Perché Renzi è il nuovo Caimano di una sinistra girotondina rimasta ferma a vent’anni fa (urge rottamazione)
Perché diventi legge l’abolizione del bicameralismo perfetto servono due passaggi al Senato e due alla Camera. Sarà dura («è appeso a 40 voti» gli ricorda Repubblica), ma sentire Matteo Renzi, presidente del Consiglio e leader del Pd, rivendicare il successo e la tenuta dell’accordo riformista con Silvio Berlusconi, l’uomo nero per tutte le stagioni dei tromboni della Costituzione, potrebbe essere un bel segno del trasloco in soffitta di tutta lo soperchieria da madre superiora che andò da Nanni Moretti a Maurizio Crozza. Forse i tempi cambiano. O forse i congiurati ripiegano in attesa di tempi più consoni all’agguato.
Il 31 marzo Matteo Renzi è ufficialmente decaduto da sindaco di Firenze. Paradossalmente, lo stesso giorno potrebbe essere iniziato anche l’iter della sua decadenza da presidente del Consiglio. Alessandro Sallusti le ha chiamate Idi di marzo, evocando il complotto dei senatori che duemila anni orsono, per timore, invidia, gelosia dell’allora uomo vincente e amato dal popolo Giulio Cesare, misero in campo Bruto. Oggi Bruto si chiamerebbe Grasso. Pietro Grasso. Lo scaltro magistrato siciliano, presidente del Senato, che in fatto di compunzione da monaca di Monza sembra voler insidiare il record della buon anima di Oscar Luigi Scalfaro. Gli manca la “r” arrotata. Ma, dice, «sono sempre stato iscritto al partito di Davide contro Golia».
Infatti, da terminale del combinato-disposto del manipolo di potenti parrucconi annidato nelle prebende del mito antifascista, giusto alla vigilia del Consiglio dei ministri che ha poi varato il provvedimento, Grasso aveva tentato di stoppare la riforma del laticlavio con un affondo di pugnale. Un’intervista a Repubblica, subito rimbalzata nella “mezz’ora” di Rai Tre appaltata alla badessa e pluripoltronata Lucia Annunziata (è anche direttora del debenedettiano Huffington Post), con cui si era opposto frontalmente alla riforma del Senato promossa dal proprio leader. Galvanizzando così il plotone di esecuzione degli scassatutto. Dall’emerita costituzionalista e tardo girotondina Lorenza Carlassare (per altro sfanculata dal blog di Grillo il giorno dopo che il M5S aveva aderito con l’emerita al fronte di opposizione al ddl renziano) ai repubbliconi di Libertà e Giustizia, dalla comune giustizialista di Padellaro&Travaglio a Sel.
La risposta di Renzi non si è fatta attendere ed è stata altrettanto frontale. Prima con l’intervista al Corriere della Sera dove a chi lo accusa di usurpare la Carta e di «svolta autoritaria» ha rifilato un bel calcione nelle terga. «Io ho giurato sulla Costituzione, non su Rodotà o Zagrebelsky». Ce n’è anche per Bruto: «Mi colpisce che la seconda carica dello Stato, cui la Costituzione assegna un ruolo di terzietà, intervenga su un dibattito non con una riflessione politica e culturale ma con una sorta di avvertimento: “Occhio che non ci sono i numeri”. Mai visto una cosa del genere! Se Pera o Schifani avessero fatto così, oggi avremmo i girotondi della sinistra contro il ruolo non più imparziale del presidente del Senato». Poi Renzi chiude la partita in Consiglio dei ministri. E delle obiezioni al curaro di tromboni e buontemponi, non resta che cenere al vento.
Eh sì, come ha notato Repubblica, il premier è apparso particolarmente “carico” nella conferenza stampa in cui ha dato notizia che non solo il ddl di riforma del Senato era stato approvato all’unanimità. Ma che o si fa così, e in fretta, o non è escluso neppure il voto anticipato. Dunque il Senato non sarà più elettivo, i senatori non riceveranno più alcuna indennità, non parteciperanno al voto di fiducia, né a quello sul bilancio. Poi, entro fine aprile seguiranno altri provvedimenti (abolizione del Cnel e approvazione del Documento di economia e finanza). Gli ottanta euro promessi in busta paga? Saranno nell’uovo di Pasqua.
