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Caos AstraZeneca, non perdiamo tempo a idolatrare la scienza, diamole tempo

Non esiste un'ora X per l'immunità, gli esperti si contraddicono, mancano le dosi. Ma pretendere miracoli immediati dalla medicina è sciocco tanto quanto negarne l'efficacia. Non serve fanatismo, serve un piano credibile per vaccinarci e ripartire

Caterina Giojelli
09/04/2021 - 3:00
Interni
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«All’Ema partecipano tutti i Paesi europei però dopo i pareri dell’agenzia ogni Stato fa quello che vuole. Chi ha posto limiti ai 60 anni, chi a 65, chi parla di rischi per le donne, chi no. È incredibile. Avere una sede europea per decidere su farmaci e vaccini era una delle poche cose utili fatte a livello continentale». 

“Era”: ha ragione da vendere Silvio Garattini, presidente del Mario Negri, esprimendo sconcerto in un’intervista a Repubblica per l’ennesima raccomandazione del Consiglio superiore di sanità (privilegiare la somministrazione alle fasce di età over 60) che annulla le precedenti sul vaccino AstraZeneca. «Mentre l’altra volta non si era trovato un nesso di causalità (tra gli eventi rari di trombosi e il vaccino, ndr), oggi è dichiarato plausibile anche se non dimostrato» ha spiegato il presidente Franco Locatelli, sottolineando però che i benefici del vaccino anglo-svedese «superano di gran lunga i potenziali rischi, molto rari».

Vaccino di AstraZeneca «nato male»

Grazie tante: anche prevedere che dopo l’ennesima mossa dei nostri capi scienziati «chi ha meno di 60 anni non se lo farà somministrare di certo» (come dice Garattini stesso) è plausibile, così come immaginare che i riottosi under 60 supereranno di gran lunga gli entusiasti di AstraZeneca. Conclude Garattini:

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«Questo vaccino è nato male. I primi pasticci li ha fatti l’azienda, con comunicati e altre prese di posizione discutibili. Poi anche noi. Prima in Italia abbiamo detto che andava bene per gli under 55, poi prima abbiamo alzato la soglia e dopo l’abbiamo tolta. C’è stato un problema che ha portato al ritiro di un solo lotto, mentre tutti gli altri potevano continuare ad essere usati, ma poche ore dopo la Germania ha sospeso l’uso gli siamo andati dietro. Non si crea fiducia nei cittadini con questa politica. E perdere fiducia in questo momento è pericoloso».

Un vaccino non è un miracolo

Il punto è sempre lo stesso, pretendere dalla scienza un miracolo e non, come abbiamo scritto più volte, una ragionevole approssimazione al bene, cioè ciò che può darci un vaccino: per contrastare il Covid, è meglio farlo che non farlo. E laddove i vaccini viaggiano spediti (in Inghilterra anche col siero anglo-svedese) calano contagi, ricoveri e mortalità. Questo è un dato.

Ce n’è anche un altro: l’Ema che approva AstraZeneca per tutte le età (segnalando però che ci sono pochi dati sull’efficacia per le fasce più avanzate), l’Aifa che suggerisce allora la somministrazione fino ai 55 anni e che dopo l’arrivo dei dati mancanti alza la soglia e ora il Css che la limita agli over 60, non sono sintomo di un vaccino di per sé pericoloso, tossico o inefficace, ma di un percorso di approvazione accidentato fisiologico alla scienza stessa: la scienza ha bisogno dei suoi tempi di verifica e vigilanza – come ci spiegava il professor Perno «non è mai successo nella storia che un vaccino arrivasse all’uso su scala mondiale in pochi mesi» -, e si esprime all’interno di un rapporto beneficio-rischio. Sempre, «non ci sono farmaci innocui, neanche vaccini», «non c’è niente di gratuito», ha ricordato Garattini. 

