
Meeting. «Se la Chiesa non porta una novità, non ha ragion d’essere»

[cham_inread]
Rimini. Come si fa a vivere da cristiani in un mondo frammentato, dove tutto è relativo, il “per sempre” non è più considerata una prospettiva raggiungibile, Dio è dimenticato e nessuno sa più «che farsene della salvezza»? È questa la domanda cui ha cercato di rispondere monsignor Pierbattista Pizzaballa presentando ieri il titolo del Meeting: “Quello che tu erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo, per possederlo”.
[pubblicita_articolo allineam=”destra”] Sviscerando la frase del Faust di Goethe, l’amministratore apostolico del patriarcato latino di Gerusalemme parte dal pronome personale: «Quel “tu” ci dice che per ereditare serve una persona, un adulto. E il primo passo per diventare adulti è riconoscere che abbiamo ricevuto qualcosa, non negare il dono che ci è stato fatto». Questa eredità, questo dono che i padri ci hanno trasmesso, «è la fede, è Dio stesso, con tutto ciò che scaturisce dalla coscienza di questo legame, cioè la cultura, la nostra idea dell’uomo e del mondo. Ma come nella parabola dei talenti, perché l’eredità diventi mia, perché io possa riguadagnarla così che porti frutto, io devo investire tutto me stesso, devo rischiare tutto ciò che ho. Non possiamo prendere quello che abbiamo ricevuto e nasconderlo sotto terra, altrimenti finiremo per perderlo».
Il primo passo, continua Pizzaballa, «è fare memoria di ciò che abbiamo ricevuto. Questo non significa ripetere le stesse identiche azioni che hanno fatto i nostri padri, ma recuperare il desiderio con il quale i nostri padri hanno vissuto, il desiderio che li ha portati a costruire. Solo così potremo, in un rapporto adulto e libero con la tradizione, costruire però qualcosa di nuovo e diventare anche noi protagonisti dell’edificazione del Regno di Dio».
Ma come? Se il vero credente, in quanto salvato, non deve spaventarsi se tutto intorno a lui si sgretola, «non può neanche accogliere acriticamente tutto ciò che trova nel mondo. C’è differenza tra mondano e cristiano, ci sono il sublime e la spazzatura, non è tutto uguale, non è vero che non ci sono frontiere, non è vero che non ci sono confini. Se la Chiesa non portasse una novità, una unicità, non avrebbe ragion d’essere».
Proprio come in Occidente, anche in Medio Oriente, «a causa delle guerre ma non solo», tutto si sta sgretolando. I cristiani vengono sradicati dalla loro terra, dalla loro tradizione, e sparsi per il mondo, chi non è già partito o sfollato ha la tentazione di andarsene. «Io da pastore mi chiedo: che cosa devo dire a queste persone? Che cosa devo fare per loro? È giusto costruire le case distrutte e creare nuovi posti di lavoro. Ma non basta. Ci vuole un orientamento, una speranza concreta, un obiettivo grande perché tutti abbiamo il desiderio di fare qualcosa di grande nella vita». In una parola, prosegue l’amministratore apostolico che ha la responsabilità di una grande diocesi cattolica con parrocchie sparse tra Israele, Palestina, Giordania e Cipro, «non servono strategie sofisticate, bisogna annunciare di nuovo che solo Gesù salva e solo Lui può convincere a restare cristiani qui, perché solo con Lui c’è la vera gioia».
Per tornare ad annunciare non servono «operazioni di marketing, i cristiani non possono piacere a tutti e se non esprimono una diversità, una novità, anche la Chiesa finirà presto. Come diceva Paolo VI, se la testimonianza di vita non si unisce a un annuncio chiaro e inequivocabile di Gesù, non basta. Questo annuncio è una proposta che poi troverà espressione nei vari ambiti della vita sociale, economica, culturale e politica. Ma dobbiamo dire che Dio si è fatto uomo perché l’uomo possa restare umano. Se la fede non si esprime, il talento resta nascosto e muore. Io non so se noi, animati dallo stesso desiderio dei nostri padri, costruiremo cattedrali come loro, forse no, forse faremo altro, ma dobbiamo farlo».
Solo così, conclude monsignor Pizzaballa, «ciò che abbiamo riguadagnato per possederlo sarà patrimonio per tutti, perché questa è la nostra vocazione. La Bibbia comincia con un giardino e finisce con una città, che si chiama Gerusalemme. Il giardino l’ha fatto Dio da solo, ma Gerusalemme l’abbiamo fatta noi insieme a Lui. Dio ha sempre avuto bisogno dell’opera dell’uomo. La nuova Gerusalemme Dio non la può fare senza di noi, ecco perché dà ad ognuno i suoi talenti. Facciamoli diventare i mattoni della nuova Gerusalemme di oggi».
Foto Meeting
[cham_piede]
1 commento
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono chiusi.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!