducazione fisica, per fortuna, ma corsi obbligatori di (ri)formazione sull’antirazzismo, l’antisessismo e l’antiabilismo.

La neolingua politicamente corretta

«Se vieni ostracizzato», continua il racconto sullo Spectator, «hai due scelte, come sotto il comunismo: o chiedere scusa pubblicamente e profusamente e umiliarti davanti all’ortodossia attuale, diventando almeno un alleato obbediente del movimento BLM o di quello LGBTQIA+. (o qualunque sia la minoranza favorita in quel preciso momento) – oppure essere cancellato, non essere mai più visto o sentiti nominare». Come i sabotatori e i dissidenti dovevano essere rimossi dalla società sovietica, chi è considerato razzista, bigotto, transfobo, misogino, maschio tossico ecc. deve essere reso inerme o impedirà alla società progressista di evolversi e costruire «il Paradiso Occidentale sulla Terra».

Così come in Urss “democrazia” era l’obbligo di votare per un unico candidato scelto per te dal partito, e per “governo del proletariato” si intendeva il governo di un piccolo gruppo di lavoratori di alto rango del partito, «nella neolingua occidentale “inclusività” significa assicurarsi che chiunque non sia d’accordo non venga incluso, “diversità” implica un’assoluta uniformità di pensiero, e “uguaglianza” spesso significa privilegiare spudoratamente un gruppo rispetto a un altro. Per quanto riguarda l’uguaglianza, mentre i vecchi comunisti erano ossessionati dall’aspetto economico, i nuovi comunisti sono fissati sulla cultura e sulla storia».

Autocensura e totalitarismo soft

Da qui, la necessità sempre più diffusa di autocensurarsi per non essere puniti. Da chi? Se nei regimi comunisti la correzione veniva dal Partito e dai suoi adepti, nella Gran Bretagna di oggi – sostiene Heli-Liis Võrno – chiunque si sente in dovere di correggerti se non hai le opinioni corrette su immigrazione, cambiamenti climatici, diritti dei trans, gender. Per evitare la cancellazione sociale è più facile semplicemente evitare del tutto alcune questioni, soprattutto quelle importanti. Restando con un dubbio feroce: gli altri intorno che professano pubblicamente la loro fede nel discorso politicamente corretto, ci credono davvero o sono semplicemente spaventati come te di esprimere un pensiero “sbagliato”?

Heli-Liis Võrno ricorsa il recente “debanking” di Nigel Farage, il politico inglese a cui è stato chiuso il conto in banca perché – si è scoperto dopo varie smentite – le sue opinioni non erano in linea con l’istituto di credito, uno dei più importanti del Regno Unito. «“Se questo può succedere a me, può succedere a te”, ha detto Farage. E poiché sono cresciuta nell’ex sistema sovietico, posso dirvi che ha ragione». Che fare? Heli-Liis Võrno conclude con amara ironia il suo intervento (che fa eco a molte storie di “totalitarismo soft” raccontate da Rod Dreher nel suo libro Live not by lies, in cui tanti ex cittadini sovietici raccontano la sensazione di vivere, oggi nell’Occidente anglosassone, in un sistema che ricorda quello dei loro paesi di origine): «Fare le valigie con tutte le nostre cose e trasferirci, magari di nuovo nell’Europa dell’Est, dove non devo inneggiare alle bandiere rosse arcobaleno, o correggere i miei discorsi per evitare di essere scoperto dagli Alleati Trans dal KGB, o essere etichettata come dissidente di estrema destra. O forse dovrei semplicemente restare nel Regno Unito e godermi la sensazione di essere di nuovo a casa».

Foto di Brian Wangenheim su Unsplash

Tags: Politicamente Correttoregno unitounione sovieticawoke
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