Il manicheismo vax e no vax

Quello che c’è ed è pericoloso – e non si può non rilevare nel momento in cui il destino delle riaperture resta appeso ai ritmi di immunizzazione – è la schizofrenia di chi ancora pensa di affrontare l’emergenza sanitaria filtrando con la logica manicheista in cui la pandemia ha precipitato la società: tutti vogliamo uscirne, e tuttavia tra il fanatismo di chi vede nella vaccinazione il miracolo della modernità, che come tale non ammette né incidenti né disertori, e il no vax ideologizzato, che vede nel vaccino, qualunque esso sia, uno strumento di sottomissione a non meglio definiti poteri, c’è anche un mondo che ha fiducia nel progresso della scienza nella misura in cui procede nel bilanciamento di ogni aspetto della vita sociale. 

Un progresso non miracolistico ma laico, inclusivo e non divisivo, basato sulla trasparenza e non sui contratti secretati. Un progresso che si fa percepire positivo innanzitutto nel metodo, così da sgombrare il campo da paure, inquietudini, diffidenze e da tutti quei sentimenti ovvi (che andrebbero capiti e non offesi o sbeffeggiati con articoli sulle percentuali di morti causate da alcol o aspirina) dei suoi destinatari.

Primule e spot senza dosi

«Ogni volta che si parla di riaperture, il governo risponde: dipende dai dati. Giusto. Ma quali? Cominciamo ad essere un po’ disorientati», ha scritto Antonio Polito sul Corriere, sottolineando l’incomunicabilità tra i paladini delle riaperture e i difensori della prudenza: il numero dei morti, quello dei posti disponibili in terapia intensiva, il famigerato indice Rt, la percentuale di positivi su tamponi effettuati e ora il numero dei contagiati ogni centomila abitanti, ma chi chiede di riaprire «piuttosto che dati chiede date», «se non una data fatale, se non un dato finale, almeno ci serve una “road map”: un piano credibile di ritorno progressivo, prudente e graduale, ma subito operativo, per riaprire l’Azienda Italia», scrive sempre Polito.

E non è diverso dal piano credibile che andrebbe rivendicato dalla campagna di vaccinazione, ora attesa, ora annunciata con tanto di primule, spot d’autore e appelli al volemose bene, ora rallentata dal rifornimento delle dosi, ora dai caveat su chi vaccinare, quando e con cosa, il tutto all’interno di uno scenario che ha evidentemente banalizzato la vaccinazione stessa, propinandola come iniezione che si può fare ovunque, «anche nei parcheggi», «chiunque passa va vaccinato», mentre nel frattempo aumentano le varianti e i caos dei ritardi e degli errori delle piattaforme per le prenotazioni, gli allarmi: «Mancano le dosi».  

Alla scienza serve tempo, non caos

Serve tempo alla scienza, serve tempo per confidare nell’ingegno umano, perché le vaccinazioni facciano effetto, per osservare il loro impatto sul blocco delle infezioni e della comparsa della malattia, sulle varianti, sulla durata e il tipo di immunità. Quello su cui non può perdere tempo è vendere chimere o certezze assolute che – lo dimostra il caso di AstraZeneca – potrebbero essere smentite o contraddette dalla scienza stessa e per bocca dei suoi stessi anfitrioni. Un caos che ha un costo in termini di vite e ricchezza persa (qui il Corriere riprende uno studio di Christian Gollier, dell’università Toulouse-Capitole, per il Cepr), non addebitabile al fanatismo antivaccinista, e a procrastinare qualunque ripartenza a un’ora X allo scadere della quale «saremo tutti immunizzati e al sicuro», conclude il bravo Polito:

«Dipende da quante varianti sorgeranno, da che efficacia conserveranno i vaccini e di che revisioni avranno bisogno, da quanto in fretta riusciremo a immunizzare quella parte del mondo che è più povera della nostra, ma con la globalizzazione è una vicina di casa. Probabilmente dovremo vaccinarci ogni anno, come per l’influenza; dovremo continuare a portare a lungo la mascherina, come i giapponesi fanno dai tempi dell’epidemia di Sars; dovremo mantenere alcune forme di distanziamento sociale. Ma è per questo che ci eravamo detti che avremmo dovuto imparare a convivere con il virus. Al momento ce ne sentiamo invece ancora e soltanto ostaggi».

Foto Ansa

Tags: antonio politoastrazenecaCarlo Federico PernoCoronavirusCovid-19cssemamedicinaSilvio Garattinivaccinazionevaccino
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