Non si può dire “escort” a Melania, oggetto caro ai dem per demolire Trump
Immaginiamo che Alan Friedman invece di «Trump si mette in aereo con la sua escort» avesse detto: «Trump si mette in aereo con la sua bella statuina che quando parla non dice niente, il cui unico marchio di fabbrica è Loboutin, le scarpe più amate dalle donne che amano i tacchi, quelle più desiderate da chi i tacchi non può permetterseli, l’ex modella che posava nuda con le pellicce reclusa nella sua torre dorata capace al massimo di un discorso vuoto e che interpreta il suo ruolo senza senso alcuno, una cittadina-aliena, una donna che c’è e non c’è, che ha ingoiato molto veleno consapevole del significativo valore di ogni 100 grammi inghiottiti che le sarà riconosciuto al momento del divorzio». Immaginiamo che il 19 gennaio a Uno Mattina invece di farne oggetto di una «battuta infelice» (sì, Friedman l’ha proprio chiamata così quella sulla moglie dell’ex presidente degli Stati Uniti d’America, anche se prima aveva detto che non c’era nessun caso da montare perché lui voleva chiamarla «accompagnatrice») Alan Friedman avesse chiamato Melania Trump con le molto più democratiche formulette usate durante il mandato di Trump da Repubblica, Corriere o dalla Stampa.
MELANIA USATA COME UNA RONCOLA CONTRO TRUMP
Melania Trump è sempre stata trattata come un oggetto funzionale o meno alla demolizione di Donald Trump. È stata uno scheletro nell’armadio trumpiano, una immigrata irregolare, è già stata una escort, una donna tutta “mistero, passi falsi e assenza” (titolo del Nyt), un’arrampicatrice sociale. È stata un prodotto di The Donald, intenta com’era a mangiare gioielli mentre il popolo aveva fame, visitare il confine messicano con la giacca con scritto “I Really Don’t Care, Do U?” o le popolazioni colpite dall’uragano Harvey in tacchi Manolo Blanik, copiare il discorso da Michelle Obama, odiare il Natale. È stata una vittima di Trump, prigioniera della Casa Bianca, umiliata dai tradimenti pecorecci del marito, muta, reclusa, «non chiedetele di più, perché questo è quello che importa a suo marito: che ci sia quando occorre, sorrida e poi torni nella Torre dorata» (Corriere), «outfit da dipendente, tacchi altissimi che impediscono un’andatura naturale e libera. Fanno parte della costrizione. La sua mano viene carpita come fosse una proprietà del marito» (Huffpost). Ed è stata un’avversaria del presidente, capace di condannare i fatti di Charlottesville, presentarsi al Discorso sullo Stato dell’Unione da sola e in un completo bianco che è il marchio di fabbrica di Hillary Clinton, il simbolo del movimento #MeToo, rifiutare la mano al marito, andare agli incontro ufficiali perché «odia suo marito e non perde occasione per farlo sapere al mondo. È una di noi» (parole di Selvaggia Lucarelli) e «Donald rimane così, come uno scemo, con la mano penzolante», addirittura di sfidare Trump presentandosi ai dibattiti con la mascherina.
Soprattutto Melania Trump è stata un oggetto perenne di indignazione antitrumpiana, quella dei fan di Obama e di Michelle che piantava carote, faceva ginnastica, sosteneva il marito e lanciava messaggi politici impegnati ad ogni colpo di tosse, quella delle femministe in quanto consorte di un porco suprematista bianco misogino sessista; è stata lo strumento di insulto per interposta persona al presidente degli Stati Uniti d’America, un oggetto da ridicolizzare con meme ad ogni occhio al cielo, sopracciglio alzato, sorriso forzato o disgustato, un oggetto posseduto dal marito e da liberare a suon di hashtag #FreeMelania. E continua ad esserlo.
L’EX FIRST LADY NON SI INSULTA, SI REIFICA
Oggi che il più ossessionato dei prezzemolini televisivi antitrumpiani la chiama escort, monta la dovuta riprovazione universale: dovuta a Friedman, capace con un rutto di mandare in vacca tutta la retorica antitrumpiana, il mito della superiorità morale, quella che non si è mai fatta scrupoli a demolire l’avversario politico trattando sua moglie come una cosa senza ricorrere all’artificio volgare. Una cosa a cui non si dà della zoccola, qualunque cosa sia – e chissenefrega se essere una first lady non è una cosa qualunque -, una cosa fino a ieri simile alla Claretta Petacci d’America, e che torna buona oggi a tutti i partigiani per essere arruolata nella grande battaglia contro il cretino speculare all’infame marito. «Che per una una battuta sui capelli disordinati della Botteri si siano scatenate le guerre puniche e che per “escort” a Melania Trump detto da Friedman ci sia al massimo un’alzata di sopracciglio è un fatto», pontifica Lucarelli. Che la reificazione di Melania Trump ridotta a preda serva lo stesso fine della Melania Trump ridotta ad escort di Barbablu anche. O almeno, a cliccare la gallery d’ordinanza.
Foto Ansa
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