
Un’amica mi inoltra su WhatsApp la clip della trasmissione di Tg Leonardo del 2015 nella quale si parlava di un supervirus creato da ricercatori cinesi. I commenti che circolano l’hanno convinta che si tratti del Covid-19 che sta mietendo tante vittime e devastando l’Italia. Spiego in due parole che il virus attuale non è ingegnerizzato, quindi non può essere lo stesso del 2015, e per rendere più convincente la mia spiegazione cito il nome di un sacerdote, biologo e bioeticista di fama, che su questi argomenti è un’autorità. Risposta della mia amica, credente e praticante: «Continuo ad avere qualche dubbio». Cito il fatto che non c’è un virologo o epidemiologo disposto a sostenere che il Covid-19 sia un virus costruito in laboratorio: niente da fare, a Wuhan c’è un laboratorio che studia i virus, l’epidemia è scoppiata lì, dunque le due cose devono essere legate.
La sera mi sento al telefono con un amico sacerdote; il discorso inevitabilmente cade sull’epidemia, dalle considerazioni sull’epidemia si passa a quelle sulle origini di tutta la faccenda: «È senz’altro la conseguenza di un esperimento di guerra batteriologica», sentenzia il mio interlocutore. Faccio presente che l’origine del virus è senz’altro naturale, che non è la prima volta che un coronavirus passa dagli animali all’uomo, e che esistono già virus e batteri mille volte più potenti del Covid-19 per fare la guerra batteriologica: il problema per chi li coltiva è come usare queste orribili armi danneggiando solo i nemici e non anche se stesso, non certo inventare virus nuovi. Niente da fare: le mie parole scivolano come acqua sulla pietra.
Diverse risposte
Perché le teorie complottistiche fanno presa tanto facilmente su persone di ogni livello sociale e intellettuale? Perché oggi come dieci secoli fa tanta gente è disposta a credere che un’epidemia sia conseguenza di atti umani intenzionali? Le risposte sono più di una. Vanno dall’esistenza di meccanismi psicologici molto primitivi ma tuttora funzionanti nelle nostre società, a un’ulteriore mutazione genetica (mi si perdoni la metafora) della psicologia umana avvenuta in epoca moderna. Contro il complottismo sono vaccinato (altra metafora da brivido) a motivo di esperienze personali dirette: in Africa ho visto coi miei occhi morire giovani uomini a causa di un’interpretazione della malattia come combinato disposto di cause soprannaturali e antropogeniche. Nella tradizione africana le malattie sono causate dall’azione di spiriti malvagi, che sono stati messi in moto da riti compiuti da stregoni: quella che nell’Italia contadina di un tempo era chiamata la “fattura”. Capita che gli africani portino un familiare malato dal guaritore tradizionale anziché all’ospedale perché si attendono la guarigione da un esorcismo piuttosto che da un farmaco: il guaritore tradizionale non usa medicine, ma pratica riti che ristabiliscono l’equilibrio rotto dall’azione dello stregone. Capita che a causa di tutto ciò malati che potrebbero essere salvati muoiano: sono stato testimone oculare di questo; di più: insieme ad altri ho tentato di evitarlo. Inutilmente. E quel fallimento mi ha marchiato per sempre.
Da cosa nasce questo particolare genere di complottismo? Da due fattori, direi: in primo luogo l’esigenza di trovare una spiegazione a un ignoto che ci spaventa, l’insopportabilità dell’ignoranza davanti a qualcosa che minaccia noi stessi e il nostro mondo, affettivo e materiale; quindi il bisogno di allontanare da noi stessi il senso di colpa e di evitare di essere accusati a nostra volta. Se il colpevole dell’accaduto è Tizio, nessuno potrà dire che è colpa mia; se il colpevole è Tizio, io sono salvo. Se il colpevole è Tizio, non devo più sentirmi in colpa per non essere riuscito a salvare la vita della mia piccola figlia, del mio vecchio padre, di mio fratello, ecc. La spiegazione complottista dà l’illusione di eliminare l’ignoranza e con ciò allontana l’angoscia, che è paura di un pericolo indefinibile e incontrollabile.
