Povere donne, costrette all’uguaglianza invece che alla libertà
Cronache di mezzo lockdown / 13
Metto insieme tre notizie per una critica radicale della miseria della “filosofia” sulla cosiddetta “parità di genere”.
La prima. La mia amica e parlamentare berlusconiana Cristina Rossello che ha realizzato un bel “Progetto donne” allo scopo di offrire concrete opportunità di lavoro a ragazze impegnate e meritevoli, produce anche un periodico informativo sulle questioni di cosiddetta “parità”. Nell’ultimo numero racconta la notizia che secondo l’agenzia europea che monitora la questione parità di genere le cose stanno evolvendo positivamente in Italia.
Cito l’organo della Rossello, “Osservatorio delle mamme che lavorano”:
«Il valore medio degli indicatori di miglioramento dei parametri di parità di genere (2010-2018) appena pubblicati nel Gender Equality Index 2020, ci dice che in Italia il gap tra i sessi dovrebbe essere colmato nel 2049, mentre nella media dell’Unione Europea, che presenta tassi di crescita dimezzati, solo nel 2078!».
La seconda notizia, esemplificazione della precedente, è che la Sardegna – come documenta La Nuova Sardegna di domenica 29 domenica, quotidiano dello stesso gruppo di Repubblica – registra il tasso di occupazione femminile, quindi di parità di genere, che è il più alto del Sud e tra i più alti di tutta Italia.
Peccato poi che al tronfio titolo con cui il record viene offerto al lettore (“L’isola a testa alta col suo esercito di lavoratrici”, un’eco nel 2020 dello staliniano del 1936 «le lavoratrici alla guida dei Soviet»?) non corrisponda neanche un richiamo che dia conto del drammatico prezzo pagato dalle donne sarde per il loro record di lavoratrici: hanno il più basso tasso di fecondità nel paese che ha già la “maglia nera” di fecondità nel mondo. E il più elevato tasso di utilizzo della pillola anticoncezionale in Italia.
Terza notizia, prima pagina del Corriere della Sera del 30 novembre dopo essere stata per due giorni consecutivi sulla prima pagina del Sole 24 ore: ecco, entrambe le testate di sistema (economico e politico) enfatizzano i dati da “inverno demografico dei paesi ricchi”, in testa l’Italia, spaventati dal fatto che, stracciando i contratti di pianificazione familiare (leggi: sterilizzazione delle donne, contraccettivi, aborto) i paesi poveri stanno affrontando la pandemia dandoci sotto, illuminando il futuro con un baby boom atteso nel Terzo mondo. Mentre il ricco Occidente e in special modo l’Italia – che quest’anno ha raggiunto il record mondiale di denatalità e si apparecchia un futuro da Atlantide sommersa – lotta per la mera sopravvivenza, rinunciando a mettere al mondo nuove creature.
Ma è speciale depressione da abbondanza e pance piene o, piuttosto, è una depressione indotta dall’ideologia di una élite occidentale che si pensa progressista e illuminata, specie in Europa e sulla sponda atlantica del Norda America, di sopperire con masse di immigrati asiatici e africani alla penuria di bambini e, quindi, forza lavoro per un domani mantenere le pensioni?
Naturalmente è la seconda che ho detto. Sull’immigrazione fuori controllo non c’è niente da aggiungere a quanto si vede e si sente in società. Dai leader delle chiese alle Ong. Dai partiti della sinistra alle spregiudicate mafie trafficanti di esseri umani, droga, donne da mettere in strada. Quanto al resto: da quant’è che hanno dimenticato ogni politica familiare avendo prima dimenticato e poi cominciato a sistematicamente osteggiare il rapporto, l’alleanza, la famiglia uomo donna?
Da un decennio, non fanno altro che parlare di diritti individuali, fragili, diversi, Lgbt e cazzabubbole. Non fanno altro che parlare – nei film, sui giornali, nelle leggi divisive, nei regolamenti e nelle imposizioni Ue ai paesi che entrano in contatto o vorrebbero partecipare alla Ue – di qualunque “genere” o di essere vivente (pulci comprese), purché uomo e donna non siano nominati, non siano nominati insieme e siano costantemente considerati in competizione, più spesso in conflitto. Vuoi coi #MeToo e generi simili di potente frustrazione emozionale e zero sbocco razionale (come sono le campagne mediatiche sul “femminicidio”) nel momento in cui diventano appuntamento fisso, metodico, stereotipo di informazione costantemente gridata e allarmata. Vuoi, più primariamente, con questa storia della parità di genere che ormai si sta rivelando un racconto grottesco. Il racconto di come il Potere, nella visione (che il Covid sta rivelando ubriaca) di un futuro instradato sulla messa a profitto della carne umana e, in particolare l’utero, le doti intellettuali e i talenti biologici della “miniera” femminile, sta considerando il “femmineo” un agente potente di promozione e produzione industriale.
Insomma nel nome della liberazione della donna, la nuova fase del capitalismo a guida liberal e postcomunista sta realizzando il più imponente processo di reificazione, mascolinizzazione, in una parola: messa a reddito delle donne occidentali. Sicché, paradosso tragico, la donna viene rimpiazzata dalla tecnoscienza, si preferisce rendere popolare la procreazione assistita e qualunque genere di trasformazione e neutralizzazione dei sessi (il perché è chiaro: ormoni, macchine riproduttive e affari sessuali accrescono la redditività delle multinazionali farmaceutiche).
Ecco perché quando leggiamo delle pur generose e in buona fede ripetizioni e rilanci di dossier sulla “parità di genere” noi avvertiamo l’ingiustizia che si va consumando sulle donne: costrette all’uguaglianza (leggi: maschilizzazione) invece che alla libertà (pensate un po’: perfino di fare l’amore in vista della procreazione!).
È ormai abbastanza evidente che il processo di ristrutturazione capitalistica associato alla crisi pandemica e al rischio che essa diventi endemica, chiama in causa gli esseri umani nella loro nuova condizione – teorizzata e inculcata ad ogni livello sociale, dalla scuola agli ambienti di lavoro, dall’Europa a ogni singolo Stato dell’Unione, dai detentori dei mezzi di produzione – di esseri neutri, intercambiabili, indifferenziati. In questo senso il complesso delle posizioni dominanti (Potere) porta avanti con altri mezzi la (falsa) rivoluzione egualitaria che ha una data e un nome, 1917, Rivoluzione d’ottobre, bolscevismo. Alias comunismo.
Con il senno di poi può dunque apparire non peregrina la constatazione di Vladimir Bukovskij, dissidente perseguitato del regime comunista sovietico, che fu scambiato da Mosca con il comunista cileno Corvalan, riparato in Europa, docente a Cambridge, scomparso il 19 ottobre dello scorso anno, definito ai tempi dal New York Times (quando il New York Times non era ancora il bastone dell’intolleranza liberal) «un eroe di grandezza quasi leggendaria». Ebbene questo eroe, pur accettando di buon grado l’esilio europeo e l’ospitalità in Inghilterra dopo 12 anni di gulag, non ha mai cessato di mettere in guardia gli europei – annotando la proliferazione di ideologia, leggi, regolamenti negli organi direttivi Ue – dal rischio di ritrovarsi in una versione moderna dello Stato totalitario che i popoli russi avevano già sperimentato. Fatto sta che oggi non suona affatto singolare il titolo di un suo famoso saggio: L’Unione Europea – Il nuovo Soviet?.
Foto Ansa
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