Pakistan, sentenze islamiche sulla pelle di ragazzine cristiane

Di Caterina Giojelli
08 Agosto 2020
Maira, 14 anni, non sarà liberata. L'Alta Corte di Lahore si schiera con il musulmano che l'ha rapita, brutalizzata, costretta ad abiurare e a sposarlo contro la legge

Non sarà liberata Maira Shahbaz, quattordicenne cattolica rapita il 28 aprile scorso nei pressi di casa sua dal musulmano Mohamad Nakash e da due complici armati, costretta alla conversione all’islam e sposare il suo sequestratore, barbiere a Madina Town già sposato e con due figli. Nonostante il Tribunale di Faisalabad ne avesse ordinato il rilascio, riconoscendo la minore età della bambina che invalidava il matrimonio, l’Alta Corte di Lahore ha ribaltato il verdetto il 4 agosto scorso.

È stata «una sentenza islamica», ha denunciato ad Aiuto alla Chiesa che soffre Khalil Tahir Sandhu, il coraggioso avvocato della famiglia di Maira. Era stato lui (per anni compagno di stanza di Shahbaz Bhatti, ministro cattolico che ha sacrificato la sua vita per difendere le minoranze religiose, barbaramente assassinato nel 2011), a dimostrare ai giudici di Faisalabad che Nakash aveva prodotto documenti falsificati sostenendo che la ragazza avesse 19 anni; lui a denunciare il trattamento da bestie riservato alle spose-bambine, quando in primo grado il magistrato Kamran Khalid, «influenzato da circa 150 uomini radunatisi per sostenere Nakash», aveva sentenziato a favore del rapitore.

HUMA, INCINTA, E IL CALVARIO DI MILLE CRISTIANE

Ora Tahir Sandhu promette di ricorrere in appello innanzi alla medesima Alta Corte di Lahore e, in caso di esito negativo, di fronte alla Corte Suprema del Pakistan, la stessa che nel 2018 ha assolto Asia Bibi. Lo farà per Maira, per la mamma Nighat, che disperata teme di non vedere mai più sua figlia, e per tutte le ragazzine e donne cristiane costrette in Pakistan ogni anno a subire il canovaccio di molti uomini musulmani: sequestro, stupro, conversione all’islam, matrimonio, umiliazione in tribunale. Si calcola che siano oltre mille. Ragazzine come Huma Younas, anche lei cristiana rapita a ottobre, quando aveva ancora 14 anni, a Karachi, convertita, sposata, stuprata e messa incinta dal musulmano Abdul Jabar.

Per lui la coraggiosa Tabassum Yousaf, avvocato che segue il caso affidatole dalla Commissione Giustizia e Pace dell’arcidiocesi di Karachi, ha chiesto l’arresto presentando istanza all’Alta Corte del Sindh, la provincia di Karachi, accusandolo di rapimento, conversione forzata e matrimonio forzato, e per lui il Tribunale di Karachi ha emesso a luglio un ordine di comparizione davanti alla corte: anche in questo caso sarebbe stata riconosciuta la minore età della ragazza.

L’ULTIMA «SENTENZA ISLAMICA» VIENE DAI GIUDICI DI LAHORE

In Pakistan l’età minima per sposarsi è 18 anni, non così pensano le corti islamiche, che invece ammettono matrimonio fin dal primo ciclo mestruale. L’apertura del Tribunale di Karachi, unitamente a quella del Tribunale di Faisalabad, che insieme al rilascio aveva disposto che la ragazza fosse trasferita a Dar ul Aman, un rifugio per donne, in attesa della sentenza dell’Alta Corte di Lahore, aveva aperto uno spiraglio di speranza sulla vicenda di Maira. Poi, il pronunciamento: nonostante la normativa pakistana preveda per i minorenni la possibilità di abiurare solo con l’autorizzazione del genitore, secondo il giudice Maira si sarebbe convertita all’islam, ciò basta a validare il matrimonio.

«Con questa sentenza nessuna ragazza cristiana è sicura in Pakistan», ha commentato l’attivista per i diritti umani Lala Robin Daniel, amico e vicino di casa della famiglia di Maira, la bambina costretta ad abbandonare la scuola per trovare un lavoro e contribuire al mantenimento della famiglia: «La famiglia Shahbaz è una delle più povere in Madina Town – spiegava ad Acs all’epoca della sentenza di primo grado -. Il poco che guadagnano proviene dal loro lavoro come addetti alle pulizie. Il padre li ha abbandonati e nella nostra società questa povera famiglia cristiana è estremamente vulnerabile».

Foto Ansa

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