La posta in gioco oltre il Senato
Renzi ha qualcosa da dire anche a Paolo Romani, Forza Italia, che gli pronostica un seguito parlamentare da Vietnam (come per altro è probabile accada). Ma Renzi, appunto, è “carico”. «Romani parla di Vietnam? Ha visto troppi film…». Però, qualche film tipo La stangata deve esserselo goduto anche Matteo. Cosa leggere infatti nel testo sottotraccia alle sue dichiarazioni in conferenza stampa («è fondamentale che si arrivi all’approvazione della prima lettura del ddl di riforma al Senato entro il 25 maggio» e «sono assolutamente certo che non ci saranno tra i senatori persone che non colgano la straordinaria opportunità che stiamo vivendo») e, successivamente, ai microfoni di SkyTg24 («Andare al voto? Non ci voglio neanche pensare. Io non faccio minacce, non dico ora vi mando alle elezioni, ma non sono qui per tutte le stagioni»)? Significa proprio quello: o così, o si va alle elezioni. E con questo chiaro sottotesto: compagni dissenzienti, chi credete che deciderà i nomi da inserire nelle liste elettorali?
E con un Renzi così in palla, che ha appena “impressionato” col suo programma di riforme Merkel, Obama e il resto della comunità politica euro-atlantica, ci può stare perfino il voto anticipato durante l’anno in corso. Tanto più all’indomani del 25 maggio, che si prospetta, appunto, come una stangata agli oppositori e una scorpacciata per la linea delle rottamazioni. Il giorno dopo le europee, se la musa lo ispirasse e il ronzio degli oppositori lo annoiasse oltremodo, Renzi potrebbe prendere la palla del consenso al balzo e dire, «sapete che c’è, voglio quel 51 per cento che sognava Berlusconi e fare le riforme che Berlusconi non è riuscito a fare».
In effetti, blindato Berlusconi (il 10 aprile arrivano gli arresti domiciliari o l’affidamento ai servizi sociali), chi può fermarlo? Ci stanno provando i ragazzi del coro. Quelli per cui, a far data 28 marzo, giorno di pubblicazione sul Fatto quotidiano dell’appello di Rodotà e Zagrebelsky, Matteo Renzi è entrato ufficialmente nel novero dei cinghialoni, caimani, satrapi e pifferai da «fermare». D’altronde è così che ragiona la soperchieria d’antan: se riformi la Costituzione, sei alla «svolta autoritaria». Se non giuri su Zagrebelsky e Rodotà, sei uno «che dà al presidente del Consiglio poteri padronali». Anzi. Sei un piduista. Ergo «bisogna fermare questo progetto», scrive il direttore del Fatto quotidiano – e qui Antonio Padellaro si appella ai beati – «come fece Scalfaro nel 2006».
Quando tutto è cominciato
Insomma, siamo sempre lì, alla «Costituzione più bella del mondo». All’appello di Giuseppe Dossetti del 1994, pubblicato su Resistenza Unita contro la «minaccia di improvvise revisioni della Costituzione». Siamo a Libertà e Giustizia e alla solita compagnia di giro della Repubblica. Questa volta però con un direttore (Ezio Mauro) molto imbarazzato. Perché? Perché questa volta l’editore e il Fondatore, Carlo De Benedetti e Eugenio Scalfari, sono altrove e l’adesione di Grillo che va ad allargare il club di quelli che firmano tutto (pure per la lista “L’altra Europa con Tsipras”) comincia a delineare una compagine un po’ inquietante per chi si ritiene sempre un passo avanti al progresso dell’umanità e all’intelligenza di noi mortali.
Il film non è proprio recentissimo. Girotondi, popolo dei fax, “resistere, resitere, resistere”. Ma quanto tempo è passato? Sono vent’anni esatti. Era il marzo 1994. Silvio Berlusconi vinceva le sue prime elezioni a mani basse e con un programma elettorale il cui punto qualificante era proprio l’antesignano di quello di Renzi: un progetto di riforma costituzionale, da approvare con chi ci stava, anche solo a maggioranza. Sembra il patto del Nazareno. Allora era soltanto il legittimo obiettivo del nuovo astro, Forza Italia, che irrompeva nel panorama di macerie giudiziarie dei partiti di Prima Repubblica. Allora fu il monaco Dossetti a sentire l’urgenza di uscire dal convento in cui si era volontariamente recluso da trent’anni. E a brandire la reazione al Berlusconi vincente nel nome di una Costituzione, scrisse il Dossetti dell’aprile 1994 all’allora al sindaco di Bologna, «nei suoi presupposti supremi in nessun modo modificabili».
