C’era una volta la democrazia. Non era un concetto filosofico, ma la conseguenza storica della nascita degli stati nazionali europei. Ora c’è l’Europa pronta a decretare la morte della democrazia attraverso la fine della sovranità nazionale. Potrà sembrare un paradosso esagerato, ma è la realtà per cui ci accingiamo a votare. Una realtà in cui il responso delle urne diventa tanto inutile quanto quello delle elezioni organizzate nei sistemi totalitari.
Per questo parlare di sondaggi e risultati elettorali è inutile. Più importante è comprendere come funziona il sistema di un’Unione Europea vicina a soppiantare le regole democratiche. Il capitolo immigrazione ne rappresenta l’esempio più lampante. Su quel desolante scenario Bruxelles lavora per sottrarre agli stati nazionali il controllo dei propri confini e di conseguenza della sovranità nazionale. In quel capitolo non c’è spazio per la pietà. Non almeno per quella vera. Esiste solo la cinica e fasulla compassione di chi usa le masse di migranti come carne da cannone per le proprie asserzioni ideologiche.
Il Commissario europeo Cecilia Malmström è la tipica esponente di questa linea. È sconosciuta a gran parte degli italiani che non l’hanno mai votata né, tanto meno, hanno mai espresso un giudizio sulle sue visioni politiche. Eppure è lei, in qualità di ministro degli Interni dell’Unione Europea, a dettarci le linee spiegandoci chi deve entrare nel nostro paese. “Lungimirante” come pochi non esitava – all’inizio della crisi libica del 2011 – a mettere a tacere chi in Italia prevedeva un’invasione di migranti sentenziando di non «veder persone in transito dalla Libia all’Europa».
Mesi dopo quando, in barba alle sue previsioni, l’Italia si ritrovò costretta ad “agevolare” il transito verso la Francia delle migliaia di disgraziati approdati sulle proprie coste, l’amabile Cecilia non mancò di condannarci e difendere, invece, la decisione di Parigi di bloccare treni e immigrati.
Ma alla signora Malmström e agli euroburocrati di Bruxelles questo interessa ben poco. La loro politica – a differenza di quella praticata negli stati nazionali e nelle democrazie interessate al benessere della nazione e dei cittadini – ha poco a che fare con il bene comune. La prassi dei burocrati europei, come quella di qualsiasi ragioniere, non è rivolta al bene della comunità, ma più banalmente al grigio rispetto delle regole. Giuste o sbagliate che siano. Per questo i loro atti appaiono molto simili a quelli dei sostenitori di un’ideologia.
Non s’interrogano sulle conseguenze delle proprie azioni, si preoccupano esclusivamente che siano in linea con quanto deciso o teorizzato. Per gli “euroburocrati” leggi e regolamenti di Bruxelles sono l’equivalente di quel che erano i testi di Lenin e le direttive del Pcus per i burocrati sovietici. Poco importa se i migranti muoiono in mare o passano da un’esistenza di stenti in Africa ad una lenta agonia nei centri di sosta in Europa. L’importante è il rispetto del principio dell’accoglienza.
Lo sviluppo di questa casta di ligi guardiani dei regolamenti è figlia di un Parlamento Europeo trasformato per decenni in area di parcheggio per i politici di seconda scelta, inadeguati a competere sui palcoscenici della politica nazionale. Nei decenni questa generazione di mediocri, ben rappresentata da personaggi come il presidente del consiglio europeo Herman Achille Van Rompuy, come la stessa Cecilia Malmström o come la baronessa Catherine Ashton, ha creato una casta il cui unico fine è la difesa della propria specie. Per questo la loro Europa è ben diversa da quella sognata da Konrad Adenauer o da quella patria di 500 milioni di europei che riscaldava i cuori negli anni Settanta.
L’Unione Europea per cui andremo a votare il 25 maggio è soltanto la riserva protetta di una nuova classe dirigente che ha soppiantato la politica e punta ad indebolire la democrazia nel nome della difesa della propria specie. Solo evitando di dar peso al voto dei cittadini, solo agendo lontano dal loro giudizio gli euroburocrati possono crescere e moltiplicarsi. Ma non solo. A quell’Unione Europea grigia e mediocre spetta anche la funzione di stemperare le esigenze di gran parte degli stati nazionali che la compongono e preservare i privilegi di chi, come la Germania, la usa e la manovra a tutela dei propri interessi di nazione più ricca.
Non a caso Angela Merkel ha già annunciato che il nuovo presidente della Commissione Europea, destinato a succedere a Barroso, non verrà scelto in base ai voti espressi, come suggerito dall’articolo 17 del Trattato di Lisbona, ma concordato dai vari governi. Come dire il solito mercato delle vacche. E l’ennesimo “de profundis” per la democrazia.