Perché Erdogan continua a giocare di sponda col nemico Putin
Il danno e la beffa: a ufficializzare la notizia che la Turchia, il secondo paese della Nato per numero di militari operativi, aveva inoltrato formale richiesta di adesione al gruppo dei paesi Brics+ è stato un alto dirigente del Cremlino, il consigliere del presidente Vladimir Putin per gli affari esteri, Yuri Ushakov. Il 18esimo summit del gruppo Brics diventato Brics+, creato ufficialmente nel 2009 da Russia, Cina, India e Brasile, si svolge infatti quest’anno a Kazan dal 22 al 24 ottobre.
Da un paio di anni Erdogan non perdeva occasione per manifestare l’intenzione della Turchia di aderire al gruppo Brics e alla Sco, l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai di cui fanno parte Cina, Russia, India, Pakistan, Iran e quattro repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale. Lo stesso presidente turco si è sempre premurato di precisare che l’adesione del suo paese a nuove organizzazioni multilaterali non significa un declassamento dei rapporti della Turchia con l’Unione Europea e con la Nato, ma i fatti raccontano una storia decisamente diversa.
Ceffoni e carezze per Putin
Mentre fornisce armi (soprattutto droni) all’Ucraina attaccata dalla Russia, ospita profughi ucraini, media efficacemente per rendere possibile l’esportazione in condizioni di sicurezza del grano di Kiev attraverso il Mar Nero e alle Nazioni Unite vota tutte le mozioni di condanna di Mosca (compresa quella per la sospensione della Russia dalla Commissione per i diritti umani), Ankara rifiuta di applicare sanzioni economiche alla patria di Putin, ospita società straniere che triangolano gli scambi commerciali proibiti con la Russia, favorisce la penetrazione russa nell’autoproclamata Repubblica turca di Cipro nord. E adesso chiede di poter aderire a entità multilaterali nate per contrastare l’egemonia planetaria delle alleanze politico-militari occidentali nelle quali la Russia svolge un ruolo da protagonista.
Il senso della domanda di adesione ai Brics+
Certo, la Turchia non fa parte del gruppo di paesi che combattono frontalmente l’egemonia euro-americana per imporne una alternativa a proprio vantaggio come è il caso di Cina, Russia, Iran e Corea del Nord, ma di quelli che “giocano fra le linee” per trarre vantaggi da tutte le sponde del gioco, come è il caso di India, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Etiopia, eccetera, allo scopo di crearsi un’area di influenza di dimensioni regionali. Sta di fatto che l’annuncio ufficializzato da Ushakov alla vigilia del 18esimo summit del gruppo Brics+ suona come un monito per le crisi a venire. A buon intenditor poche parole: nel caso che la guerra in Ucraina dovesse tramutarsi in una guerra fra paesi europei aderenti alla Nato e la Russia, certamente la Turchia non manderebbe le sue truppe a combattere dalla parte degli occidentali.
Proprio quello che gli interessati osservatori anglosassoni più temono, come dimostra un articolo uscito sul Financial Times il 23 giugno scorso, intitolato “Don’t cut Turkey out of European defence efforts because of Erdogan”. Scriveva l’analista turca direttrice del Middle East Institute di Washington Gönül Tol:
«Anche se il prossimo presidente [degli Stati Uniti, ndt] sarà un eurofilo, la guerra in Ucraina e il tentativo degli Stati Uniti di orientarsi verso l’Indo-Pacifico presentano all’Europa la congiuntura più pericolosa degli ultimi decenni. Per reggere con le proprie gambe in materia di difesa, l’Europa deve iniziare a nutrire idee scomode. Ciò include l’inclusione della Turchia nei piani per aumentare le capacità militari dell’Europa. […] Inoltre, sviluppare la capacità del continente di difendersi da sé è un progetto che copre un’intera generazione, ed Erdogan non governerà la Turchia per sempre. Le elezioni municipali di marzo, che hanno inferto un durissimo colpo al partito al governo, sottolineano l’indebolimento della presa sul potere da parte di Erdogan. Una Turchia post-Erdogan potrebbe cambiare solo in parte la sua politica estera, ma avrà di più da offrire alla difesa europea contro la Russia».
