Potete non crederci, ma la California è lo Stato più povero di tutti gli Usa
Per quale paradosso non poi così paradossale lo Stato più ricco e progressista degli Stati Uniti è anche il più povero? Se lo stanno chiedendo politici e commentatori, dirigenti dei servizi sociali e analisti di tutta America. Lo stato in questione è la California, e i suoi numeri fanno venire il mal di mare: se fosse indipendente il Golden State sarebbe il quinto paese del mondo per valore assoluto del Pil, davanti alla Gran Bretagna e subito dopo la Germania, benché abbia solo 39,5 milioni di abitanti, cioè meno della metà di quelli della Germania e meno dei due terzi di quelli del Regno Unito. Coi suoi 2.700 miliardi di dollari di Pil la California batte nettamente l’Italia, che ne totalizza solo 1.935 pur avendo un terzo di abitanti in più.
I NUOVI CRITERI
Negli ultimi cinque anni l’aumento dei posti di lavoro e la crescita del Pil pro capite sono stati nettamente superiori alla media statunitense. In termini reali il Pil californiano è aumentato del 78 per cento negli ultimi vent’anni, mentre il tasso di disoccupazione sta al 4,1 per cento: dal 2011, il numero degli occupati cresce costantemente. Merito della Silicon Valley, di Hollywood, dell’agroindustria, del turismo e altro ancora. Però c’è un problema: dopo che il Census Bureau (federale) e il Public Policy Institute of California (Ppic) hanno rivisto i criteri per il calcolo della povertà, la California è balzata al primo posto nella classifica degli stati dell’Unione per incidenza della stessa: incredibile ma vero, c’è più povertà in California che in Alabama, West Virginia o Mississippi. Quando si tiene conto non solo del reddito, ma del costo della vita locale e dell’assistenza pubblica non monetaria, i poveri secondo il Census Bureau rappresentano il 19 per cento della popolazione, pari a 7,4 milioni di persone, secondo il Ppic sono addirittura il 20,6 per cento.
SENZATETTO E DISUGUAGLIANZA
Effettivamente i dati a sostegno di questa valutazione non mancano. Dei 554 mila senzatetto censiti negli Stati Uniti, 114 mila, cioè poco meno di un quarto, vivono in California, che pure rappresenta solo il 12 per cento di tutta la popolazione statunitense. La California risulta essere il secondo Stato (dopo quello di New York) con la maggiore diseguaglianza interna fra ricchi e poveri degli Usa. Se fosse uno Stato indipendente, sarebbe il 17° per diseguaglianza nel mondo, davanti a paesi come Messico e Guatemala. La diseguaglianza è andata crescendo col tempo: nel 1963 il reddito delle famiglie povere che costituivano il 10 per cento della popolazione era 6,5 volte inferiore a quello medio del restante 90 per cento, oggi è inferiore 14 volte! Le cause di questa situazione sono numerose, ma tutte rimandano all’alto costo della vita, determinato da precise scelte politiche, al quale un numero crescente di californiani non è in grado di far fronte. La disoccupazione non è un fattore rilevante, anzi: nell’80 per cento delle famiglie in condizioni di povertà almeno un componente lavora regolarmente. Siamo dunque davanti al fenomeno dei “working poors”, che il governo della California pensa di poter risolvere aumentando il salario minimo da 10 a 15 dollari all’ora da qui al 2022, ma nel frattempo la situazione è tragica.
IL DRAMMA DELLA CASA
Il principale problema economico dei californiani è quello della casa: a causa delle normative ambientali, energetiche, antisismiche, ecc. anche l’edilizia economica risulta per nulla economica per i meno abbienti. I californiani di tutti i ceti spendono mediamente più di un terzo del loro reddito in spese relative alla casa. Per i meno abbienti va ancora peggio: il 56 per cento di coloro che guadagnano meno di 24.280 dollari all’anno (il doppio della linea della povertà secondo la definizione federale) spende più della metà del reddito per mutui, affitti, spese condominiali, ecc. Le tasse sui lavori di edificazione, studi e costi di impatto ambientale ecc. sono tre volte più alte della media nazionale. Il costo di un’unità di edilizia popolare è passato dai 256 mila dollari del 2000 ai 425 mila dollari del 2016, il livello più alto di tutti gli Usa. Tutto questo naturalmente ha inciso sul livello degli affitti, che fra il 2013 e il 2017 sono aumentati del 32 per cento, cioè più del doppio della media nazionale. Chi è pagato in base al salario minimo dovrebbe lavorare 177 ore (!) alla settimana per potersi permettere un monolocale a San Francisco. I redditi medi sono stati costretti a ripiegare sull’edilizia più economica, i redditi bassi sono finiti sulla strada.
ENERGIA E MIGRANTI
L’altro costo esorbitante che i californiani devono affrontare riguarda l’energia: estesi regolamenti ambientali che mirano a ridurre le emissioni di anidride carbonica hanno reso l’energia più costosa, e i primi a subire l’urto dei rincari sono stati i poveri e quelli che già erano prossimi alla povertà: in California i costi energetici sono superiori del 50 per cento al costo medio nazionale, e 1 milione di famiglie spende più del 10 per cento del proprio reddito per l’elettricità e per i carburanti per autoveicoli. In alcune contee californiane l’incidenza della spesa energetica sul reddito dei cittadini poveri è del 15 per cento.
Un terzo problema riguarda la forte presenza di migranti irregolari (“undocumented” secondo il lessico locale): sarebbero 3 milioni, ai quali vanno aggiunti 1,1 milioni di minori loro figli nati per lo più su suolo americano. Costoro costano 30,3 miliardi di dollari all’anno alla California, soldi affidati a capitoli di spesa locali, federali e statali. Sul bilancio statale della California incidono per il 17,7 per cento. Inoltre la forte presenza di illegali assunti in nero spinge i salari delle occupazioni non qualificate verso il basso, provocando l’impoverimento di vasti strati popolari. Affitti e mutui salati, salari stagnanti: la ricetta per la povertà californiana è questa. Non riguarda i superqualificati professionisti della Silicon Valley e di Hollywood, ma colpisce o minaccia la gente normale.
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