Gli stessi vecchi strilli
In quella missiva del sacerdote-politico a cui fu caro ogni articolo e comma della Costituzione (eccetto, a quanto pare, quelli in difesa della libertà di educazione e della famiglia), c’erano già tutti gli ingredienti della ricetta che avrebbe ingrassato l’antipolitica. Da Bossi a Grillo. Da Borrelli a Ingroia. Dalla Repubblica al Fatto quotidiano. «Auspico ancora la sollecita promozione a tutti i livelli – scriveva Dossetti – dalle minime frazioni alle città, di comitati impegnati e organicamente collegati, per una difesa dei valori fondamentali espressi dalla nostra Costituzione: comitati che dovrebbero essere promossi non solo per riconfermare ideali e dottrine, ma anche per un’azione veramente fattiva e inventivamente graduale, che sperimenti tutti i mezzi possibili, non violenti ma sempre più energici, rispetto allo scopo che l’emergenza attuale pone categoricamente a tutti gli uomini di coscienza». E ancora: «Si tratta cioè d’impedire a una maggioranza che non ha ricevuto alcun mandato al riguardo, di mutare la Costituzione… Altrimenti sarebbe un autentico colpo di Stato».
Cosa strillano ancora oggi gli antiberlusconiani che transitano in antirenziani, sia che salgano sul tetto del parlamento e insultino i loro colleghi deputati, sia che facciano la guardia ai pm d’assalto e montino in prima pagina la panna dell’indignazione? «Stravolgimento della Costituzione». «Svolta autoritaria». «Colpo di Stato Renzi-Berlusconi». Insomma, mettete Zagrebelsky e Rodotà al posto di Dossetti e Scalfaro, Grillo al posto di Borrelli, Travaglio al posto di Scalfari. E siamo ancora all’aprile 1994.
A proposito. Come dice Grillo nell’intervista a Mentana? «Renzi è cattivo, mente sapendo di mentire. Questo bambino l’ho conosciuto, non riesco neanche più a prenderlo per il culo». Sente l’alito sul collo di uno più allegro e costruttivo, anziché cupo e dissolutore? Vabbè. «I tg dovrebbero essere processati, e non rida Mentana, lei è lì lì». In realtà, il comico che ha cresciuto gente poco allegra, gente che esce da un aula consiliare per non sporcarsi l’udito con le parole di un cardinale (Scola, intervento in Regione Lombardia, febbraio 2014), che improvvisa il gay pride dei poveri a palazzo Madama (settembre 2013) e abolisce il quoziente familiare per finanziare le coppie arcobaleno (sindaco Pizzarotti, Parma, marzo 2014), sembra avvertire il fiato sul collo di un tale più veloce e astuto di lui.
Mentre Silvio Berlusconi, più che preoccupato, sembra malinconico: egli in cuor suo sa che il “fare cose” di Renzi sono tutte le cose che hanno impedito di fare a lui. «Forza Italia ha aperto la strada delle riforme e l’Italia sarebbe già una democrazia più moderna se nel 2006 la stessa sinistra che oggi si rivolta contro Renzi non fosse riuscita con un referendum a bloccare la rivoluzione istituzionale. Speriamo che le divisioni emerse non affossino il tentativo di modernizzare le nostre istituzioni. La sinistra non scarichi ancora una volta sugli italiani i propri problemi». Questa volta, per la prima volta, il leader di Forza Italia sente di aver trovato un successore. Purtroppo, penserà, è dalla parte sbagliata.
Come finirà questo ciclone
Non è ancora tempo di bilanci per il fenomeno fiorentino. Dopo tutto ha solo messo un sacco di carne al fuoco e imposto (ad amici e nemici) un’agenda riformista da guinness dei primati. Il primo Consiglio dei ministri Renzi l’aveva convocato il 22 febbraio, a ridosso del passaggio di consegne, della campanella e dei 20 secondi di gelo tra lui e il flaccido Enrico Letta. Non sono neanche passati due mesi, ma il ciclone non si attenua. Se mantiene questo passo il ventennio di egemonia profetizzatogli da Eugenio Scalfari comincerà davvero a profilarsi. A partire da un sicuro successo alle europee. Con questo Renzi finisce davvero la guerra dei vent’anni. Oppure continua il film del 1994. Arriva la rivoluzione di Matteo (e Silvio). Oppure arriva l’avviso di garanzia al neo-Caimano (o al suo governo).
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20 commenti
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Certo che le ricosrtuzioni dei fatti che fà Amicone fanno proprio vedere che gira i fatti per farci credere cose non vere.