La compiacenza di Mosca verso Ankara e i suoi alleati
Proprio per evitare che una Turchia post-Erdogan rinunci al gioco di sponda con la Russia e identifichi i suoi interessi strategici con quelli dell’alleanza occidentale Mosca sta cercando di compiacere nella misura del possibile l’uomo che da vent’anni è al comando del paese. C’è da credere che le procedure per l’ammissione della Turchia ai Brics+ e alla Sco saranno rapide.
Nel frattempo in Siria Mosca trattiene Assad dal riprendersi i territori sotto il controllo delle milizie ribelli filoturche e del contingente militare turco presente dal 2016, rinuncia a proteggere l’Armenia dall’espansione territoriale dell’Azerbaigian, alleato di ferro di Ankara, che dopo la riconquista del Nagorno-Karabakh minaccia ora il territorio metropolitano armeno, e alletta i turchi con la prospettiva di essere il primo paese al mondo (ovviamente dopo la Turchia) che riconosce la Repubblica turca di Cipro Nord. Dove sono stati trasferiti gran parte dei capitali di oligarchi russi che prima del varo delle sanzioni Ue contro Mosca del 2022 erano depositati in 120 mila conti correnti di banche della Cipro greca, che li ha chiusi per ottemperare alle decisioni prese a Bruxelles. I russi si sono trasferiti da Cipro Sud a Cipro Nord pure fisicamente: il ministero del Turismo della Cipro turca ha registrato quasi 58 mila attraversamenti della linea verde da parte di cittadini russi fra gennaio e settembre del 2023 e 40 mila arrivi direttamente dalla Russia nell’intero anno. Secondo l’agenzia Tass, attualmente i russi che vivono gran parte dell’anno a Cipro Nord sarebbero 50 mila.
Perché la linea di Erdogan durerà più di lui
D’altra parte gli anglosassoni che vorrebbero la Turchia pilastro della Nato e della difesa europea e possibilmente pure dell’Unione Europea in funzione antirussa dopo l’attesa uscita di scena del sultano Erdogan non tengono conto di fattori che invece sono ben presenti sia al capo dell’Akp che ai suoi avversari politici interni: le ambizioni di grandeur turche si scontrano con le aspirazioni della Polonia e dei suoi alleati baltici al ruolo di controparte europea degli Stati Uniti nella Nato, con quelle della Francia di essere l’architrave della difesa europea, col sicuro veto di Francia, Grecia e Cipro a un ingresso della Turchia nell’Unione Europea (la prima per non veder sminuita la propria importanza nell’architettura europea, le seconde per il contenzioso dell’Egeo e di Cipro Nord), con quelle della Francia e dell’Italia nel Mediterraneo e in Africa, aree dove i tre paesi da sempre sono in concorrenza fra loro, e infine col ritorno alla storia della Germania, costretta ad assumersi grandi responsabilità politiche e militari a livello europeo dal nuovo contesto internazionale.
Tutti questi fattori contribuiscono all’opzione di una politica estera e delle alleanze caratterizzata da flessibilità, ambiguità, aggressività e duplicità che la Turchia ha praticato soprattutto dopo l’ascesa al potere di Erdogan, ma che potrebbe essere sostanzialmente proseguita dai suoi avversari interni una volta prese le redini del governo.
Guerre tra imperi di ieri e di oggi
I turchi di ogni persuasione ideologica sono anche consapevoli che l’attuale politica di collaborazione con la Russia non potrà durare per sempre: si basa sull’obiettivo, comune a russi e turchi, di marginalizzare la presenza degli Stati Uniti sul teatro europeo e su quello mediorientale allo scopo di allargare la propria. Ma una volta ottenuto tale risultato, la storica conflittualità che per secoli ha prodotto attriti e guerre fra Impero zarista e Impero ottomano non potrà non riemergere.
Nei Balcani, nel Mar Nero, nel Caucaso, nell’Asia centrale e nel Mediterraneo gli interessi di lungo periodo di Russia e Turchia sono necessariamente conflittuali. Anche oggi russi e turchi sono in lotta fra loro per interposti alleati in Siria, Egitto, Libia e Ucraina. Se nonostante questo Ankara ambisce ad essere parte integrante di organizzazioni che veicolano forti interessi russi come i Brics+ e la Sco è perché in questo momento il comune obiettivo di ridimensionare l’influenza degli Stati Uniti appare più importante.
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