È il politicamente corretto che ci vieta di affrontare l’emergenza reduci dell’Isis?
L’editoriale del Corriere della Sera di oggi, firmato da Angelo Panebianco, è dedicato a un tema di cui ci siamo occupati a più riprese nelle ultime settimane. Come dimostrano gli attentati in Sri Lanka, osserva il politologo del Corriere, «la sconfitta dello Stato islamico non significa affatto la sconfitta dei jihadisti, la fine della minaccia terrorista». Rimangono infatti diversi problemi da affrontare, almeno uno dei quali dovrebbe interrogare urgentemente noi europei secondo Panebianco: molti dei terroristi che hanno gonfiato le file delle milizie del califfo Al Baghdadi «sono di nazionalità francese, italiana, britannica, belga, tedesca, eccetera», e ora che la loro sanguinosa avventura in Siria e in Iraq è finita (male), vogliono rientrare, se non sono già rientrati, a casa loro; che fare dunque dei reduci dell’Isis («diverse centinaia di persone») che tornano a casa in Europa, magari senza nemmeno sentire il dovere di pentirsi?
È bene ricordare, come fa il Corriere, che questi jihadisti sono stati «opportunamente definiti, in sede di Nazioni Unite, terrorist foreign fighters, combattenti stranieri terroristi», e che in quanto tali sono potenzialmente molto pericolosi, anche di più dei famigerati fondamentalisti “radicalizzati” in Europa: «Sono addestrati all’uso delle armi e hanno esperienza di scontri a fuoco». Senza dimenticare che «al “normale” disagio psichico dei reduci» con cui occorre fare i conti alla fine di ogni guerra, gli ex miliziani dell’Isis si portano dietro una guaio in più: «Sono gli adepti di un’ideologia religiosa che ne alimenta l’odio per la società occidentale e i suoi costumi, che li rende alieni e alienati nei paesi in cui, teoricamente, dovrebbero reinserirsi», scrive Panebianco.
UN PROBLEMA DI «VOLONTÀ POLITICA»
La domanda del Corriere è dunque la stessa che anche Tempi ha posto più volte: «Come mai l’Europa non è riuscita a trovare una linea di condotta comune per affrontare il problema?». Manca una «legislazione di emergenza» che permetta di impedire a questi terrorist foreign fighters di riprendere la propria guerra in casa nostra. Perché non si riesce a trovare o elaborare una formula analoga a quella che fu utilizzata per perseguire i criminali nazisti dopo la Seconda Guerra mondiale? È quasi superfluo far notare che «se solo un pugno di questi reduci entrasse in azione in Europa, i morti si conterebbero a centinaia». Continua Panebianco:
«Non si dica che non è stato possibile trovare una soluzione a causa di insormontabili ostacoli di natura giuridica. L’esperienza insegna che quando c’è la volontà politica di fare qualcosa gli ostacoli giuridici vengono superati. Nessuna Corte costituzionale si sarebbe arrischiata a contrastare una legislazione di emergenza volta a proteggere la vita delle persone. Tanto più se tale legislazione avesse avuto l’imprimatur dell’Unione Europea. Diciamo che, rimanendo inerte di fronte a una questione così vitale, l’Europa ha perso un’occasione d’oro per chiarire agli europei quanto essa sia indispensabile e quanto sbaglino i cosiddetti sovranisti quando pensano di poterne fare a meno».
DONNE E BAMBINI NON SONO UNA SCUSA
Naturalmente, precisa l’editorialista del Corriere, andrebbero trattati con attenzione e delicatezza i destini di donne e bambini. Questi ultimi infatti «non hanno colpe» e perciò «si tratta di sottrarli all’influsso dei loro disgraziati genitori e sperare che non crescano col desiderio di emularne le gesta». In quanto alle cosiddette “spose dell’Isis”, è noto che «alcune erano schiave e quindi vittime, altre invece erano complici» e vanno trattate come tali. Insomma, non è impossibile dotare del necessario buon senso questa ipotetica «legislazione di emergenza», sembra suggerire Panebianco. Che cosa impedisce di metterla a punto allora? Pigrizia, inerzia, divisioni, certo, ma il Corriere aggiunge un altro inquietante “sospettato”:
«Sarebbe interessante capire se e quanto, nell’incapacità degli europei di fronteggiare unitariamente ed efficacemente il problema, abbia pesato e pesi l’ottusa ideologia del politicamente corretto. Non è “corretto”, è forse nient’altro che “islamofobia”, bollare come criminali di guerra gli ex combattenti dello Stato islamico e perseguirli di conseguenza?».
Foto Ansa
[liga]
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