Migranti. L’accordo europeo è in alto mare (e non è “europeo”)

Di Leone Grotti
13 Settembre 2019
Parte in salita la prima missione a Bruxelles di Giuseppe Conte: l'intesa per redistribuire i migranti sarà solo tra singoli Stati, la Francia rema contro e il nodo chiave non è risolto. C'è poi un problema di fondo

Il governo giallorosso, forte di un presunto idilliaco rapporto con Bruxelles (che la nomina azzoppata di Paolo Gentiloni ha dimostrato non essere esattamente tale), vuole convincere i partner europei a dimostrarsi più solidali con l’Italia sul fronte migranti. Dalle notizie uscite negli ultimi giorni sui giornali la strada sembra molto in salita, nonostante l’ottimismo sparso a piene mani dal premier Giuseppe Conte.

ACCORDO TRA STATI, NON EUROPEO

In attesa che veda la luce l’ormai fantomatica riforma del trattato di Dublino, l’Italia vorrebbe mettere in piedi un meccanismo automatico e temporaneo di redistribuzione dei migranti tra gli Stati membri. Innanzitutto, come sottolinea la Stampa, non si tratterebbe di un accordo europeo ma soltanto di un’intesa tra singoli Stati che la Commissione europea potrebbe al massimo benedire e facilitare con un «sostegno finanziario ed operativo». Trattandosi di un accordo tra singoli Stati sarebbe già di per sé «fragile, nella misura in cui i governi possono cambiare, e con essi gli orientamenti e gli impegni presi».

Il 23 settembre si incontreranno a Malta i ministri dell’Interno italiano, maltese, francese e tedesco per mettere a punto il piano al quale Italia (con Matteo Salvini) e Malta lavorano dal 18 luglio. Il «Programma temporaneo e predefinito per le riallocazioni», questo è il suo nome, prevede al momento che Roma e La Valletta accolgano tutti i migranti che attraversano il Mediterraneo a bordo di barconi, siano essi raccolti da navi della Marina o delle Ong. I migranti saranno poi trasferiti in modo automatico in Italia (10%), Malta (10%, forse meno) Francia (25%) e Germania (25%).

IL NODO PRINCIPALE NON È RISOLTO

All’appello, come si vede, manca ancora almeno una quota del 30% e l’Italia ha sottolineato che il programma non sarà operativo fino a quando non ci sarà la certezza della partecipazione di altri paesi alla redistribuzione. Il governo, spiega la Stampa, «sta avviando colloqui per assicurarsi il sostegno di Spagna, Portogallo, Lussemburgo e Romania». Ma dell’eventuale partecipazione di questi paesi se ne riparlerà al vertice dei ministri Ue che si terrà a ottobre in Lussemburgo.

L’accordo è ancora molto vago dal momento che non è stata ancora risolta la questione principale: quali migranti verranno redistribuiti? L’Italia ovviamente chiede che non si faccia distinzione tra coloro che hanno diritto all’asilo politico e i migranti economici. Tra i migranti che arrivano nel nostro paese, infatti, pochissimi hanno diritto all’asilo politico. La Francia ha già dichiarato di non avere nessuna intenzione di prendere migranti economici: se Parigi si impuntasse, anche se venisse stretto un accordo, l’Italia non avrebbe quasi alcun beneficio.

LA REDISTRIBUZIONE NON È COSÌ SEMPLICE

Il governo insiste anche sul fatto che la redistribuzione avvenga prima dell’analisi dei requisiti, così che non sia solo il nostro paese ad accollarsi l’onere della verifica dei documenti e appunto del diritto all’asilo dei migranti. La richiesta italiana rimanda infatti a un altro problema: una volta che un richiedente asilo è sbarcato su territorio europeo, nessuno può costringerlo ad accettare una nuova destinazione. Uno dei motivi per cui il meccanismo europeo approvato e sbandierato dall’allora premier Matteo Renzi nel 2015 (che si guardò bene dal dire che per l’Italia era pessimo) è naufragato, è perché i migranti non avevano alcuna intenzione di essere trasferiti in Lussemburgo o Bulgaria o Romania. E nessuno poteva obbligarli a farlo.

Per superare l’opposizione francese, che a parole si dichiara entusiasta del nuovo governo italiano ma che nei fatti continua a remare contro, la ripartizione potrebbe essere allargata a chi ha diritto genericamente di protezione internazionale. Come scrive Repubblica, «l’escamotage allargherebbe la platea delle persone da redistribuire. Ma all’Italia non basta». Se questo fosse il risultato, rimarremmo ancora una volta con un palmo di naso e tanti migranti.

CONTE NON LA RACCONTA GIUSTA

C’è poi un altro problema da affrontare. Grazie alle politiche radicali di Marco Minniti prima (che il Pd ha già rinnegato) e Salvini poi, gli sbarchi illegali in Italia sono crollati del 90 per cento, passando dai 181 mila del 2017 ai 5.800 del 2019. Al contrario, sono aumentati in Spagna (20 mila) e Grecia (36 mila), tanto che Madrid ha approvato una durissima legge per multare fino a 900 mila euro le Ong. Il criticatissimo decreto Sicurezza bis di Salvini, ad esempio, prevede multe per un massimo di 50 mila euro. Segno che il tanto vituperato leader leghista non è l’unico a porsi il problema di chiudere i porti.

Ma una volta che i porti verranno riaperti e l’accoglienza sarà diffusa e indiscriminata, è prevedibile che i trafficanti di esseri umani torneranno a battere come e più di prima la tratta centrale del Mediterraneo, che è più comoda e rapida. Che fine farà allora l’accordo europeo che già adesso presenta enormi difficoltà? Conte ha dichiarato ieri che «i pochi Paesi che riterranno di non partecipare all’accordo o che si opporranno dovranno ottenere meno risorse rispetto agli altri». Ma il premier si dimentica che l’accordo temporaneo non sarà in ogni caso europeo e nessuno potrà essere obbligato a partecipare. Inoltre la minaccia di allocare meno risorse, oltre a prevedere appunto la firma di un’intesa in seno all’Ue, potrà realizzarsi solo dopo il 2021, quando si comincerà a discutere del nuovo bilancio. E anche se Roma dovesse convincere la Commissione e il Consiglio a brandire una misura così radicale, dovrebbe pure convincere il Parlamento europeo ad approvarla. Un compito a dir poco arduo.

SENZA IDENTITÀ NON PUÒ ESISTERE L’ACCOGLIENZA

L’accordo è ancora in alto mare e per ora c’è solo qualche bella parola e pochi fatti da parte degli “alleati” europei. Al momento, non si può che condividere il titolo di ieri di Repubblica: «Migranti, l’Europa non ci sente». Resta poi la domanda di fondo: ci si può fidare di un’Europa che non ha neanche il coraggio di «proteggere il nostro stile di vita europeo»? Quando gli europeisti tanto cari al governo giallorosso hanno scoperto che era questo il titolo della lettera di incarico inviata dalla Commissione al commissario greco che dovrà occuparsi di migranti, sono insorti, accusando la neo presidente Ursula von der Leyen di «sovranismo»: «Slogan dell’estrema destra», «spaventoso», «messaggio fuorviante», «solleva interrogativi», «ma proprio no!» (quest’ultimo è il commento di Enrico Letta). Come può un’Europa che si vergogna di avere un’identità diversa da quella degli altri popoli pretendere di accoglierli e integrarli?

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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