Macron-Le Pen, duello dall’esito scontato?
Il ballottaggio del prossimo 24 aprile è destinato a confermare alla presidenza della Francia per altri cinque anni Emmanuel Macron, a meno che non accadano fatti nuovi nelle due settimane che ci separano dal voto.
Tutti i sondaggi danno per vincente il capo di Stato uscente, con una forchetta che sta fra il 51 e il 54 per cento dei voti, ma nei prossimi giorni i colpi bassi non mancheranno sicuramente, e mentre il campo macroniano farà appello come già cinque anni fa all’unità antifascista contro il pericolo Le Pen ma soprattutto all’urgenza di scongiurare una “vittoria di Putin” nelle elezioni francesi, i simpatizzanti di Marine Le Pen tireranno fuori qualche dossier su presunti scandali finanziari di Macron, l’uomo della finanza internazionale, sotto la cui presidenza il bilancio della spesa statale per consulenze di società esterne è più che raddoppiato toccando gli 894 milioni di euro l’anno scorso.
McKinsey sotto inchiesta
La società di consulenza che più ha beneficiato di contratti legati alla gestione della pandemia del Covid 19 è stata, con un appalto da 12,33 milioni di euro, l’americana McKinsey, che ha incassato più del doppio di Citwell e della francese Accenture, seconda e terza società di consulenza più pagate per il Covid. Incaricata della promozione della campagna vaccinale, la McKinsey è stata criticata per lo scarso successo della sua campagna nei primi mesi delle vaccinazioni in Francia.
Come abbiamo qui ricordato due giorni fa, alcuni dirigenti della McKinsey hanno contribuito a titolo gratuito, in posizioni di grande responsabilità, alla campagna presidenziale di Macron del 2017. E da meno di una settimana la McKinsey è sotto inchiesta con accuse di mancati versamenti fiscali fra il 2011 e il 2020 sui profitti realizzati in Francia. Non è da escludere che qualche documento compromettente circa i rapporti fra l’entourage di Macron – o Macron stesso – e le società di consulenza emerga nei prossimi giorni.
Soldi russi per Le Pen
Contro la Le Pen in queste ore viene già giocata la carta Putin, non senza ragioni quando si ricorda che nel 2014 il suo partito, che si chiamava allora Front National, ottenne un prestito da 9,4 milioni di euro da una banca russa, la First Czech-Russian Bank. La banca fallì e il credito venne ereditato dalla Aviazaptchast, una società dell’industria militare russa.
La Le Pen si è giustificata spiegando che nel 2014 nessuna banca francese faceva prestiti al suo partito, e che il debito è in corso di restituzione in base ad accordi col subentrato creditore, che a inizio 2020 aveva citato il Rassemblement National (nuovo nome del Front National) davanti alla giustizia russa per mancata restituzione del prestito.
I sovranisti asset del Cremlino
Ma la questione evidentemente è più ampia ed è eminentemente politica: i rapporti dei partiti sovranisti europei con la Russia vanno al di là di eventuali transazioni finanziarie più o meno lecite. Non c’è dubbio che Putin abbia incoraggiato l’ascesa dei sovranisti francesi, italiani, ecc. in un’ottica di divide et impera, cioè di indebolimento dell’Unione Europea. Non però, come si illudono tanti commentatori italiani soprattutto di area Pd, nel timore di dover fare i conti con un nuovo ambizioso soggetto geopolitico, ma per la ragione contraria: Mosca vede nell’espansione ad Est dell’Unione Europea una componente della strategia americana di accerchiamento della Russia, promossa da Hillary Clinton quando era segretario di Stato e da allora coerentemente portata avanti dagli Usa.
Un’Unione Europea che deve accomodare economie sottosviluppate ma ad alta componente agroindustriale come quella ucraina è sempre più difficile da gestire, in quanto provoca seri problemi agli agricoltori e alla classe operaia dell’Europa occidentale a livello di Politica agricola comunitaria e di delocalizzazioni, ma è vantaggiosa per la concomitante espansione della Nato. In questo contesto, i partiti sovranisti europei sono stati visti certamente dal Cremlino come un asset attraverso il quale sabotare i piani del nemico che siede a Washington, e che a Bruxelles ha dei semplici esecutori.
Macron anti Nato
Detto questo, bisogna però anche ricordare che nel frattempo i sovranisti dell’Europa occidentale sono diventati maggiorenni: Marine Le Pen e Matteo Salvini non chiedono più l’uscita dei loro rispettivi paesi dall’Unione Europea e dall’euro, ma la fine delle politiche dell’austerità e la mutualizzazione in sede europea dei debiti nazionali; il secondo partecipa a una sorta di governo di unità nazionale, e la seconda annuncia che lo creerà se uscirà vincente dalle elezioni del 24 aprile.
Marine Le Pen ha nel suo programma l’uscita della Francia dal comando integrato della Nato e non ha nulla da obiettare alle decisioni del governo del Mali di sostituire l’alleanza militare con la Francia a quella con la Russia; ma in questo caso la lontananza dalle posizioni di Macron è molto relativa: nel novembre 2019 il presidente uscente ha dichiarato che la Nato era “in stato di morte cerebrale” e da allora si è impegnato per l’”autonomia strategica” dell’Unione Europea, e il progressivo disimpegno militare francese dall’Africa infiltrata da russi e cinesi si deve a lui e non alla sua avversaria.
Recitare una parte
La Le Pen non propone cooperazione militare industriale con la Russia, ma con gli Stati Uniti per quanto riguarda l’aerospaziale e con il Regno Unito per quanto riguarda il nucleare; Macron per quanto riguarda la difesa da sempre guarda alla Germania (scelta che suscita le ire della Le Pen), il paese europeo più interessato a una normalizzazione dei rapporti con la Russia.
Il globalista Macron e la criptorazzista Le Pen – tali sono descritti dalle rispettive propagande – si assomigliano più di quanto i francesi e gli altri europei credano. Ma ciascuno dei due recita bene la sua parte di avversario giurato dell’altro.
Foto Ansa
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