2 esempi:
“Sono vent’anni esatti. Era il marzo 1994. Silvio Berlusconi vinceva le sue prime elezioni a mani basse”
Ma se al Senato ottenne la fiducia due o tre voti di quali mani basse parla Amicone? Mistero.
“Mentre Silvio Berlusconi, più che preoccupato, sembra malinconico: egli in cuor suo sa che il “fare cose” di Renzi sono tutte le cose che hanno impedito di fare a lui. «Forza Italia ha aperto la strada delle riforme e l’Italia sarebbe già una democrazia più moderna se nel 2006 la stessa sinistra che oggi si rivolta contro Renzi non fosse riuscita con un referendum a bloccare la rivoluzione istituzionale.”
Ma vi sembra che la proposta attuale sia uguale a quella del 2006? Sono due cose completamente diverse e la MAGGIORANZA DEGLI ITALIANI e non la sinistra impedì di approvare quella riforma che conteneva alcune cose buone ma anche tante altre indigeste anche a gente che votava abitualmente a destra.
Informazione per Amicone, quello che il suo giornale continua a farci credere sia il peggior presidente degli Stati Uniti ha già dato a SETTEMILIONI di americani, che ne erano privi, l’assistenza sanitaria.
Condivido l’analisi pienamente.
Lupo, non mi vorrei sbagliare, ma mi pare che parlando di “mani basse” si voglia intendere che nel 1994 Berlusconi vinse le elezioni fondando un partito dal nulla, sconfiggendo in pochi mesi la “gioiosa macchina da guerra” di Occhetto.
Ti faccio anche notare, visto che ami la precisione, che 15.783.269 voti non sono la maggioranza degli italiani, specie se la scrivi tutta maiuscole.
Per me mani basse vuol dire stravincere e non vincere fondando un partito dal nulla.
Hai ragione sui 15milioni di voti, mi sono dimenticato dei bambini, la tua mi sembra una inutile precisazione in quanto anche Berlusconi quando nel 2008 ha stravinto le elezioni, non ha preso 30milioni di voti, ma vatti a rileggere le trionfalistiche dichiarazioni del tempo che, giustamente, parlavano di maggioranza degli italiani. Comunque rimane il fatto che i 15milioni che respinsero la riforma non erano solo gente di sinistra,
Bene, abbiamo chiarito che Lei e Amicone avete un diverso concetto del significato di “mani basse”, e che la “maggioranza degli italiani” non son certo quindici milioni su quasi sessanta milioni.
Ora me lo segno.
Una squadra che vince 1 a 0 ha vinto a mani basse?, Non è una mia opinione ma un concetto chiaro alla maggioranza delle persone. Provi a sondare tra i suoi amici e forse capirà meglio.
Sulla “maggioranza degli italiani” lei continua a contare anche i bambini. Contento lei……….
Hai ragione Lupo, vincere uno a zero non è vincere a mani basse, però se a vincere è la squadra dei pulcini contro la nazionale…
Mi dimenticavo di farti notare che gli aventi diritto al voto per il referendum del 2006 furono 49.772.506, tra cui immagino non ci fossero i bambini che tu dici, pertanto, dal momento che a votare NO furono solo 15.783.269, neanche fra mille anni potrai mettere in maiuscolo che il referendum in questione fu bocciato dalla maggioranza degli italiani.
Va da sé, però, che il quorum fu raggiunto.
Quando non si vuol capire il ragionamento, rileggiti sopra cosa esattamente contestavo ad Amicone. Per tua informazione non c’è quorum sui referendum costituzionali.
Grazie dell’informazione, lo avevo dimenticato (si invecchia!).
Comunque Luigi, non ti crucciare, il tuo ragionamento non è difficile da capire.
IIo però ti volevo solo far notare che la “maggioranza degli italiani” in quell’occasione o andò al mare o votò sì (rispettivamente 23.661.581 andarono al mare, 15.783.269 votarono no).
Ma questo è un dettaglio da pignoli e basta, perché è il risultato che conta, ovvero che gli italiani non approvarono la riforma mantenendo lo status quo.
Perfetto gli italiani e non la sinistra respinsero la riforma, anche perchè i favorevoli furono solo 9.970.513. Quindi Amicone con la sua affermazione dice una falsità storica.
La riforma del Senato di Renzi fa acqua da tutte le parti, ma se si riuscirà almeno a porre fine al bicameralismo in questo paese sarà un passo avanti. Alla faccia dell’ex fascista Dossetti, dell’eutanasico Rodotà e del giacobino Zagrebelsky.