Invidia e complesso di inferiorità
Le teorie del complotto rientrano totalmente nella logica del capro espiatorio: dare la colpa dei nostri insuccessi, dei nostri fallimenti, dei nostri mali a qualcun altro. Ieri agli ebrei, oggi agli americani o ai cinesi. Al tempo della peste nera (1347-1352) a finire sul banco degli imputati, e a pagare un enorme tributo di sangue innocente, furono gli ebrei; ci vollero due bolle pontificie di papa Clemente VI per frenare le aggressioni contro di loro e per discolparli ufficialmente della responsabilità di avere causato la peste. Cosa hanno in comune gli inermi ebrei del Trecento linciati a Basilea, a Strasburgo, a Magonza, a Francoforte con le grandi potenze economiche e militari odierne, gli Stati Uniti e la Cina? Tutti e tre incarnano agli occhi del resto dell’umanità un’alterità irriducibile e un potere superiore che può essere solo invidiato. Sono diversi da noi e ci dominano col loro potere: quello dei banchieri ebrei del Trecento, quello commerciale della Cina, quello militare e finanziario americano. È a causa dell’eccellenza altrui che noi ci troviamo in condizioni deplorevoli, è a causa della ricchezza altrui che siamo poveri: l’invidia e il complesso di inferiorità scatenano le accuse.
A questi fattori psicologici che sono sempre gli stessi dalla notte dei tempi, si aggiunge in epoca moderna un elemento culturale che è prodotto dall’egemonia della visione illuminista del mondo: non esistono più cause naturali degli eventi, perché attraverso la ragione strumentale e la tecnica che ne è espressione e mezzo l’uomo controlla e determina tutti i processi detti un tempo naturali. Da ciò discende che ogni evento è merito suo, oppure colpa sua. Nella cultura contemporanea quando accade qualcosa di spiacevole si cerca immediatamente il colpevole: dunque ogni calamità è il prodotto di un’azione umana.
Il banco degli accusati
Possiamo tirare i remi in barca e lasciare illustrare la cosa ad Alain Finkielkraut, che nel suo prezioso Noi, i moderni spiega nell’ultimo capitolo, “L’Età dell’Oro per l’accusa”, che due secoli e mezzo dopo il terremoto di Lisbona che tanti dibattiti scatenò fra i teologi e i filosofi del tempo
«abbiamo messo in pratica l’esortazione (di Voltaire, ndr) a coltivare il nostro giardino con un tale ardore e una tale efficacia che ormai non esistono più catastrofi naturali. Il giardiniere è onnipresente. Non si trova più nulla sella terra che non porti la sua impronta, e persino in cielo. Da vicino o da lontano, egli è coinvolto in tutto quel che accade. (…) La differenza fra l’artificiale e il naturale è scomparsa, il naturale è stato inghiottito dalla sfera dell’artificiale. Ma che succede quando cade una frontiera immemorabile come questa (…)? L’uomo, a quel punto, siede da solo sul banco degli accusati del male che avviene sulla terra (…) tutti i disastri del mondo vengono moralmente imputati alla malvagità o all’incuria umana. Nihil est sine auctore: tutto ciò che accade ha la sua ragion d’essere, ogni calamità ha il suo artefice, ogni sofferenza il suo colpevole».
L’uomo contemporaneo «nega il fortuito, non sopporta di vivere nell’inspiegabile. Risponde alla tragedia con la paranoia. All’assioma “tutto è bene” dei teologi e dei metafisici oppone non l’idea dell’assurdo, ma quella della “cosmocriminologia”». Cioè l’idea che ogni singolo evento che causa infelicità nel mondo rappresenti un crimine compiuto da umani criminali.
Soffocare l’angoscia
Per cui alla fine ecco
«l’inattesa conseguenza dell’umanizzazione del mondo: l’accusa illimitata. All’interno di un universo popolato ormai da oggetti ibridi, in una natura divenuta tecnonatura, il funzionamento è la regola e, se il sistema si blocca o cade a pezzi, uno ha il diritto di cercare il difetto o l’errore di concepimento. Con l’aiuto del progresso, le catastrofi hanno smesso di essere uno scandalo metafisico (Voltaire) per diventare col passar del tempo uno scandalo quasi interamente politico (Rousseau)».
Paradigma tradizionale del capro espiatorio e moderna “cosmocriminologia” si sono impastate e ci hanno regalato i complottismi contemporanei. Che proliferano non grazie al web – quello è solo lo strumento – ma a causa della superbia umana che non riconosce il Mistero e riconduce tutto all’uomo, e della necessità di soffocare l’angoscia che da tale negazione deriva.