Tutto quello che non va bene a grasso, rodota, e zagrebelsky, è cosa buona, e sa da fare!!!!
Purtroppo per le legittime aspettative di molti, chi, come il sottoscritto, conosce bene il soggetto per averci avuto a che fare quando era presidente della sua provincia prima e quando era sindaco della sua città poi, Renzino detto Spendaccino è un pallone gonfiato contenente tanto gas da far invidia all’Hindenburg, e c’è da scommettere senza rischiar tanto che farà la stessa fine del famoso dirigibile.
Ciò anche a prescindere dall’opera di logorio operato dalle varie cariatidi rinseccolite ancora in attesa di definitiva sepoltura nell’ossario ideologico della sinistra, il cui putridume intellettuale il Direttore così efficacemente e sagacemente tratteggia in questo articolo.
Il tuo livore nei confronti della sinistra traspare da ogni tua parola e adesso che il vostro idolo va agli arresti domiciliari potete solo schiumare rabbia. E’ un peccato sentirti parlare così del tuo ex sindaco perché Firenze è una bellissima città e le bischerate dei toscani sono divertentissime.
Capisco del resto che per un conservatore come te anni di amministrazione rossa ti abbiano segnato.
Capisco che dovendo per forza scrivere qualcosa ti attacchi a tutto (ti pagano a cottimo?), ma di me tutto si può dire e pensare fuorché abbia eletto a mio idolo Silvio Berlusconi (immagino sia a lui che ti riferisci) o lo abbia eletto a qualsiasi ruolo, visto che non l’ho votato in vita mia, tanto più che bisogna essere veramente dei tonti perfetti per voler individuare una qualche discontinuità tra il “Berlusconismo” e il “Renzismo”.
Eh sì, i pregiudizi ti fregano sempre, eh?
Per quanto riguarda il resto ti assicuro che il regime rosso che vige da queste parti ha ben poco da invidiare alla mafia, sia per quanto riguarda le finalità (far quattrini soprattutto a spese dei lavoratori) e sia per quanto riguarda l’uso spregiudicato di metodi intimidatori in tutti i settori della società civile, compreso il bavaglio prezzolato alla stampa.
Se ti interessa questo punto ti ci posso fare anche una conferenza.
E bada bene che questo lo affermo da ex simpatizzante e ex elettore comunista. Pensa un po’ quante ne ho da dire!
Anche io sono fiorentino, ma a differenza sua non sono un ex-comunista livoroso.
A mio avviso Renzi è stato bravissimo. Prima di lui Firenze era bloccata da una lobby massonica perfettamente in accordo con l’amministrazione. Costruivano tutto loro, solo loro. Comandavano su tutto.
Con Renzi è finito il bengodi, ed è per questo che chi ci mangiava tanto e bene lo odia a morte.
Naturalmente c’è anche la sinistra oltranzista per cui vengono prima gli ideali, poi gli ideali, e poi ancora gli ideali. Ideali vecchi e ammuffiti ma da bravi atei è tutto quello che hanno.
Ecco perché lui è abituato a navigare di prua. Che voglia fare quel che ha detto di voler fare, non ci piove.
Non so se ci riuscirà. Parlano di 40 voti di scarto. 40? Magari ne avesse così tanti!
Tanto per cominciare, caro palle, livoroso sarai te e, senza offesa, tu sei anche un tantino bischerello, dato che credi che con Renzino Spendaccino sia finito lo strapotere della consorteria che governava e governa la Toscana! Ah, ah, ah!
Bisogna essere un po’ bischerelli, infatti, per non accorgersi che sulla nostra testa si consuma da anni e annorum un colossale inciucione tra cosiddetta destra e cosiddetta sinistra per spartirsi la torta dei quattrini (emblematico è il caso MPS!), mentre l’economia toscana va in malora o in mano ai cinesi!
Basta vedere come la destra, in occasione di ogni elezione, faccia di tutto per perdere in modo da mantenere lo status quo.
Ma che gli sto a spiegare a uno che crede che Renzi sia il salvatore della patria!
Scusa se vo’ sul personale, ma almeno ti pagano per scrive codeste bischerate?
E perché mai uno che prima era comunista oggi dovrebbe essere livoroso?!
Accetto la sfida sul tema ma non essendo io fiorentina vorrei allargare il tema a livello nazionale, tema peraltro dell’articolo.